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Nuovo DDL nucleare: via libera all’energia dell’atomo in Italia. Alcune considerazioni per prepararsi al contrattacco

Pubblichiamo il primo di una serie di contributi sul tema del nucleare. Questo testo è stato realizzato dal collettivo Ecologia Politica di Torino che prende parte al progetto Confluenza.

Buona lettura!

IL DISEGNO DI LEGGE SUL NUCLEARE “SOSTENIBILE”

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo scorso 2 ottobre il disegno di legge delega che punta a reintrodurre l’energia nucleare nel mix energetico nazionale, ignorando i risultati dei due referendum popolari — nel 1987 e nel 2011 — che avevano sancito la volontà della popolazione di abbandonare l’atomo. Come già annunciato durante la COP29 in Azerbaijan, il governo Meloni inserisce il nucleare sostenibile nel piano energetico nazionale, presentandolo come un passo “strategico” verso la sicurezza e l’autonomia energetica della Nazione. 

Il decreto legge delega il Governo a disciplinare la produzione di energia nucleare sostenibile (anche ai fini della produzione di idrogeno), la disattivazione o lo smantellamento degli impianti esistenti e la gestione dei rifiuti radioattivi. Attraverso questo decreto si delineerà un Programma nazionale che implementerà la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia nucleare da fissione e da fusione. Fondi pubblici verranno destinati alla costruzione di prototipi, alla formazione di personale tecnico e alla partecipazione italiana ai programmi europei sul nucleare e sui suoi avanzamenti in ambito tecnologico in particolare quelli riguardanti gli SMRs (Small Modular Reactors). 

Il nuovo decreto assicura di occuparsi di un nuovo nucleare, quello di terza generazione, talmente nuovo che ancora non esiste su forma commerciale, vedi l’energia da fusione e i tanto citati SMRs. L’energia atomica sarebbe diventata sicura, affidabile e facilmente regolabile: motivo per cui il Governo con questo decreto prevede di scrivere una nuova pagina della storia energetica italiana (facendo passare tutto in sordina). 

Nel DDL aleggia la solita strada spianata propria delle grandi opere: possibilità di cambiare i piani urbanisitici, possibilità di annoverare tali centrali e opere annesse come di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e pertanto potenzialmente accompagnate da espropri. Nel caso in cui qualcuno non dovesse credere alla favola del nucleare sostenibile, sono pronte campagne di informazione e convincimento destinate ai cittadini. 

Nella relazione illustrativa del DDL nucleare emerge la narrazione che fa da quadro concettuale. Il nucleare è presentato come la fonte salvifica, l’unica in grado di permettere il raggiungimento degli obbiettivi di decarbonizzazione entro il 2050, l’unica in grado di conseguire la sicurezza e l’indipendenza energetica del Paese. Le interferenze degli eventi geopolitici attuali e le politiche energetiche dei paesi fornitori starebbero minacciando l’approvvigionamento energetico italiano, la domanda di energia elettrica sarebbe in aumento: non ci sarebbe altra via se non l’implementazione del nucleare. 

D’altronde il paradigma attorno a cui si costruisce il decreto è ben chiaro, soprattutto nell’evocare il Principio della neutralità tecnologica per cui “le politiche energetiche e ambientali non devono favorire a priori una o più tecnologie specifiche, ma stabilire obbiettivi chiari, lasciando al mercato e agli operatori la scelta delle opzioni tecnologiche più efficaci e competitive.” 

Il DDL trova il modo di raggirare anche i due referendum come se nulla fosse: il nucleare sostenibile non è tecnologicamente comparabile con quello a cui il Paese aveva rinunciato. Il quadro politico e le circostanze sono totalmente cambiate rispetto agli anni dei referendum, per cui scatta il semaforo verde sul piano giuridico, è possibile intervenire in materia senza consultare i cittadini che più volte avevano espresso la contrarietà all’atomo nello stivale. Questa rinnovata corsa all’atomo sembra più un riassetto industriale e politico che una reale risposta ai problemi energetici del Paese. 

