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Sguardi sulle elezioni tedesche

 

Tra la possibile riedizione di una grosse koalition fra Merkel e Spd fino alle impossibili speranze dei democratici nostrani, che utilizzano liberamente i sondaggi per ipotizzare impensabili coalizioni alternative fra Spd, Verdi e Linke. Uno scenario che non si verificherà per l’inconciliabilità di questi tre partiti. Per completare il quadro vanno considerati due partiti minori ma dal cui risultato potrebbero dipendere le sorti per la formazione del futuro governo: Partito Pirata e Alternativa per la Germania. Mentre il primo pare aver perso l’attrattività delle origini e difficilmente supererà lo sbarramento, il secondo si presenta come possibile variabile a sorpresa. Considerato come partito “contro il Sud Europa” e al centro alcune settimane fa di un attacco da parte di un gruppo di movimento, questa nuova forza politica potrebbe giocare da vettore che spariglia il quadro di un esito elettorale dato per scontato da molti osservatori.

Il punto che qui ci interessa è tuttavia un altro: siamo sicuri che l’esito elettorale sarà veramente così incisivo rispetto alle sorti dell’Europa? Fra chi addirittura propone campagne per poter votare dall’Italia alle elezioni tedesche (sic!) in quanto vero centro decisionale, chi fomenta sciaguratamente ritorni alle retoriche nazionalistiche promuovendo sentimenti anti-tedeschi ecc.. grande è la confusione sotto al cielo, soprattutto a “sinistra”. In questo caso tuttavia la massima di Mao non prelude ad una situazione eccellente…Cerchiamo invece di guardare a queste elezioni da altri due punti di vista: uno transnazionale ed uno locale.

Rispetto alla prima delle due scale è d’obbligo considerare come nei fatti l’alternativa fra conservatori e progressisti alla guida del Bundestag vada quantomeno comparata empiricamente a ciò che avviene nel resto del vecchio continente. Avendo una prospettiva temporale che guardi dall’esplosione della crisi ad oggi, appare piuttosto chiaro come in moltissimi paesi le direttive nell’emanazione delle politiche non possano essere imputate ad una specifica parte politica. Esiste infatti una cultura con molti tratti di omogeneità nelle élite politiche europee che taglia trasversalmente i partiti ed i confini nazionali. Una cultura che sostanzialmente vede nella crisi un passaggio per comprimere verso il basso le condizioni di vita, attraverso una ineguale ripartizione dei costi della crisi stessa, nell’ottica di ricollocare il sistema-Europa sullo scenario della competizione globale sfruttandone sostanzialmente il potenziale produttivo.

Questa prospettiva accomuna “destra e sinistra”, nella subalternità non mettibile in discussione rispetto alla finanza transnazionale. Ciò rende le differenze come semplici variabili dipendenti verso un fine tutto sommato condiviso. In quest’ottica le alternative nel governo tedesco saranno foriere di ben poche variazioni significative. Senza considerare che anche in Germania il parlamento non può più essere considerato come l’unico attore influente nell’imprimere le coordinate e le direzioni dello sviluppo capitalistico. Saltiamo ora di scala e proviamo brevemente a guardare alle elezioni da un contesto localizzato: Berlino. Uno sguardo sicuramente eccentrico rispetto al resto del paese. Innanzitutto muovendosi per la capitale tedesca questa si presenta invasa dai manifesti elettorali. Il faccione della Merkel è il messaggio che il suo partito vuole dare: una campagna tutta incentrata sulla personalità della leader materna, che parlando quasi esclusivamente sul piano nazionale ed evitando discorsi più ampli punta a stimolare ed attrarre le corde profonde della Germania.

Dall’altro lato il perché i partiti di sinistra non siano in grado di puntare a quote elettorali significative risulta evidente a partire dai loro manifesti di propaganda: uno stile che definire sobrio sarebbe un complimento… L’assenza di contenuti e prospettive si evince dai grandi sfondi bianchi sui quali scoccano slogan in nero e qualche volto contrito. Decisamente inappetibile per chiunque abbia meno di quarant’anni. Deficit che tuttavia la comunicazione pop dei Pirati, pervasiva e provocatoria, non riesce tuttavia a catturare. A Berlino i Verdi sono decisamente più a sinistra del partito nazionale, e la cosa è visibile nelle politiche che sviluppano nello storico Kreuzberg, dove sono al governo e propongono una campagna elettorale che prova a catalizzare tutte le istanze pacifiste, ecologiste, radicali, contro la gentrification ecc.. Tuttavia nello storico quartiere dei movimenti la sensazione che si tasta, così come percorrendo le imponenti strade della Berlino est o attraverso gli snodi costellati di bar nei quartieri a ridosso del muro o nei centri finanziari, è che le elezioni non abbiano una significativa presa su ampi strati della popolazione.

Laddove alle ultime tornate i dati di partecipazione erano attorno al 70% (mentre solo il 43% si era presentato alle urne per le europee…), sarà significativo valutare anche questa dimensione a partire da lunedì prossimo.
L’elemento che tuttavia risulta più interessante osservare è quella parte sociale (sempre più significativa a Berlino) che ha tratti comuni con molti altri paesi dell’Eurozona: una composizione giovanile che anche in Germania è tra le più esposte agli effetti della crisi. Una soggettività sociale meticcia e non rappresentata (o forse non rappresentabile) che inizia ad essere invischiata nella progressiva diminuzione di ammortizzatori e di reddito che sta lentamente calando anche sul cuore dell’Europa. Uno spaccato sociale che inizia a “capire” cos’è la precarietà e che viene costantemente spinto verso le periferie dalle politiche di gentrification.

Una ampia fascia di popolazione che ancora regge, ma con crescenti difficoltà, all’urto della crisi grazie soprattutto al lascito storico: da un lato i fortissimi movimenti degli anni ’80 che hanno aperto ed in parte mantenuto la possibilità di accedere a costi bassissimi a beni come la casa; dall’altro i sommovimenti prodotti dall’integrazione post caduta del muro che ancora svolgono una funzione attiva nel fare di Berlino-capitale un luogo di attrazione di fondi federali, di sperimentazioni urbanistiche e di ampi margini di valorizzazione da riempire nei “vuoti” lasciati dalla fusione dei due precedenti sistemi. Questa composizione sociale non solo non guarda alle elezioni, ma purtroppo nemmeno è stata incanalata in movimenti. Infatti l’estrema scarsità di lotte sociali è un altro dato evidente a Berlino, nonostante esistano alcune interessanti anomalie e nonostante la presenza di gruppi politici rimanga significativa. Anzi paradossalmente (?) proprio nel momento in cui molti gruppi di movimento si coalizzano gli stessi militanti riscontrano uno dei momenti di maggiore bassa per le lotte, tendono ad elaborare percorsi percepiti da loro stessi come atti di testimonianza quale ad esempio la campagna Blockupy.

Dunque per gli interessi dei movimenti queste elezioni, a meno di grosse sorprese imprevedibili dai sondaggi, poco avranno da dire. Sarebbe forse ora di dismettere le lenti del nazionalismo metodologico che ancora tanto organizzano lo sguardo dei movimenti. Provare a guardare al contesto tedesco alla ricerca di elementi comuni, pur nelle profonde eterogeneità, può essere un esercizio produttivo in grado di solleticare l’immaginazione e la pratica di percorsi sociali di lotta transnazionale. Verso l’abbattimento di nuovi muri…

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