
Vertice Nato: servili o complici?
Entro il 2035 la spesa militare dei 32 paesi della Nato dovrà raggiungere il 5% del PIL.
La spesa sarà così ripartita: un 3,5 per cento di spese per la “difesa”, cioè per gli armamenti e il personale; e un 1,5 per cento di spese per la “sicurezza” che come spiega Mil€x consisterebbe in:
“cybersicurezza, resilienza delle infrastrutture critiche (centrali elettriche e reti di telecomunicazione terrestri e satellitari), efficientamento delle infrastrutture strategiche di mobilità militare (ferrovie, strade, ponti, porti e aeroporti), difesa delle frontiere, mezzi e personale delle forze di polizia militare, presidi medici contro attacchi nucleari-chimici-batteriologici, chimici e batteriologici e altri capitoli di spesa a discrezione delle singole nazioni. Da sottolineare che il 1,5% comprende anche spese per “promuovere l’innovazione e rafforzare la nostra base industriale della difesa”: una dicitura che potrebbe facilmente ricomprendere un canale aggiuntivo di finanziamento al riarmo.”
A partire già solo da questi dati abbiamo la possibilità di comprendere almeno due degli scopi principali dell’accordo sottoscritto all’Aia.
Se lo guardiamo dal lato economico quello descritto è un enorme stimolo pubblico ad alcune industrie specifiche: ovviamente quella degli armamenti che già da tempo sta facendo affari d’oro. Ma non solo, di quell’1,5% del PIL investito in sicurezza beneficeranno le corporation impegnate nella cybersecurity, il partito del cemento e del tondino, che, già come successo in Val Susa e come sta succedendo nello Stretto di Messina, potrà accedere a questi fondi per costruire grandi opere inutili da giustificare con l’importanza strategica militare, le aziende metalmeccaniche (come si sta già vedendo in Germania ed in parte del nostro tessuto industriale) che potranno riconvertirsi nella produzione armiera e quella estrattiva usando il tema della sicurezza energetica. Sarà da vedere poi come andrà la spartizione del maltolto e quali settori o singole industrie riusciranno ad imporsi nell’accaparramento di questi denari.
Ciò che è certo è che questa, ci si perdoni il gioco di parole, è una vera e propria rapina a mano armata. Vengono sottratte risorse a cui lo Stato può accedere grazie alle tasse che paghiamo per consegnarle nelle mani dei mercanti di morte e di quel capitalismo europeo che non è in grado di sopravvivere senza i continui stimoli che gli Stati gli accordano. E’ chiaro che questa ripartizione tra “difesa” e “sicurezza” è il frutto di una contrattazione in cui per difesa si intende, al netto del personale, la quantità di soldi che dovremo spendere per acquistare armi dagli Stati Uniti, da Israele e dagli altri stati occidentali, mentre la sicurezza è quella porzione di spesa dedicata ai mercati interni. L’ennesima tornata di concentrazione dei capitali nella speranza che non si disperdano nelle correnti del capitale fittizio.
L’altro aspetto evidente è che all’interno dell’accordo Nato è contemplata la guerra esterna, ma anche la guerra interna verso le proprie popolazioni. Il potenziamento degli apparati di sicurezza, di intelligence, la difesa delle frontiere, la costruzione di grandi opere mirano, nel loro complesso, al disciplinamento delle popolazioni dei singoli stati che in gran parte si mostrano ostili all’intruppamento, alla devastazione dei territori e sono sempre più intolleranti verso le condizioni di vita a cui sono sottoposte.
Al di là della prostrazione mostrata da Mark Rutte nei messaggi inviati a Trump ciò che emerge evidentemente da questo vertice è che i capi di stato europei, al netto dell’eccezione spagnola, non sono solo servili verso l’imperatore a stelle e strisce, ma ne sono apertamente complici. Pronti a svolgere il proprio ruolo nelle guerre volte a conservare l’egemonia occidentale, pronti a portare la guerra alle proprie popolazioni per garantire un rilancio dell’accumulazione.
“Si vis in pacem, para bellum” dice la Meloni paragonando l’accordo alla postura di un impero, quello romano che è stato in guerra permanente per secoli. Menzogne, qui si vuole la guerra per preparare la guerra. Si agitano spettri di nemici alle porte, mentre diffondono kaos e distruzione in mezzo pianeta, mentre la guerra nelle sue forme più brutali e disumane la stanno conducendo le articolazioni del dominio occidentale.
Mentre tutto questo accade nella pseudo-sinistra europea si vaneggia sulla costruzione di un’esercito comune, alcuni addirittura sostengono che questo accordo fosse un passo necessario in tal senso. Vivono in un mondo di fantasie altrettanto oscure, ma meno concrete.
Intanto sentiamo il governo sostenere che l’obiettivo del 5% in 10 anni non peserà sulla spesa sociale. Da dove si materializzeranno allora magicamente questi 700 miliardi di euro che cumulativamente dovranno essere spesi nel decennio? Per caso faranno una patrimoniale di guerra? Vedremo le madamine della borghesia andare a fondere l’oro per finanziare l’impresa patriottica? Per avere chiara la portata di questi numeri basta paragonarli con il valore dell’ultima manovra economica: 30 miliardi… ed è presto detto da dove prenderanno i soldi.
La speranza di alcuni è che passato Trump finisca tutto a tarallucci e vino, superata la bufera dei dazi e della contrattazione dura si tornerà alla vecchia sudditanza mascherata e imbellettata. Nessuno può crederci, il genio sta uscendo dalla lampada e solo una trasformazione radicale dello stato di cose presenti può offrire un’orizzonte che non sia costellato di povertà, sfruttamento, morte e devastazione.
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