Il tutto avviene in un contesto in cui l’Italia non ha ancora risolto i nodi aperti del suo passato atomico: da oltre dieci anni la Sogin (la società pubblica incaricata del decommissioning nucleare) non è riuscita a individuare il Deposito Unico Nazionale (DUN) per le scorie radioattive. Come può dunque un Paese che non sa dove smaltire i rifiuti del vecchio nucleare immaginare di ripartire con uno nuovo?

Già il 16 giugno il Governo anticipava le sue mosse aderendo all’Alleanza per il Nucleare Europeo, un progetto che coinvolge 14 Stati membri e oltre 250 partner industriali, tra cui Google e Microsoft ma anche le italiane Newcleo, Ansaldo Nucleare, Fincantieri e Rina, aziende come la Walter Tosto di Chieti, la mantovana Belleli Energy, la bergamasca Brembana&Rolle nonché i comparti della ricerca tra cui l’Università di Pisa, il Politecnico di Milano e l’Agenzia industrie difesa. 

Per studiare tecnologie nucleari avanzate e analizzare le opportunità di mercato nel settore del nuovo nucleare, Leonardo, Enel e Ansaldo hanno giocato d’anticipo fondando la società Nuclitalia nel maggio 2025. Società in cui è prevista anche la partecipazione del Ministero dell’economia e finanza, oltre che del Ministero dell’Ambiente e quello dell’Impresa e del Made in Italy. Più che un rilancio scientifico, sembra delinearsi un asse industriale-militare, in cui il know-how energetico diventa funzionale a un più ampio sistema di difesa e controllo tecnologico. 

Non è un caso se il 23 ottobre 2022 Roberto Cingolani (Ex Ministro della Transizione ecologica durante il Governo Draghi) è stato nominato Consigliere per l’energia del governo Meloni per poi, il 12 aprile 2023, essere investito della carica di Amministratore Delegato di Leonardo S.p.A, società per cui già nel 2019 svolgeva il ruolo di Responsabile Tecnologie e Innovazione nel settore difesa e aerospazio. 

Il CEO di Leonardo, noto per essere il “Ministro che odia gli ecologisti”, è sempre stato ostile nei confronti di ambientaliste e ambientalisti, definendoli “radical chic, oltranzisti, ideologici”. Ha affermato: “loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato. Sono parte del problema, spero che rimaniate aperti a un confronto non ideologico, che guardiate i numeri. Se non guardate i numeri rischiate di farvi male come mai successo in precedenza”. Curioso che qualche anno dopo l’ex-Ministro sia diventato paladino delle nuove tecnologie energetiche sostenibili per salvare il pianeta e al tempo stesso CEO di una azienda mortifera complice di un genocidio/ecocidio senza precedenti nella storia recente. 

IL NUCLEARE INSOSTENIBILE 

Il discorso ufficiale insiste sulla “sostenibilità” del nucleare rispetto alle fonti fossili. Tuttavia, se è vero che le emissioni dirette di CO₂ sono inferiori, è altrettanto vero che l’intera filiera nucleare — dall’estrazione dell’uranio alla costruzione, manutenzione e smantellamento degli impianti — comporta enormi costi energetici, ambientali e sociali, non comparabili con le energie rinnovabili (su piccola scala). 

I tempi di realizzazione delle centrali rimangono lunghissimi (oltre 10-15 anni per un reattore operativo), difficile pensare a come potranno contribuire ad un abbattimento delle emissioni e al rallentamento del cambiamento climatico. Come già anticipato prima, il problema dello smaltimento delle scorie radioattive rimane irrisolto da settant’anni. Il combustibile esausto continua a essere stoccato in siti temporanei, spesso vicini a centri abitati o in aree sismiche. Nel 2013 vicino al sito della centrale di Saluggia, in Piemonte, è stata segnalata la perdita di acqua radioattiva dal luogo di stoccaggio delle scorie nucleari ed i pozzi dell’acquedotto del Monferrato, che copre circa 215 comuni, sono stati ad alto rischio di contaminazione.

