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Le danze di arancioni e sinistri vari

La lista arancione che si fregia di quella continuità con la “rivoluzione” dei sindaci che da Milano a Napoli ha visto un sostanziale smentirsi delle speranze investite parteinfatti con  già una notevole serie di contraddizioni. In sostanza questa proposta marcia su più binari: da un lato l’essere collettore di quei partiti di sinistra rappresentati da, DiPietro, Ferrero e Diliberto esclusi dal gioco delle primarie e dallo sbarramento elettorale; dall’ altro essere palco di lancio di alcune figure singole come De Magistris ed Ingroia che provano ad investire la propria “rispettabilità” (per il sindaco di Napoli già in difficoltà) per un trampolino politico dentro l’alveo del legalitarismo; infine per altri, più genuini, il tentativo di coprire uno spazio politico dentro le aule parlamentari provando a rappresentare il disagio sociale e il dissenso verso le politiche d’austerity che serpeggia sempre di più nel paese.

Questo pout-pourrì di aspirazioni individuali, di tirare a campare e di sostanziali differenze di impostazione politica rendono l’esperimento debole già alla sua nascita, ci sembra. Ad esempio, come conciliare le tensioni giustizialiste e legalitarie dei magistrati con la necessità di altri di farsi sponda istituzionale a movimenti e esperienze di lotta?

Chi vorrebbe proporsi come cinghia di trasmissione tra movimenti e politica parlamentare ancora una volta si dimentica di fare i conti con il reale, di fronte a degli spazi di manovra quanto mai pericolosi e stringenti, ad una composizione sociale che non riesce ancora e comunque a “rappresentare” ma che soprattutto non sia solamente ideologico, ma che si sporchi le mani dentro la vita di ogni giorno.

Anche l’approcio verso il Movimento 5 Stelle di alcune delle figure che attraversano questo contenitore ci testimonia la difficoltà nel leggere la fase, chi si oppone a Grillo tacciandolo di “populismo” o ancor peggio di essere solo un fattore distruttivo (magari fosse distruttivo per ora è solo destabilizzante e quindi fa paura) sbaglia ancora una volta il campo di battaglia su cui giocare la partita. La rabbia che si codifica dentro il consenso ai grillini, dentro le forme di organizzazione della base e dei militanti più genuini non si può leggere in maniera così semplicista, rappresenta in parte una composizione potenzialmente interessante (e altrettanto contraddittoria) per chi avrebbe almeno in embrione l’intenzione di porsi in controtendenza con le  politiche odierne, e di certo non è tacciando di populismo che si riuscirà a strappare parte di quel consenso. Invece di provare a porsi in competizione con il Movimento 5 Stelle sui territori con un lavoro costante e dinamico le liste arancioni si pongono su un piano retorico e ideologico che è immediatamente minoritario.

Ancora una volta c’è da chiedersi come si fa ad essere minoranza che guarda ad una maggioranza, come ci si pone il tema della battaglia politica e della sua egemonia, laddove invece si pratica in salse diverse il continuo già visto, dove si cercano scorciatoie facili a processi costituenti che nascono necessariamente dalla contrapposizione e dal conflitto, dalla costruzione di consenso e generalizzazione di quest’ultimo.

Chi pensa alla Syriza all’italiana rischia di rimanere con lumicino in mano e di mandare allo sbaraglio molti militanti di buona volontà, sempre meno, che altrimenti potrebbero avere un ruolo importante dentro i percorsi di lotta che fioriscono in Italia.

Rende bene il termometro della situazione (vista dall’interno) l’articolo di Guido Viale sul manifesto di qualche giorno fa:

 

«Cambiare si può» non è un taxi – Guido Viale (Il Manifesto)

Avevo detto – all’assemblea milanese convocata dai promotori dell’appello cambiaresipuò: secondo me un successo, quasi seicento presenze, molta attenzione, un dibattito ricco, una mozione molto impegnativa, che a parte alcune richieste di integrazioni, ha unito tutti – che quella proposta elettorale non può essere un taxi per portare in parlamento politici e partiti tradizionali che non hanno più la forza e il seguito per andarci da soli, con le loro identità logorate da un passato che li ha messi alle corde.

Ma che ora su quel taxi ci vorrebbero salire, magari anche solo per portare acqua al centro-sinistra, rispetto a cui i promotori di cambiaresipuò hanno invece fin dall’inizio dichiarato di voler rappresentare una alternativa radicale.

Cambiaresipuò, soprattutto visto il tempo a disposizione che ha bruciato la possibilità di un processo di costruzione della lista sufficientemente ampio e partecipato, è una zattera troppo fragile per sostenere senza affondare il peso dei dinosauri che hanno deciso di imbarcarsi sopra di essa. Se restassero a riva, aiutandola e sostenendola nel suo viaggio, sarebbero i benvenuti; ma una volta a bordo – da Di Pietro a Diliberto, da Ferrero a Bonelli, con relativi seguiti – rischiano di occupare tutto lo spazio disponibile, quali che siano le loro dichiarazioni di principio (di cui, peraltro, in molte delle assemblee svoltesi finora – non quella di Milano – hanno dimostrato di tenere ben poco conto). Lasciando così le candidature espresse dai movimenti, dai comitati, dagli studenti, dai Gas, dalle fabbriche in lotta, che dovrebbero risultare la ragion d’essere di questa lista, in un ruolo di pura facciata.

