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Elezioni nel Regno Unito: vince Cameron ma gli indipendentisti si prendono la Scozia

E’ un vero e proprio terremoto politico quello che sta investendo il Regno Unito dopo lo spoglio dei voti per le elezioni politiche. Ad accreditarsi come vincitori, con una maggioranza assoluta pari a 331 seggi (su un totale di 650, ma con un quorum che scende a 323 dal momento che i parlamentari irlandesi dello Sinn Fein non prendono parte alle consultazioni di Londra) sono i conservatori del primo ministro David Cameron, che in controtendenza rispetto a quasi tutti i sondaggi della vigilia riescono così raddoppiare il proprio mandato aumentando anche il numero di seggi rispetto all’ultima tornata elettorale (+37).

Ad uscire sconfitti sono innanzitutto i liberaldemocratici di Nick Clegg (dimessosi poco dopo avere conosciuto i risultati) che perdono 48 seggi e scontano l’alleanza con il governo conservatore ma, soprattutto, il mancato mantenimento delle precedenti promesse elettorali come quella relativa all’aumento delle tasse universitarie che i libdem – contrariamente a quanto poi accaduto – avevano assicurato di volere mantenere invariate. Pessimo risultato anche per lo Ukip (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito), il partito xenofobo e populista anti-UE guidato da Nigel Farage, che si è dimesso dopo essere uscito sconfitto nel suo seggio; nonostante risulti il terzo partito per numero di voti, il movimento euroscettico non riesce a replicare il successo delle ultime elezioni europee ottenendo solo due seggi, probabilmente in favore dei conservatori, abili a riutilizzare alcuni degli slogan più radicali a loro vantaggio.

I veri sconfitti della tornata risultano però i laburisti di Ed Miliband (anche lui ha presentato le dimissioni) che, pur tenendo sostanzialmente nelle roccaforti in Inghilterra e Galles (e crescendo dello 0,8% rispetto al 2010), vengono letteralmente asfaltati dal voto per la sinistra dello Scottish National Party (SNC), che in Scozia ha superato il 50% aggiudicandosi 56 seggi sui 59 disponibili, 50 in più rispetto alle ultime elezioni. Il Labour dunque scompare dalla legenda politica di quella che rappresenta da sempre una delle sue roccaforti, la Scozia: qui la sinistra indipendentista fa piazza pulita, forte di un programma decisamente progressista che ha messo al centro della campagna elettorale la fine dell’austerità, il miglioramento dei servizi pubblici e, ovviamente, la lacerante questione dell’indipendenza.

I laburisti pagano così la disastrosa contrapposizione frontale con lo SNC durante il referendum dello scorso 18 settembre e la mancanza di sapere anteporre un programma effettivamente di sinistra alla questione nazionale. La patata bollente passa dunque nelle mani del nuovo esecutivo conservatore, che per bocca del primo ministro Cameron ha confermato la volontà di tenere un referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea entro il 2017; a questo si affiancherebbe la promessa di elargire alla Scozia “il più forte governo autonomo del mondo”, ma un’eventuale uscita del Regno dalla UE potrebbe ragionevolmente rintuzzare le velleità indipendentiste dello SNC: secondo numerosi sondaggi, infatti, già all’indomani del referendum di settembre una nuova consultazione avrebbe portato ad un esito dal segno opposto, ipotesi che oggi si rafforza notevolmente dopo l’exploit del partito nazionalista.

Al clamoroso dato scozzese si affianca una tenuta degli altri partiti indipendentisti, Plaid Cymru in Galles e Sinn Fein in Irlanda del Nord – quest’ultimo penalizzato dalla grande frammentazione dello scacchiere repubblicano, ma pur sempre secondo partito nell’Ulster e, secondo recenti sondaggi, primo partito nell’Eire (con un programma progressista e antiliberista non dissimile da quello dello SNC) – che in qualche modo amplifica la percezione di un Regno mai così poco “unito”. In questo senso nei prossimi anni potrebbe darsi un panorama sempre più frammentato dal punto di vista nazionale, ma che attraverso la riproduzione della proposta indipendentista riesca a rompere lo schema bipolare che vede nell’alternanza tories-labour la pura riproducibilità di un modello politico/economico sottomesso al paradigma neoliberista.

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