
Il nucleare sta alla sostenibilità come il riarmo sta alla fine delle guerre: la grande trappola del nostro tempo (II parte)
Pubblichiamo la seconda puntata dell’approfondimento elaborato a seguito del convegno “Energia nucleare, il bisogno e il non detto” in vista dell’Assemblea Regionale di Confluenza di Sabato 12 luglio a Mazzé: “Il destino dell’agricoltura e del suolo in Piemonte: tra agri-fotovoltaico e nucleare”. Ricordiamo di iscriversi al FORM per avere indicazioni sulla partecipazione e organizzare al meglio l’accoglienza per l’assemblea.

Qui si può leggere la prima puntata.
La Storia del nucleare nel mondo: tra imposizione e resistenza
Enzo Ferrara, presidente del Centro Studi Sereno Regis, ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) di Torino
Come si relazionano scienza e democrazia nella storia passata? Alcuni passaggi della storia aiutano a comprendere come sia venuto a crearsi il contesto attuale.
A seguito degli accordi stipulati nel 1963 dal nome “Trattato per il bando degli esperimenti di armi nucleari nell’atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquee” per bandire i test nucleari, numerosissimi si sono registrati nel sottosuolo. Soltanto pochi anni prima, nel 1957, era stata fondata l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (acronimo AIEA), un organo che gestiva le attività e aveva funzione – indipendente da altre organizzazioni – di gestire la materia in merito al nucleare. Le altre organizzazioni hanno sì possibilità di intervento ma è l’AIEA ad avere potere di gestione. Ciò accade in un periodo storico in cui avveniva un test nucleare a settimana e la deriva culturale a riguardo del nucleare impregnava la società tutta. Certe considerazioni non dipendono dalla consapevolezza scientifica ma dal senso di responsabilità che abbiamo, nella storia e a livello soggettivo. Dopo la tragedia del 1986 – l’esplosione di Chernobyl – continua ad essere la AIEA a gestire la materia nucleare e si verificano numerose anomalie all’interno stesso dei suoi organi.
Durante il governo Prodi viene emanato un decreto che definisce le condizioni di riferimento per le materie oggetto di segreto di Stato, quindi quelle strategiche : vengono così identificati tutti i luoghi, come impianti per produzione di energia e altre infrastrutture critiche, considerati critici e viene definito che in questi luoghi le funzioni di controllo non saranno svolte dagli enti pubblici ma da altri organi di controllo autonomi. Ad esempio, in caso di perdita in un sito di interesse strategico non sussiste l’obbligo di comunicarlo alla popolazione ma soltanto al potere centrale.
Bruna Bianchi, Dipartimento di Studi storici, Università di Venezia
Sono esistite esperienze di resistenza e di opposizione a questa tendenza che hanno provato a ritagliare contesti e spazi in cui scienza e democrazia fossero messe a critica.
Come già sottolineato in precedenza, negli anni ‘60 le sperimentazioni nucleari erano da anni al loro apice, quando nacque il gruppo Women Strike for Peace. Si definiva una “non organizzazione” che metteva a critica la modalità dell’agire insieme come primo atto politico: “noi non vogliamo presidenti, commissioni, comitati, lunghe serie di riunioni. Vogliamo solo parlare ad alta voce e dire ai nostri rappresentanti eletti che non ci stanno adeguatamente rappresentando, continuando la corsa agli armamenti e aumentando così la minaccia di una distruzione totale”.
La Women Strike for Peace nasce il 1 novembre 1961 dallo sciopero che coinvolse 50.000 donne in diversi centri degli Stati Uniti. L’appello allo sciopero fu un’iniziativa spontanea partita da una illustratrice per l’infanzia, Dagmar Wilson, che si sentì oltraggiata come essere umano dall’arresto di un anziano che manifestava pacificamente contro il nucleare. Le donne, principalmente di classe media che si riunirono a Washington recitavano “protestiamo contro la morte e la distruzione, per la vita e la libertà; siamo casalinghe e lavoratrici, molte di noi sono madri”.