Anche i 10 punti sottoscritti da Ingroia, Orlando e De Magistris soprassiedono a quella che è la vera discriminante che ha spinto molti di noi a spendersi per il progetto cambiaresipuò, cioè la necessità di una radicale revisione delle politiche di austerity promosse da Bce e Commissione europea; le quali politiche, in tutti i paesi dell’Europa mediterranea, sono il cappio messo al collo dell’occupazione e del reddito dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati, dei servizi sociali – scuola, sanità, Università, ricerca, cultura, housing – dei servizi pubblici locali, del patrimonio pubblico, condannati alla privatizzazione in nome del patto di stabilità. Con la conseguenza di condurci tutti verso quel destino di sfacelo economico, sociale, ambientale, politico e della convivenza civile a cui la cosiddetta Troika ha già condannato la Grecia. Di questa “dimenticanza” le aperture verso il centro-sinistra e, di conseguenza, verso un governo allineato sulla realizzazione della cosiddetta “agenda Monti”, non sono che un logico risvolto. E forse sono anche una delle ragioni di fondo della incapacità dei firmatari di quei 10 punti di misurarsi con un progetto di radicale rinnovamento dei comportamenti politici, e della scelta di trattare il progetto cambiaresipuò, duole dirlo, un po’ troppo come “cosa loro”. Senza nemmeno sentire il bisogno di metterne i promotori a parte delle loro decisioni, fino a che non le hanno sapute dai media. E delegando tutto a un’assemblea improvvisata, convocata a ridosso di quella che cambiaresipuò ha invece indetto a conclusione di un percorso durato oltre un mese, e dopo una consultazione sviluppata in tutto il paese con più di cento assemblee locali.

Certamente questa corsa a imbarcarsi sulla lista arancione, che fin dall’inizio si è presentata come partner di cambiaresipuò e che ora funge invece da passepartout per l’ingresso nella lista comune, è un segno e una conseguenza del riscontro che la nostra proposta ha riscosso in vastissimi strati della popolazione; e che molto di più ne potrebbe riscuotere mano a mano che avanzano, pur nei tempi stretti della scadenza elettorale, la crisi del movimento cinque stelle, finalmente rivelatosi proprietà privata di un leader e di una struttura aziendale; ma anche quella del Pd, che dopo l’apparente “trionfo” delle primarie, si trova a dover competere con l’ingombrante figura di Monti, che proprio il Pd ha contribuito a edificare nel corso dell’ultimo anno. Per non parlare dei partiti della residua sinistra, non a caso impegnati in una corsa al si salvi chi può. Ma il modo di fare è in questo campo sostanza; una vera alternativa di respiro generale al montismo, che aspiri a iniziare un percorso, certo non breve, in direzione della conquista della maggioranza in tutto il paese, richiede un approccio molto più attento alle condizioni necessarie per ottenere il sostegno del mondo del lavoro e della cittadinanza attiva a cui si rivolge.

A mio avviso – parlo a titolo personale, ma so che molti dei promotori della lista e di molte organizzazioni che hanno aderito con entusiasmo a questo progetto la pensano allo stesso modo – questo modo di fare tradisce tutte le premesse su cui, anche nella morsa imposta dai tempi strettissimi della presentazione delle liste, è nato il progetto cambiaresipuò e sono cresciute nel paese le aspettative che esso sta suscitando. Mi auguro che le assemblee del 21 e del 22 dicembre (cambiaresipuò) confermino quel “passo indietro” dei leader di partito e di quel che resta dei loro apparati organizzativi che i promotori del manifesto cambiaresipuò hanno sempre proposto, suggerendo loro di aggregarsi in un comitato di sostegno e non in una occupazione delle liste. Diversamente potrebbe diventare improponibile – per lo meno per me – la prosecuzione di un percorso comune. Non abbiamo bisogno di una nuova lista “arcobaleno”, magari agganciata al carro del centro-sinistra, senza nemmeno dichiararlo apertamente.

Comunque sia, le assemblee locali di cambiaresipuò e, in particolare quella di Milano che ho avuto l’onore di presiedere insieme ad altre cinque persone (uomini e donne in misura paritaria, come lo sono stati, rigorosamente, gli interventi) hanno evidenziato, di fronte allo sfascio del paese e della politica ufficiale, una spinta unitaria da parte di tutti gli intervenuti che nessuno spirito di parte o di partito potrà più – mi auguro – soffocare. Per questo la loro riconvocazione (a Milano, il giorno 29 dicembre), quale che sia la decisione che sulla presentazione e la caratterizzazione della lista e sull’eventuale selezione delle candidature, rappresenterà comunque un momento fondamentale del consolidamento di un percorso di aggregazione su un programma comune che può coinvolgere milioni di cittadine e di cittadini, di lavoratrici e di lavoratori, di disoccupate e di disoccupati. Un risultato da cui non si deve più tornare indietro.

 

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