L’ultima CNAI (Carta Nazionale delle Aree Idonee) proposta dalla Sogin, segnalante i luoghi “adatti” dove poter costruire il Deposito unico Nucleare, presenteva enormi lacune oltre che una mancanza totale di coinvolgimento delle popolazioni interessate dall’eventuale progetto. Tante sono state le risposte delle comunità che, attraverso manifestazioni e presidi, hanno imposto il loro rifiuto ad ospitare questa enorme opera tossica. Uno dei siti delineati come idonei dalla Sogin, per esempio, si trova nella Tuscia, nel Viterbese, già zona di sacrificio per impianti energetici di altro genere e nota per essere la prima area per incidenza di tumori fra tutte le province del centro Italia per alto grado di radioattività naturale. Qui proteste e marce popolari stanno prendendo piede contro l’eventualità del deposito.

L’incapacità di trovare una soluzione adeguata a dei rifiuti che continuano a rendere intere aree delle zone di sacrificio e la sfiducia totale nell’affidare un così arduo e pericoloso compito a una società governata in maniera approssimativa, aggiungono ulteriori argomenti, in caso fossero necessari, per allontanare qualsiasi possibilità di ritorno a una tecnologia di così difficile gestione.

Inoltre, lo stesso nucleare è vulnerabile agli effetti climatici: diversi reattori in Europa hanno dovuto ridurre la produzione o interromperla temporaneamente nei mesi estivi a causa delle alte temperature e della carenza d’acqua necessaria per il raffreddamento dei sistemi. Ricordiamo che alluvioni e terremoti all’interno della penisola sono tutt’altro che fenomeni rari e le misure di adattamento e mitigazione che dovrebbero diminuirne gli effetti disastrosi fanno acqua da tutte le parti. Eventi estremi, sempre più frequenti, suggerirebbero a chiunque utilizzasse un pò di senno, che delle centrali nucleari possono costituire un rischio troppo alto per essere gestito correttamente. La promessa di stabilità energetica si rivela così un’illusione, dipendente da risorse naturali sempre più instabili.

ENERGIA PER CHI? TRA IA, DATA CENTER E INDUSTRIA BELLICA 

Cosa motiva questa corsa al nucleare?

Una delle principali argomentazioni che sottendono la retorica della “necessità nucleare” è relativa al crescente fabbisogno di energia elettrica delle grandi infrastrutture digitali e dell’industria bellica. 

In base alle previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), la domanda globale di elettricità aumenterà a un ritmo più rapido nei prossimi tre anni, crescendo in media del 3,4% all’anno e i data center sono fattori significativi della crescita della domanda. Dopo aver consumato nel 2022 circa 460 terawattora a livello globale, nel 2026 i data center potrebbero raggiungere un consumo superiore ai 1.000 terawattora. Incrementi che non facciamo fatica ad immaginare viste le intenzioni dell’Unione europea di diventare potenza competitiva nel mercato globale del settore dell’IA, seguendo l’onda degli Stati Uniti. Un interesse strategico che è stato recentemente confermato anche dalla presenza di Ursula Von der Leyen alla Italian Tech Week tenutasi a Torino il 3 ottobre in cui ha auspicato “Investimenti in venture capital aumentati del 600% in dieci anni in Italia” nel settore AI. 

L’intelligenza artificiale, i servizi cloud e i data center stanno diventando i nuovi “consumatori invisibili” di elettricità. Modelli di intelligenza artificiale come Chat-GPT hanno bisogno di una quota di elettricità dieci volte maggiore rispetto a una interrogazione a un comune motore di ricerca come Google.

Dal momento che questi modelli emettono circa 4 tonnellate di CO2 ogni giorno – i colossi tecnologici americani tentano di correre ai ripari, procurandosi energia “pulita” per alimentare le proprie attività. Hanno quindi scelto l’energia più accentrabile, quella nucleare, come dimostrano i recenti accordi siglati da Google, Amazon e Microsoft per la costruzione di nuovi reattori.

La presenza di Leonardo nelle società di sviluppo tecnologico nucleare e le politiche orientate al riarmo rendono palese quanto il fabbisogno di energia sia legato a industrie come quella bellica, in particolare in un momento in cui la domanda di armi sembra destinata a salire.  

In questo quadro, l’energia nucleare non serve tanto ai cittadini, quanto a garantire continuità al modello economico digitale e iperconnesso, dove i colossi tecnologici — spesso gli stessi che finanziano i reattori — si assicurano una fonte costante e privata di energia. 