Il successo dello sciopero, che incontrava uno stato d’animo collettivo, favorì la nascita di un movimento nuovo, femminile. Questo avrebbe permesso di estendere in prospettiva i suoi obiettivi al pacifismo più globale: dalla preoccupazione materna della salute dei propri figli contro l’inquinamento radioattivo al sostegno alla fine della Guerra del Vietnam. A differenza di altri gruppi impegnati per la pace e il disarmo, queste ribelli venivano nominate “con la borsetta e i guanti bianchi” ed erano consapevoli che la contaminazione del latte era il problema più importante che toccava le donne. Criticavano anche la Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF), che non aveva ancora criticato il nucleare, ma credeva nell’ “atomo buono”. In quegli anni la WILPF aveva una filosofia di pace principalmente rivolta alle istituzioni, trascurando l’azione diretta, al contrario del nuovo movimento. Tale nuovo movimento, WSFP, non violento, ispirato ai movimenti civili sudamericani e alle suffragiste britanniche, riuscì, grazie alla sua determinazione, a farsi riconoscere dal segretario ONU come avente ruolo attivo nel processo che portò all’approvazione del primo trattato per la non proliferazione nucleare negli anni 70.
Nel 1962 esce Primavera Silenziosa di Rachel Carson, considerata una delle radici dell’eco femminismo. A lungo considerato come grido di allarme contro i pesticidi, in realtà il libro poneva il focus sulle radiazioni che stavano distruggendo le capacità rigenerative della natura:
“A partire dall’era atomica, il carattere dell’indifferenza umana sulla natura era mutata da una forza aggressiva a una forza di trasformazione fatale. Nel corso degli ultimi 25 anni questo potere […] ha assunto un aspetto nuovo: questo inquinamento è nella maggior parte dei casi irreparabile e le sequenze di radiazioni da esso scatenate […] sono irreversibili […] in questa contaminazione ormai universale dell’ambiente gli agenti chimici diventano sinistri coadiutori delle radiazioni nel trasformare la natura stessa nel mondo e nella sua vita”. La condanna di Carson si rivolge alla scienza che definisce “scienza maschile”, sostenendo che occorreva mettere fine alla scienza da laboratorio percepita come religione in cui uomini sono rinchiusi come “sacerdoti”. La scienza è parte del vivere, la scienza non è controllo ma appartiene alle cittadine e ai cittadini.
La questione della scienza affonda radici più lontane, ad esempio prendendo a riferimento gli anni dal ‘55 al ‘58, l’epidemiologa Alice Stewart aveva dimostrato che livelli minimi di radiazioni erano causa di morte infantile. La sua ricerca andò avanti per 20 anni e dimostrò che non vi è una soglia al di sotto della quale le radiazioni possano essere considerate innocue.
“Bisogna osservare come in astronomia: non è possibile controllare ciò che osserva, perché non è possibile dominare il sole e la luna, non è possibile interferire come una direttrice d’orchestra su di essi. Non è possibile osservare come in laboratorio: eliminando il ‘rumore’, l’imprevisto, l’incomprensibile ma entrando in sintonia con l’organismo e scoprendo le connessioni, tollerando le contraddizioni, rimanendo aperte a tutte le possibilità finché la complessità nascosta non avesse disegnato un quadro”. La sua ricerca riuscì a smentire le conclusioni dell’inchiesta del 1950 degli USA in Giappone che sosteneva ci fosse una soglia sotto la quale le radiazioni fossero innocue.
Un altro movimento fu quello delle Donne di Greenham Common, che per 20 anni impedì l’arrivo dei missili a Greenham Coomon. Oggi quell’area dove esisteva la base militare, è area di rifugio della fauna selvatica. La filosofia alla base del movimento: “se non facciamo l’impossibile, dovremo affrontare l’impensabile”. Movimento che riuscì a convocare 30.000 donne nell’inverno dell’82 intorno alla base: attiviste che riuscirono a resistere anni.
