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Lettera aperta di una diciottenne

Pisa – Dopo due mesi di mobilitazione ininterrotta siamo arrivati come studenti delle scuole superiori a praticare quanto da anni viene predicato da tanti: rifiutare il sistema dei sacrifici e l’austerità e combattere le riforme che distruggono la scuola e il nostro presente. In questi due mesi come collettivo studentesco siamo cresciuti a suon di assemblee, di discussioni, di incontri, ma soprattutto nel fare comune delle lotte. Preparare striscioni, scrivere volantini, parlare con centinaia di giovani e cercare di formarci reciprocamente, di capire e sforzarsi di organizzare al meglio delle iniziative che fossero al tempo stesso efficaci e stimolanti: è innanzitutto questa la scuola che stiamo costruendo. Abbiamo occupato sedi istituzionali, banche, scuole private. Abbiamo invaso strade, tangenziali, stazioni. Abbiamo costruito giorno dopo giorno assemblee con quanti credono che il mettersi in gioco, il rischiare, il lottare collettivamente, sia l’unico antidoto ad una crisi che, lasciata scorrere, ci mangia dentro. Autogestioni ed occupazioni sono stati e sono tutt’ora momenti di scontro che ci fanno crescere, che ci mettono alla prova, che misurano il nostro valore non per quanto siamo obbedienti o competitivi, ma per la nostra creatività, lucidità, coraggio e determinazione. Certo, sono lotte che hanno dei rischi, ma siamo consapevoli che ogni conquista ha un prezzo. E’ sempre stato così nella storia, ed a maggior ragione lo è ora, contro una crisi mondiale che vede concentrare tutte le nostre ricchezze in poche mani e che ci vorrebbe ridurre a soldatini che si scannano tra loro per poche briciole.

Le esperienze che centinaia di studenti da mesi fanno con continuità stanno forgiando una nuova militanza, un nuovo impegno sociale e civile. Un’attività libera ma dura, che arricchisce nelle difficoltà, nel cercare di risolvere assieme i problemi che ogni giorno ci costringono ad ingoiare rospi sempre più grossi. Noi siamo parte di una generazione che si sta ribellando, e siamo fieri di vivere nel nostro tempo, che è un tempo di lotta e cambiamento. Lo diciamo soprattutto con il pensiero rivolto a quei professori che tanto nella nostra città si riempiono la bocca delle “lotte passate” o delle rivoluzioni negli altri paesi, ma che nella quotidianità trasmettono solo rassegnazione quando va bene, paure e intimidazioni quando invece il “gioco si fa più duro”. Sono gli stessi che con fare meschino in questi giorni sbraitano come isterici davanti ai cancelli delle scuole occupate, appellandosi alla legalità ed al rispetto delle regole. Sono gli stessi che ci prendono a catenate in faccia quando ci opponiamo a degli sgomberi fatti da adulti nei confronti di quindicenni e sedicenni. Sono gli stessi che per gusto di farsi compiacere dal potente di turno, non esitano a minacciare o interloquire con le forze di polizia incitandoli allo sgombero. Noi a tutto questo siamo abituati. La violenza di una quotidianità fatta di rinunce e bisogni insoddisfatti, di oppressione ed impotenza, è cosa molto peggiore che dello scontro.

Noi abbiamo deciso di non predicare più senza agire. Lo stiamo facendo con tutti noi stessi, consapevoli di fare errori e di poter fare molto meglio. Ma di una cosa siamo sicuri: sappiamo a quale parte della barricata apparteniamo, sappiamo quale è il nostro posto, il nostro mondo, i nostri fratelli e le nostre sorelle. E sappiamo riconoscere quali sono le nostre controparti. Non ci appelliamo alla comprensione di chi ci opprime, perchè questo significherebbe farci schiacciare con ancora più forza. Noi ci appelliamo a noi stessi, alle nostre capacità da arricchire e sviluppare, dalle nostre relazioni e dalle nostre intelligenze, che devono essere messe a frutto per far crescere un movimento che è solo agli inizi.

Un movimento che fa paura. Non solo perchè brucia la bandiera del PD, non solo perchè fa cadere cancelli e spalancare portoni, non solo perchè occupa senza chiedere il permesso. Fa paura perchè ha consenso. Perchè interpreta la volontà di ribellione e cambiamento che risiede, sempre meno in latenza, nel 99% della popolazione. Fa paura perchè questo consenso si sta trasformando in partecipazione, solidarietà, complicità. In riconoscimento collettivo. E allora va stroncato. Ma noi sorridiamo, e andiamo avanti.

Voglio spendere qualche parola per liquidare quei silenzi di tutti i partiti e i sindacati che in un momento importante come questo scelgono di stare in silenzio. Sia chiaro: non ci lamentiamo dell’assenza di comunicati di solidarietà fasulli o pacche sulle spalle, o del fatto che l’unica presa di posizione, con decine di scuole in agitazione ed una repressione in arrivo, sia stata quella a favore di agenti (sic!) feriti da un cancello caduto a terra, spinto da studenti che volevano entrare in un ufficio pubblico. Semplicemente ci domandiamo perchè chi è tanto bravo a enunciare belle e importanti prospettive di cambiamento, è allo stesso tempo incapace o colpevole di scomparire nel momento in cui i cambiamenti prendono forma. Dove sono i professori che si lagnano dell’aumento dell’orario di lavoro, dei magri salari, della precarietà quando presidi, poliziotti e istituzioni vorrebbero cancellare la possibilità di opporci? Dove sono i sindacati o i partiti quando sui giornali locali vengono annunciate repressioni cruente e lanciate cacce alle streghe? Dove sono i cosiddetti soggetti di movimento, quando il movimento, quello vero e non autorappresentato, lo stanno praticando da mesi in migliaia?

Sia beninteso, non si tratta di dare lezioni di movimento né di fare i (cattivi) maestrini. Piuttosto quello che ci interessa è stimolare e attivare quei meccanismi di partecipazione e di costruzione collettiva, che formino nuove relazioni sociali, nuovi sistemi di produzione di sapere e di organizzazione.
Se sta aumentando il livello di conflitto sociale, pensiamo che questo possa effettivamente incidere nel cambiare le cose, nel momento in cui ci si attrezza per resistere ad ogni scontata reazione che il blocco di potere tenta di esercitare affinché nulla cambi. Attrezzarsi per reggere e rilanciare è un passo che noi studenti medi, dalle scuole in agitazione, stiamo compiendo.

La costruzione del prossimo corteo del 21 dicembre, dalle scuole in lotta contro crisi e austerità è un altra occasione da non perdere.

Una diciottenne
Militante del Collettivo Autonomo Studenti Pisani

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