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I nuovi bastioni della Fortezza Europa

Ogni guerra ritorna nella forma di nuova fortificazione del fronte interno. Le stesse zone di confine sono infatti pur sempre zona di guerra come dimostra la distruzione a bassa intensità dell’austerità condotta contro i livelli bassi della società nella cintura meridionale del continente. Frontiere e guerre predatorie verso l’esterno sono le determinanti materiali dei flussi migratori che investono l’Europa e in quanto tali ridisegnano anche i caratteri del conflitto di classe rivolto contro di noi. I costi distruttivi del capitalismo sono il tema delle nostre lotte in questa parte di mondo ad alta valorizzazione e qui occorre affrontarli per sabotarne innanzitutto l’esportazione verso, ad esempio, il conflitto siriano, come vorrebbero le “soluzioni politiche” auspicate da Gentiloni in queste ore. Le condizioni di un nuovo internazionalismo possibile avanzano su queste coordinate. Tra chi ci vive, arriva e parte si profilano nuove resistenze fondate sul diritto a esistere e ad affermarsi contro questo mondo, in questa parte di mondo perché i suoi costi si sono fatti insopportabili. I bollettini dei naufragi nel Mediterraneo ce lo ricordano tragicamente.

Il dato nuovo in queste settimane riguarda proprio l’emersione di una possibilità in questo senso: nuovi soggetti in conflitto si sono imposti con la pressione di massa alle frontiere di questa Europa. Le lotte a Ventimiglia e Calais furono e sono la premessa per l’affermazione di soggetti collettivi in questa direzione. Oltre ogni retorica umanitaria, per i centri del comando politico continentale, Germania in testa, il tema è dunque, in maniera acclarata, non quello dell’accoglienza dei rifugiati ma quello della gestione e integrazione di una forma merce-umana dentro i circuiti di valorizzazione e sfruttamento del sistema-Europa perché non controllabile altrimenti. Dopo aver abbattuto muri e reti, la domanda che investirà una dimensione di classe per la trasformazione di questo spazio continentale riguarderà il tema di quali lotte sviluppare, contro le condizioni di questa integrazione perché non riproduca e rafforzi le gerarchie di comando a oggi vigenti.

Ma la possibilità di una non sostenibilità capitalistica dell’integrazione nella forma merce-umana è pur sempre presente. Questa eventualità apre ancora in ogni dove alle opzioni fasciste e xenofobe come exit strategy per la restaurazione di forme parziali di stabilità dei livelli alti del comando a spese di un’accelerazione della violenza sugli strati bassi della società. Non a caso, nell’economia complessiva dei media, l’imporsi sulla scena di chi varca e sposta le frontiere ha oscurato ma non cancellato Salvini. Nonostante si sia mobilitato un largo movimento d’opinione – probabilmente il primo con un profilo di massa dallo scoppio della crisi dei flussi migratori – solidale con l’accoglienza ai rifugiati, la destabilizzazione della “sicurezza” che preservava fino a oggi i nostri territori come luoghi lontani dal fronte dei conflitti, rappresenta un fertile terreno di coltura per le ipotesi razziste di scontro interno all’universo dei subalterni. Il non sottrarsi a questa minaccia passerà innanzitutto dal ribaltare l’essere precipitati ai confini in arretramento (ancora dentro o già fuori di questi?) della fortezza Europa in un nuovo campo di possibilità di riscatto comune sul terreno sociale per noi e per chi ci raggiunge.

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