RIARMO E RITORNO AL NUCLEARE: COINCIDENZE? 

Parlare del nucleare senza riflettere sui suoi campi di applicazione, significherebbe dare adito a narrazioni sterili e compiacenti. 

Una discussione veritiera sul nucleare non può quindi prescindere dall’analisi degli assetti geopolitici attuali; i più recenti sviluppi bellici rendono evidente come il nucleare sia ad oggi un perno attorno a cui ruotano alleanze ed inimicizie internazionali, capace di essere strumento ed obiettivo di guerra. 

La guerra russo-ucraina e gli attriti in Medio Oriente hanno dimostrato ampiamente questa assunzione: si vedano i sabotaggi ai Nord Stream 1 e 2 che provano come le infrastrutture energetiche siano un bersaglio di guerra, si vedano gli allarmi di possibili attacchi alle centrali nucleari in Russia e in Ucraina, o le minacce e i bombardamenti da parte del governo israeliano e americano alle centrali nucleari iraniane. 

Il nucleare, infatti, nasce come arma sterminatrice e risponde coerentemente al tracciato politico a cui i governi mondiali tendono: la guerra. 

Una delle caratteristiche più allettanti del nucleare è proprio il duplice utilizzo in grado di renderlo agilmente un’infrastruttura ad utilizzo civile e al tempo stesso strumento adatto a scopi bellici. 

Non a caso, il presidente Macron questa primavera ha proposto di estendere lo scudo nucleare a tutta l’Europa, proprio quando si delineava il programma di Rearm-Europe, presentato poi dalla Commissione europea per rafforzare l’industria militare del continente. 

Israele con gli attacchi dello scorso giugno ha dimostrato chiaramente quanto il sistema della deterrenza, e la supremazia tecnologica in materia nucleare sia tutt’oggi un elemento cardine nelle strategie politiche degli Stati, a partire dagli stessi stati membri dell’Unione Europea, i quali predicano la pace, ma non perdono tempo nella folle corsa al riarmo. Non è un caso, quindi, che ad una sempre più pressante volontà di investire negli armamenti e nella difesa, corrisponda la smania dei governi di dotarsi di strumenti di produzione energetica che possano favorire il mercato della guerra. 

CONCLUSIONE 

La rincorsa all’abbattimento delle emissioni tanto voluta dal Green New Deal europeo e dall’Agenda 2030 dell’ONU è diventata ormai una corsa agli investimenti tecnologici, che siano questi rivolti al nucleare o alle rinnovabili su larga scala. 

Nonostante la svolta al riarmo dell’Unione Europea, la retorica green viene ancora sfruttata come se nulla fosse. Viviamo in un momento colmo di paradossi. Da un lato dovremmo abbattare le emissioni costi quel che costi, dall’altro dovremmo aumentare le spese per la difesa e investire nelle industrie belliche. 

Il ritorno al nucleare rende evidente queste contraddizioni e rende evidente la deriva all’eliminazione completa della decisionalità da parte della popolazione. 

I movimenti contro il nucleare sono da sempre stati, nel nostro paese, una forza in grado di arrestare realmente l’avanzata tecnocratica del capitale e la distruzione di territori. Sempre in grado di rendere evidente la connessione intrinseca tra la produzione di energia e le sue finalità politiche. Le finalità politiche oggi sembrano chiare, la direzione di un’Europa e di un governo che maldestramente professa ancora la religione della sostenibilità sono evidenti: il riarmo e la complicità con il genocidio palestinese sono stati messi sotto i riflettori. Le finalità politiche di una parte della popolazione però, sono altrettanto chiare: non accettare di essere coinvolti in guerre e stragi di civili, bloccare il corso degli eventi per essere parte attiva della storia. 

Di fronte a questa corsa all’atomo non possiamo che auspicare e metterci in moto per contrastare ancora una volta una tecnologia di morte e distruzione. Organizzandoci per bloccare le spinte espansionistiche di industrie speculative che ottengono profitto dalla devastazione di territori e popolazioni. 

E’ solo l’inizio. 

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