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Senza sinistra e senza direzione

I recenti fatti avvenuti in Brasile, la detenzione di Lula e la sua successiva nomina alla guida del gabinetto ministeriale, e le manifestazioni della scorsa domenica, sembrano far precipitare gli avvenimenti. Nonostante ciò, non sarà semplice la destituzione della presidente Dilma Rousseff per mettere fine al governo del Partito dei Lavoratori (PT), giacché anche l’opposizione è colpita dalla mancanza di credibilità. Quello che è terminato in Brasile è stato un periodo più o meno prolungato di stabilità politica ed economica, giacché non esiste una coalizione capace di stabilizzare il paese.

Vediamo quelle che credo che siano le principali tendenze, con le loro rispettive controtendenze.

La prima è che risulta evidente che ci sia una potente offensiva destituente contro il governo e il PT, da parte delle destre: i grandi media, il capitale finanziario brasiliano e internazionale, gli Stati Uniti e, secondo quanto appare, una parte dell’apparato giudiziario. L’operazione Lava Jato (Lavaggio Rapido) farebbe parte di questa offensiva che si accentua nella misura in cui lo scenario globale si polarizza.

Nonostante ciò, diversi analisti vicini alla sinistra pensano il contrario e non valutano l’azione della giustizia per le conseguenze politiche. Il sociologo Luiz Werneck Vianna sostiene che “la natura dell’operazione Lava Jato è repubblicana e la sua funzione è denunciare la convivenza illegittima tra la sfera pubblica e la sfera privata” (http://goo.gl/XnMEDo). Aggiunge che coloro che denunciano il Lava Jato come una manovra della destra difendono “piccoli interessi” e che la relazione tra il pubblico e il privato era giunta ad estremi che richiedevano un intervento.

La seconda tendenza è la dissoluzione delle sinistre. Ci sono persone che dicono cose che sembrano di sinistra, ma non esiste una forza sociale e politica con valori e atteggiamenti di sinistra. Il più importante intellettuale di sinistra brasiliano, il sociologo Francisco de Oliveira, sostiene che non c’è lotta di idee e di posizioni politiche, appena sfilate di strada, e che la sinistra non ha la capacità di convocazione. “La sinistra è senza direzione -dice-. Io stesso sono di sinistra e sono senza direzione” (http://goo.gl/67nxKq).

Un sintomo dell’inesistenza della sinistra è l’incapacità di autocritica, non solo da parte dei politici e dei dirigenti, ma anche da parte dei cosiddetti intellettuali che, nella loro immensa maggioranza, incolpano di tutto la destra e i media e sono incapaci di tener conto dei dati che contraddicono la loro analisi. La scorsa domenica i manifestanti, che si suppone siano di destra, hanno fischiato e sbattuto fuori i principali dirigenti dell’opposizione, il governatore di San Paolo, Geraldo Alckmin, e il senatore Aecio Neves, del Partito Sociale Democratico Brasiliano, al grido di “ladroni” e “opportunisti”.

Come si inquadrano questi fatti nell’analisi semplicista degli intellettuali di sinistra? Le denunce più demolitrici contro Lula e Dilma (e buona parte dei politici di destra) provengono da Delcidio Amaral, senatore per il PT, eletto da Dilma alla guida del Senato. Prima era stato ministro di Miniere ed Energia sotto Itamar Franco (1994 e 1995) e direttore della Petrobras sotto Fernando Henrique Cardoso (2000 e 2001),  ed è considerato “esperto in affari torbidi” (Página 12, 16/3/16). Questo è il tipo di persone che il PT recluta da quando occupa il governo.

Non c’è sinistra perché il PT si è incaricato di annichilirla, politicamente ed eticamente. Lula è stato per anni l’ambasciatore delle multinazionali brasiliane. Tra il 2011 e il 2012 ha visitato 30 paesi, 20 dei quali sono in Africa e America Latina. Le imprese costruttrici hanno pagato 13 di questi viaggi, la quasi totalità Odebrecht, OAS e Camargo Correa (Folha de Sao Paulo, 22/3/13). È appena una faccia del “consenso lulista”. L’altra è l’addomesticamento dei movimenti.

È certo che c’è una controtendenza dal basso segnata da un nuovo attivismo sociale, che si è manifestata nel 2013 con il Movimento Passe Livre, dopo con le occupazioni dei senza tetto, il nuovo attivismo femminista e più recentemente con l’occupazione di centinaia di scuole secondarie. Ma questi movimenti non obbediscono più alla vecchia logica (cinghia di trasmissione dei partiti), ma a nuove relazioni sociali, tra le quali spicca l’autonomia dai partiti e dai sindacati, l’orizzontalità e il consenso nel prendere decisioni.

La terza tendenza è la fine dell’egemonia dei diversi attori politici o sociali. Una società senza egemonia vuol dire una società caotica, disordinata, nella quale nessuna istanza ha la legittimità né la capacità di determinare i percorsi che si prendono. Per la sinistra istituzionale ed elettorale, e per i professionisti del pensiero, questo è un orrore, un pericolo dal quale si deve fuggire. Per noi che puntiamo sull’autogoverno di popoli e comunità, è una reale possibilità di “espropriare gli espropriatori”, giacché è l’anticamera di un collasso sistemico.

A due condizioni. Una, che non si creda che il vecchio mondo cadrà senza colpirci. Faremo parte del naufragio, saremo in pericolo, così come i settori popolari. Questo non è né buono né cattivo, è il prezzo da pagare per avere la possibilità di creare un mondo nuovo.

L’altra è che non esiste la minima certezza. Quello prevedibile è lo stato, le istituzioni, le multinazionali. Il collasso è una scommessa, ma non un gioco, nel quale poniamo il corpo e rischiamo di perderlo tutto, per determinare un cambiamento di direzione all’umanità.

La Jornada

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca

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