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La diffusione del dengue, l’agroindustria e il cambiamento climatico

Dengue, modello agrario e cambiamento climatico, da ECOR Network
di Javier Souza Casadinho

Le cause dell’epidemia di dengue sono molteplici, conosciute e anche poco affrontate: cambiamento climatico, deforestazione, uso di pesticidi, impatto sui predatori delle zanzare e mancanza di pianificazione territoriale. C’è la necessità di discutere sui modelli di produzione e sui loro impatti sulla salute e sull’ambiente. C’è la necessità di visioni integrali e non solo di spray repellenti

Nella natura non è facile trovare cause dirette che coinvolgano processi e fenomeni specifici, come ad esempio la dinamica di popolazione di un insetto come la zanzara Aedes Aegypti, che trasmette il virus del dengue. E’ pertanto necessario ricorrere ad analisi esaustive che includano, ad esempio, l’espansione della zanzara in contesti più ampi, come le condizioni di cambiamento climatico: aspetti sistemici che legano la sopravvivenza degli insetti con la diminuzione dei loro nemici naturali (predatori e parassiti) e con l’aumento delle temperature, nonché aspetti dialettici, comprendendo che i fenomeni possono avere conseguenze in molteplici dimensioni, positive o negative, a seconda degli interlocutori.

La dinamica della popolazione di una specie, che indica l’aumento o la diminuzione del suo numero, è determinata da fattori specifici della specie e dalle condizioni ambientali. Mentre all’interno dei primi ci sono le loro caratteristiche genetiche, il loro DNA, tra i secondi rientrano il clima, la disponibilità di cibo e la presenza di predatori e parassiti.

In questo contesto, l’aumento del numero delle zanzare Aedes Aegypti può essere spiegato da:

  • La modificazione delle condizioni climatiche, l’aumento delle condizioni di temperatura e umidità favoriscono lo sviluppo di tutte le fasi dell’insetto (dall’adulto alle larve e alle uova).
  • La riduzione dei loro predatori e parassiti.
  • Il miglior cibo disponibile.
  • Cambiamenti nella loro costituzione genetica che consentono loro di adattarsi ai cambiamenti ambientali. Ad esempio, vivere e riprodursi a temperature più basse.


Agricoltura, riscaldamento globale e zanzare predatrici

L’espansione della popolazione della zanzara Aedes Aegypti può essere correlata a cambiamenti nei sistemi di produzione?
In primo luogo, l’attuale modello agricolo – basato sull’uso di combustibili fossili, fertilizzanti e pesticidi – genera circa un terzo dei gas responsabili dell’effetto serra, l’anidride carbonica (dall’uso di combustibili e protossido di azoto che si origina dopo l’applicazione di fertilizzanti azotati come l’urea).
A ciò va aggiunta l’anidride carbonica che ha origine dalla combustione degli alberi nei processi di deforestazione e dall’emissione degli stessi gas quando si utilizzano riserve umide, che oltre a conservare acqua trattengono la materia organica.

In secondo luogo, la perdita di biodiversità limita l’habitat, il riparo, l’alimentazione e la riproduzione dei predatori delle zanzare (batraci e serpenti, tra gli altri). Nello stesso senso agiscono i pesticidi, inseriti nelle campagne sanitarie, che da un lato riducono la popolazione di insetti utili, li uccidono, e – dall’altro – ricreano la resistenza nella zanzara Aedes Aegypti. Per questo motivo, un aspetto riduzionista è quello di aumentare le dosi e il numero di applicazioni di pesticidi, rialimentando il ciclo.

Agire contro le conseguenze, ma mirare alle cause

Vanno indirizzate strategie di intervento che non prendano in considerazione strumenti isolati come l’applicazione di insetticidi, che in specifiche situazioni può essere considerata necessaria ma limitata sia dalla sua inefficienza rispetto allo stato degli insetti raggiunti (adulti/larve), sia per il suo costo economico che per l’impatto ambientale.

Il monitoraggio delle zanzare è necessario per comprendere la popolazione e le sue dinamiche, prevenire la proliferazione dei siti di deposizione delle uova e di crescita delle larve (acque stagnanti), migliorare l’habitat e le condizioni abitative delle comunità e applicare pesticidi biologici per la gestione degli insetti.

Ma soprattutto è fondamentale individuarne le cause. Osservando l’epidemia di dengue come processo, va notato come l’espansione della zanzara Aedes Aegypti si basi su molteplici aspetti, che possono essere correlati, condizionati e dipendenti tra di loro. È quindi necessario ripensare il modello agricolo, il suo impatto sui cambiamenti climatici, l’uso dei pesticidi e il declino della diversità biologica.
E, naturalmente, dobbiamo analizzare anche altri fattori, come l’accumulo di acqua dovuto alle abitudini e alle condizioni di vita e di lavoro in cui ci troviamo.