Lo stato d’animo che spiega la nascita di questi movimenti è stato oggetto di riflessione di Rosalie Bertell: “noi umani abbiamo creato un processo di morte” e la piena accettazione e comprensione della nostra condizione all’interno di un processo di morte ha fatto nascere questo movimento. Bertell prende ispirazione dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kubler-Ross che tematizza ‘la morte e il morire’: paragona la condizione del morente alla condizione umana al tempo del nucleare. Descrive così varie fasi di consapevolezza :
Fase 1: condizione difficile da sopportare (stato d’animo più diffuso)
Fase 2: la collera, la capacità di piangere (stadio importante che il movimento pacifista aveva raggiunto)
Fase 3: venire a patti, quando si ha una parziale consapevolezza della situazione ma la risposta è debole, andare al di là della pubblicazione di opuscoli, dell’organizzazione di dibattiti e proteste
Fase 4: accettazione completa, la consapevolezza profonda della morte della specie
Il libro di Rosalie Bertell ‘No immediate danger’ è stato fin da subito considerato la continuazione di ‘Primavera silenziosa’, in quanto critica a quel lento avvelenamento imposto come mezzo di sviluppo che si dovrebbe forzatamente accettare.
La storia del nucleare sul territorio: Saluggia e la storia del Piemonte
Gian Piero Godio, già tecnico del CNEN di Saluggia, referente dell’Osservatorio sul Nucleare.
Come si formano le scorie radioattive
Tramite la fissione nucleare vengono generati materiali radioattivi instabili, dette scorie. Questi materiali si generano all’interno di una centrale nucleare, quindi quando il vaso di Pandora si apre tutto fuoriesce, non è che i prodotti radioattivi si formano in quel momento.
In Piemonte conosciamo bene la questione perché di generazioni di materiali radioattivi ne abbiamo avuti diversi: una centrale nucleare a Trino, una centrale di riprocessamento a Saluggia, un impianto di fabbricazione di elementi di combustibile nucleare per reattori ad acqua leggera 8a partire da ossidi di uranio a basso arricchimento) a Bosco Marengo 1, un deposito a Tortona, due miniere di uranio e un centro di ricerca internazionale a Ispra sul Lago Maggiore, pur sempre in Lombardia ma incombe sul Piemonte. Inoltre ci sono procedimenti in corso per poter riaprire le miniere di estrazione di uranio come a Peveragno: la radiazione è naturale, in quanto il materiale è radioattivo di per sé anche se in percentuale minima ma rimane materiale pericoloso.

Un passaggio sugli inganni del passato può essere utile per l’oggi visto il ritorno in voga della narrazione nucleare e visto che noi in Piemonte è qualcosa che abbiamo già sperimentato. Le centrali atomiche in Italia erano quattro e in tutta la loro vita hanno prodotto energia elettrica per 80 miliardi di kWh. L’Italia consuma ogni giorno 1 miliardo di kWh, ciò significa che nel complesso hanno sostenuto 80 giorni di energia elettrica. In cambio le quattro centrali nucleari italiane hanno lasciato rifiuti radioattivi per 2 miliardi di miliardi di Becquerel (Bq), sostanza che emette ogni secondo una radiazione. Al tempo veniva annunciata sui giornali la centrale di Trino, l’ingegnere capo della centrale diceva che non ci sarebbero stati pericoli, e che non si sarebbero dovute temere eventuali scorie “nel caso improbabile che si abbia la formazione di scorie esse saranno impastate in blocchi di calcestruzzo che saranno imbarcati e sprofondati nell’oceano” o nocività nell’acqua, né ceneri radioattive; non ci sarebbe stato quasi nessun di rischio scoppio “eventualità rarissima di cui si terrà conto nella costruzione”. L’altro centro nucleare era quello di Saluggia, lungo la Dora Baltea e a monte dei pozzi del più grande acquedotto del Piemonte. Negli anni ‘60 nasceva un piccolo reattore di ricerca fatto dalla FIAT che venne chiamato Avogadro e che doveva essere uno “strumento per le ricerche scientifiche”. Oggi la situazione delle scorie a Saluggia è definita ad altissima radioattività perché sono state portate lì le barre da sciogliere per recuperare uranio e plutonio riutilizzabili ma anche perché tutta la parte radioattiva della Campania venne portata in smaltimento dentro i locali dell’ex reattore Avogadro, a pagamento. La società che lo gestisce oggi è Stellantis e l’Italia, attraverso Sogin, paga alcuni milioni di euro all’anno per tenere i materiali in quel deposito. Il primato di Saluggia e il primato del Piemonte in generale si può individuare nel fatto che il territorio svolge già il ruolo di deposito nazionale, con l’aggravante che lo si sia fatto in un posto totalmente inidoneo.

