
Qesser Zuhrah: la studentessa che potrebbe presto diventare la più giovane persona a morire in uno sciopero della fame nel Regno Unito
Giunta al cinquantesimo giorno di rifiuto del cibo, la manifestante di Palestine Action detenuta in carcere, Qesser Zuhrah, è ora in pericolo di vita
Oggi è il cinquantesimo giorno dello sciopero della fame di Qesser Zuhrah, iniziato dopo oltre un anno trascorso nel carcere di HMP Bronzefield, nel Surrey, dove attende il processo.
In un appunto scritto dal letto d’ospedale, dopo essere stata trasferita in ambulanza, ha raccontato che le guardie le avevano chiesto perché si rifiutasse di mangiare. «Forse si stavano vergognosamente interrogando su ciò che significavano la catena al mio braccio destro e la flebo a quello sinistro», ha scritto.
«Tutto ciò che vogliamo è poter tornare a casa, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità. Una casa per noi e una casa per il popolo palestinese».
La polizia antiterrorismo ha arrestato Zuhrah nel novembre dello scorso anno con l’accusa di rapina aggravata, danneggiamento criminale e disordini violenti, nell’ambito di un’azione di Palestine Action contro un centro di ricerca nel Regno Unito di proprietà del maggiore produttore di armi israeliano, Elbit Systems.
Per alcuni è una prigioniera politica che prende posizione contro quella che ritiene la complicità del governo britannico in un genocidio. Per altri è una giovane fuorviata, sospettata di terrorismo, che mette a rischio la propria vita in un atto di politica simbolica.
Esiste ora un rischio imminente che Zuhrah, che ha compiuto 20 anni in carcere lo scorso gennaio, diventi la persona più giovane a morire durante uno sciopero della fame in una prigione del Regno Unito, e la prima a farlo senza processo né condanna.
«Abbiamo parlato molte volte di tutti i possibili esiti – e anche della morte – sedute l’una di fronte all’altra, con il tavolo del carcere tra noi e entrambe spaventate», ha detto Ella Moulsdale, migliore amica di Zuhrah e sua compagna di studi all’University College London.
«C’è sempre il rischio di morire», ha aggiunto Moulsdale, spiegando che la frequenza cardiaca a riposo dell’amica aveva raggiunto i 127 battiti al minuto (la norma è tra i 60 e i 100 bpm). «Stai portando il tuo corpo a un livello di fame che non dovrebbe mai raggiungere e per cui non è fatto, un punto in cui il corpo inizia a divorare se stesso».
Zuhrah, studentessa al secondo anno di scienze sociali, ha quattro fratelli più piccoli, uno dei quali, Salaam Mahmood, 19 anni, è detenuto nel carcere di HMP Belmarsh con l’accusa di aver preso parte a un’azione di Palestine Action. Non ha parlato pubblicamente dei suoi genitori.
Moulsdale, 21 anni, sta agendo come parente di riferimento. Ha raccontato che quando si sono conosciute «aveva questa energia contagiosa: una diciannovenne frizzante e divertente che cambiava l’atmosfera di una stanza».
«Tutti la conoscono come una persona coraggiosa, e lo è, ma poi mi telefona dalla sua cella dicendo: “Ciao, c’è un ragno. Che faccio? Aiutami a farlo uscire”».
Zuhrah è una delle cinque persone in sciopero della fame, di età compresa tra i 20 e i 31 anni, in attesa di processo per presunti reati legati alle campagne di Palestine Action. Tutte rifiutano il cibo da almeno 42 giorni e stanno sviluppando complicazioni sanitarie sempre più gravi. Tra loro c’è Teuta Hoxha, 29 anni, al 43° giorno del suo secondo sciopero della fame negli ultimi mesi. Amu Gib, 30 anni, è al 50° giorno, mentre Heba Muraisi è al 49°.
Il governo ha rifiutato di interloquire con i detenuti o con i loro avvocati in merito a una lista di richieste che comprende la libertà su cauzione, la fine di quella che definiscono censura delle loro comunicazioni, l’annullamento della decisione di mettere al bando Palestine Action come organizzazione terroristica e la chiusura delle varie attività di Elbit nel Regno Unito.
Gli avvocati dei detenuti stanno valutando un’azione legale, sostenendo che le linee guida del Ministero della Giustizia (MoJ) in materia di scioperi della fame prevedono che un rappresentante del governo – un alto funzionario o un superiore – debba incontrarli o accettare di operare tramite un mediatore per risolvere la situazione. James Timpson, ministro per le carceri, ha cercato di minimizzare le pressioni della campagna, esplose la scorsa settimana quando le famiglie degli scioperanti hanno tenuto una conferenza stampa descrivendo il rapido deterioramento delle loro condizioni.
Timpson ha affermato che il servizio penitenziario è «molto esperto nella gestione degli scioperi della fame» e che nelle carceri britanniche se ne registrano in media più di 200 all’anno. Questa cifra si baserebbe su dati relativi ai «rifiuti di mangiare», categoria che comprende tutti i detenuti che hanno rifiutato il cibo per 48 ore, o liquidi e cibo per 24 ore.
Secondo dati governativi, otto uomini sono morti in carcere tra il 1999 e il 2022 dopo aver rifiutato il cibo. Nessuna donna è morta nello stesso periodo.
Una fonte del MoJ ha dichiarato che i detenuti sono stati posti in custodia cautelare da un giudice e che non spetta al dipartimento interferire.
Una fonte di alto livello del sistema carcerario ha detto: «Sono oltre i 40 giorni. Potrebbero provocarsi danni irreparabili. Sono davvero preoccupato che molte persone stiano incoraggiando dei giovanissimi a fare cose davvero stupide. Si sono messi con le spalle al muro, questi ragazzi», ha aggiunto, affermando che il governo sta prendendo la questione seriamente ma senza mostrare segni di voler cedere per primo.
Non è chiaro se una donna sia mai morta in una prigione del Regno Unito durante uno sciopero della fame come atto di protesta, ma Mary Jane Clarke, una suffragetta, morì il giorno di Natale del 1910, due giorni dopo aver trascorso un mese in carcere per aver infranto una finestra. Iniziò uno sciopero della fame e venne alimentata forzatamente, pratica che si ritiene collegata alla sua morte per emorragia cerebrale. L’alimentazione forzata dei detenuti capaci di rifiutare razionalmente il cibo è considerata un atto di tortura dagli anni Settanta.
Kerry Moscogiuri, di Amnesty International UK, ha invitato il governo a «fare tutto ciò che è in suo potere per porre fine a questa terribile situazione». Moulsdale, che è in contatto quasi quotidiano con Zuhrah, ha detto di credere che l’amica sia determinata a proseguire lo sciopero della fame, ma ha aggiunto: «Voglio che viva. Voglio davvero che viva. E so che anche lei vuole vivere».
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