Dengue, cambiamento climatico e monocoltura: tre facce dello stesso problema
di Diego García Ríos

Il record dei casi di dengue è legato, tra le altre cause, al modello agricolo e all’uso massiccio di pesticidi, che colpisce i predatori naturali della zanzara (pesci e anfibi). Non si tratta solo di attività di prevenzione individuale nelle case, ma di forme di produzione che devastano migliaia di ettari, arricchiscono pochi e danneggiano la maggioranza

Considerati gli oltre 100.000 casi di dengue in Argentina, lo Stato si concentra, ancora una volta, sulla responsabilità individuale e sulle azioni domestiche. Esiste però una spiegazione strutturale (cambiamento climatico) e un’altra spiegazione nazionale (l’eccessiva coltivazione di soia) che permettono di analizzare più in profondità la proliferazione della zanzara Aedes Aegypti. È fondamentale comprendere gli ambienti in maniera sistemica e, di conseguenza, implementare politiche sanitarie in senso territoriale.
 

Sulla complessità degli ambienti

Un’analogia per affrontare la situazione: gli ambienti sono come quei giochi gonfiabili dove spesso i bambini si divertono alle feste di compleanno. Mentre da una parte saltano e affondano, l’aria viene inevitabilmente compensata dall’altro lato, amplificando la massa all’estremità opposta. L’idea è, in termini chiusi, cercare l’equilibrio per sostenere la struttura.
Qualcosa di simile accade con gli ambienti. Con la differenza che si tratta di sistemi complessi, aperti, spesso fragili e dove l’intervento umano può portare, in alcuni casi, a danni irreversibili.

Esempi? In avanzo. Il buco dell’ozono, con epicentro al Polo Sud, è stato causato dalle emissioni di clorofluorocarburi e ossidi di azoto provenienti dal Nord del mondo. Le piogge acide sono il prodotto dell’emissione di gas provenienti dalle aree industriali che cadono poi nelle zone rurali a causa dell’attenuazione dei venti. Una diga idroelettrica trattiene l’acqua per l’irrigazione in Brasile e il bacino inferiore del Paraná rimane senza risorse idriche in Argentina. L’agente arancio: un potente prodotto chimico utilizzato dagli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam per defogliare la fitta giungla e scoprire così i nascondigli dei vietcong, ha generato per decenni malformazioni nei bambini. E così potremmo continuare fino a dopodomani.

Azione-reazione. Sfruttamento-Risposta. Intervento qui-conseguenza là. “Sviluppo” in uno spazio e penuria in quell’altro.
Le relazioni dialettiche che, come società, stabiliamo con la natura nel quadro del capitalismo, sono alquanto conflittuali.

A differenza della classica definizione di risorse naturali che ci è stata insegnata a scuola (“quegli elementi che servono a soddisfare i nostri bisogni”), lo sfruttamento e l’usufrutto dell’ambiente viene effettuato solo da una manciata di attori, ma le conseguenze delle loro azioni vengono subite dalla maggioranza più vulnerabile

Oltre a non coprire i “nostri” bisogni – quelli della maggioranza, insomma – succede che molte volte viene esplorato, sfruttato, utilizzato il lavoro e si inquina per soddisfare l’onanismo di pochi (a mò di esempio possiamo vedere il circuito dell’oro). Perché, diciamolo una volta per tutte, la cattiva gestione dei beni della natura o la miopia nella lettura ambientale non sono dovute a un’ingenua ignoranza o a un’esternalità indesiderata; ma rispondono piuttosto a una logica strutturale, a un’etica focalizzata sulla redditività economica a breve termine.

Sul dengue e sul suo rapporto con gli ambienti

Il primo caso registrato di dengue in Argentina risale al 1916. Trascorsero molti decenni in cui non si ebbe notizia e quasi non ci furono infezioni, fino a quando – nel 1997 – non tornarono a  verificarsi casi nel paese a causa dell’ingresso di persone dalla Bolivia, ripresentando il problema e portandolo fino ai giorni nostri.

Ogni anno, durante i mesi estivi (e non solo), leggiamo dati sempre più preoccupanti di persone contagiate dalla zanzara Aedes Aegypti: siamo spettatori di una serie di raccomandazioni che lo Stato nazionale o provinciale, attraverso la propaganda ufficiale – quest’anno il Governo nazionale ha sospeso la linea guida per non realizzare campagne di sensibilizzazione sui media – ci consiglia di compiere delle azioni quotidiane per impedire la proliferazione dell’insetto.
Sappiamo che la zanzara, oggi, è eminentemente urbana. Per questo motivo dobbiamo evitare di lasciare acqua stagnante in qualsiasi contenitore dove possa depositare le uova. Ciò va benissimo, e deve essere fatto, ma dobbiamo andare un po’ più indietro per comprendere il problema.

L’Aedes Aegypti costruisce il suo ambiente di riproduzione e di azione in luoghi caldi e umidi. Se massimizziamo questa logica, potremmo dire che queste condizioni hanno prevalso, in termini naturali, sulla costa, nel Chaco umido e nelle yungas, le valli andine a oriente della regione. Tuttavia, se guardiamo la “mappa del dengue” degli ultimi anni, possiamo notare che la regione di contagio si è estesa ad altri territori, dove storicamente l’insetto non passava neanche per caso.
Ed è qui che è importante focalizzare tre riflessioni per il dibattito: una strutturale, un’altra territoriale e un’ultima sulle politiche pubbliche.