E’ indispensabile un deposito per seppellire le scorie ma allo stesso tempo nessuno dovrebbe più parlare di progettare nuove centrali nucleari. Gli orientamenti del Governo attuale fanno venire il dubbio che si stia utilizzando il cavallo di troia del deposito nazionale per costruire nuove centrali. Oggi in Italia abbiamo rifiuti (scorie), strutture delle centrali, combustibile (ritrattabile che può essere sciolto per recuperare i materiali ma anche non ritrattabile perchè non esistono i processi), rifiuti da attività sanitaria, di origine militare e rifiuti che sono stati sparsi nell’ambiente. Bisogna sottolineare che i rifiuti del nucleare, come il Plutonio 239 che è il più pericoloso, a causa delle centrali di Saluggia e di Fermi di Trino, possono essere scaricati nelle acque, infatti all’oggi le leggi vigenti (molto permissive) autorizzano lo scarico nel Po di 100 grammi di Plutonio all’anno. Sapere che un impianto nucleare è autorizzato a procedere con degli scarichi di routine fa riflettere. In Piemonte abbiamo una distribuzione di rifiuti radiattivi a media intensità che pertanto avrebbero necessità di un deposito in profondità e non di superficie. In Italia di rifiuti ce ne sono 75mila metri cubi a bassa intensità e 17 mila a più alta radioattività. ERDO è l’ente europeo che dovrebbe occuparsi di gestire le scorie ma è inattivo da decenni. L’accordo con l’Inghilterra prevede che i materiali all’estero dovranno rientrare nel territorio italiano prima del dicembre 2025. Gli esperti di Sogin nella relazione del 2023 dicono che i materiali torneranno per essere stoccati temporaneamente nel sito del deposito Avogadro. La proposta sarebbe quindi portare qui 100 volte quello che già c’è sul nostro territorio. Alla domanda “le scorie radioattive dove nasconderle?” la risposta deve essere “le scorie radioattive non bisogna più produrle”.

Il nucleare è nato come arma di guerra, oggi l’orizzonte verso il quale i governi di tutto il mondo tendono è la guerra. Pensare che il Governo italiano possa immaginare di sdoganare la produzione nucleare sul territorio nazionale è un rischio che non è accettabile correre per motivi sociali, politici, economici, ambientali.
Blocco del maggio 2011 del treno di scorie che da Saluggia doveva andare in Francia alla stazione di Avigliana da parte dei comitati No Nuke e No Tav per mettere in luce la questione e sensibilizzare sui trasporti pericolosi che attraversano il Piemonte senza alcuna misura di sicurezza e nel silenzio delle informazioni
- L’impianto è stato esercito dal 1973 al 1995 dalla Fabbricazioni Nucleari S.p.A. (FN), fabbricando combustibili per le centrali nucleari italiane (ricariche della centrale di Garigliano, prima carica e ricariche per la centrale di Caorso, ricariche per la centrale di Trino) e per reattori esteri. Dal 1995 ha cessato le attività di fabbricazione di combustibili nucleari e dal 2003 l’impianto è gestito dalla SO.G.I.N. ed è in disattivazione con Decreto Ministeriale del 27 novembre 2008. Nell’impianto, quando sono state fermate le attività di fabbricazione, vi erano stoccate circa 112 tonnellate di combustibile nucleare. Il materiale è stato tutto allontanato e trasferito all’estero. L’ultimo trasporto è avvenuto nel novembre 2006.
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