Strutturale: il cambiamento climatico come scenario

Il cambiamento climatico è una realtà, non importa quanto alcune figure della politica nazionale e internazionale facciano di tutto per disconoscerlo. Tra le varie conseguenze, identifichiamo la scomparsa dei confini tra le stagioni, stiamo raccontando, il problema del dengue non si riscontra solo nei mesi estivi né è esclusivo delle regioni subtropicali del Paese, ma è più diffuso nel tempo e nello spazio.

Torno al gioco dei gonfiabili: una situazione di cui sono responsabili – in primis – i paesi, le imprese e i modi di consumo del Nord del mondo finisce per avere un impatto sui territori dei paesi che non hanno tanta influenza sulle emissioni di gas serra in l’atmosfera.
 

Territoriale: la rapida resurrezione del dengue

Nella catena alimentare, i principali predatori delle zanzare sono gli anfibi, i pesci e gli aracnidi, che hanno visto la loro popolazione ridursi sostanzialmente a causa dell’uso di agrotossine nelle zone rurali, per loro letali. Questa perdita di biodiversità, che non è solo un problema locale, ma internazionale, è dovuta a pratiche agricole industriali intensive, altamente tecnologizzate e con ampio uso di erbicidi. In Argentina, la coltura più diffusa che rappresenta questo paradigma è la soia transgenica: “La coltivazione intensiva di soia mantiene una doppia linea di influenza sull’espansione del dengue. Da un lato, il complesso di agrotossici utilizzati per il sistema della semina diretta-soia transgenica, si basa sull’uso massiccio di glifosato, endosulfán, clorpirifos, 2-4D, atrazina, paraquat e altri pesticidi che hanno una forte azione devastante sulle popolazioni di pesci e anfibi, predatori naturali delle zanzare, trasmettitori del dengue e della febbre gialla“, scriveva nel 2009 il ricercatore e attivista Alberto Lapolla.

Se confrontiamo la mappa dell’area coltivata a soia in Argentina con quella dei casi di dengue nel 2024, troviamo una – neanche così eclatante – sorpresa.
È sufficiente sovrapporre le due mappe per rendere conto della coincidenza tra le province in cui la coltivazione è maggiormente sviluppata e il numero di persone colpite nei centri urbani vicini.

Il biologo Raúl Montenegro, premio Nobel alternativo e direttore della Fondazione per la Difesa dell’Ambiente, sostiene“La mappa delle radure e delle monocolture, soprattutto di soia, e la mappa delle malattie, presentano coincidenze suggestive. Gli ambienti semplificati a colpi di bulldozer, pesticidi e malgoverni hanno creato condizioni favorevoli all’espansione sfrenata del vettore. Per ironia della sorte, ogni volta che viene spruzzato un pesticida in un’area urbana, una parte della popolazione adulta di Aedes Aegypti scompare. Ma muoiono anche gli insetti e gli aracnidi che hanno contribuito a ridurre il loro numero. L’irrorazione può persino distruggere gli organismi acquatici che consumano le larve di zanzara”.

Avendo meno predatori naturali e mantenendo temperature e precipitazioni simili a quelle estive, l’Aedes Agypti si trova perfettamente a suo agio e si riproduce negli ambienti urbani, colpendo la popolazione che li abita. Continuiamo con il parallelismo dei giochi dei bambini: fumigazioni in campagna, ripercussioni in città. 

Politica pubblica: la necessità di affrontare le cause prima delle conseguenze

Di fronte alla valanga di casi di dengue nel nostro Paese, lo Stato sembra applicare le stesse vecchie ricette, con l’aggravante che, come accade per altri problemi, il governo centrale trascura il problema, incolpando l’amministrazione precedente o dicendo che il vaccino è tardivo e di dubbia efficacia. A ciò si aggiunge la mancata diffusione delle raccomandazioni nei media e la decisione di non intraprendere una campagna di vaccinazione (con argomentazioni impresentabili da parte del portavoce presidenziale).

Chiedere a un governo di negazionisti di prendersi cura di noi è un ossimoro. Ma non bisogna rinunciare all’analisi interpretativa e olistica per comprendere il fenomeno in termini sistemici: le azioni individuali sono importanti, ma non sono abbastanza.

Per affrontare il problema è fondamentale che le politiche pubbliche non siano solo legate alla salute, ma anche alla gestione del territorio e al divieto dell’uso di prodotti agrochimici nelle zone rurali per garantire la cura degli ecosistemi e recuperare il percorso delle filiere alimentari. In questa prospettiva non solo si costruirebbe una visione ambientale più armonica, ma si risparmierebbe pure parte importante del bilancio pubblico. E’ solo la volontà politica, che manca.
 

—–> Originali in spagnolo  su qui e qui

– Javier Souza Casadinho è Coordinatore regionale della Rete d’azione sui pesticidi e le loro alternative in America Latina (Rapal).
  – Diego García Ríos è professore di geografia, scrittore ed editore di Geografías en Disputa.
** Foto di copertina Germán Pomar Télam; tutte le altre di Nicolas Pousthomis
*** Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network

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