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«Questa riforma non è una battaglia… è una dichiarazione di guerra!» – Aggiornamenti dallo sciopero francese

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Da ieri, i principali media italiani, riprendendo un lancio di agenzia ANSA, riportano la notizia di una sorta di “vittoria” della piazza francese nella mobilitazione contro la riforma delle pensioni che scuote in questi giorni il paese.

Il primo ministro, Philippe, ha annunciato, infatti, che l’età legale per accedere al pensionamento non verrà aumentata, ma resterà ferma a 62 anni. Siamo abituati alle fake news dei media mainstream italiani, ma non possiamo esimerci dal compito di fare chiarezza, in un contesto in cui, senza l’opportuna attenzione, si corre il rischio di non comprendere le dinamiche, complesse, che sottendono a una mobilitazione che sta mettendo sotto scacco il governo d’oltralpe. In gioco vi è la resistenza a uno dei più pesanti tentativi di aggressione alle classi subalterne messi in atto dalle élites neoliberiste francesi ed europee. Se durante la conferenza stampa di ieri Philippe ha tentato di stemperare la tensione dichiarando che “questa riforma non è una battaglia”, la verità è che ci troviamo di fronte a una vera e propria dichiarazione di guerra, come sostenuto dal media indipendente ACTA.

Perché una discrasia così forte fra la realtà dei fatti e quanto riportato dai media italiani? La notizia del mantenimento dei 62 anni come età legale per accedere alla pensione è, formalmente, corretta, ma risulta falsa se isolata rispetto al contenuto complessivo della riforma: di fatto una fake news. In breve, se a 62 anni si potrà ancora, volendo, accedere alla pensione, ma saranno i 64 anni di età ad essere considerati “età di equilibrio”, a partire dai quali riscuotere un assegno pensionistico decente. La promessa di non modificare l’età legale è, quindi, rispettata nella forma, ma calpestata, di fatto, con l’introduzione di un sistema bonus/malus a punti, che dovrebbe accompagnare il lavoratore fino alla fine del percorso professionale. A ciò si aggiunge la promessa della soppressione dei regimi di pensionamento speciali, applicati alle forme di lavoro considerate usuranti, fra cui gli “cheminots”, i ferrovieri, che guidano la mobilitazione, paralizzando il paese da circa una settimana. Non poteva che essere il governo delle banche e dell’alta finanza a tentare di trasformare il welfare in una specie di assicurazione privata, con il medesimo linguaggio e i medesimi meccanismi di una polizza auto.

I piani di Macron&co sembrano, tuttavia, in salita. L’annuncio di ieri, checché ne dicano i nostri giornali, ha avuto come unico esito il rilancio della mobilitazione e il compattamento del fronte di lotta, cui si aggiunge l’importante, in termini numerici, sindacato CFDT, fino ad oggi accomodante rispetto alle proposte di riforma. Questa mattina i blocchi di fronte ai depositi delle aziende di trasporto pubblico, ai porti, con un picco di mobilitazione attorno a quello di Le Havre che sembra essere bloccato da qualche migliaio di persone in questo momento, alle raffinerie, ad alcuni magazzini logistici, centri di smistamento postale e rotonde si sono moltiplicati rispetto ai giorni scorsi, arrivando in alcune occasioni allo scontro con la polizia. Anche alcuni licei e poli universitari risultano bloccati dagli studenti. È evidente che, lungi dall’essere considerata come vittoria, la dichiarazione di ieri ha donato nuova energia alla mobilitazione, di cui non si intravede ancora, neanche lontanamente, il termine. La pratica del blocco dei centri nevralgici di circolazione delle merci e dei flussi, introdotta definitivamente nella grammatica del discorso politico durante un anno di mobilitazioni dei Gilets Jaunes, è chiaramente sdoganata e la potenza del movimento di opposizione alla riforma delle pensioni sembra ridisegnare, innanzitutto, la dinamica dei rapporti fra basi e sindacati. Ciò che emerge qui è, infatti, l’assoluta strumentalità delle piattaforme sindacali, oscurate dal protagonismo dei suoi tesserati, che, di fatto, impediscono mediazioni al ribasso tramite una pratica, quotidiana, di radicalità. Gli occhi sono ora puntati sul 17 dicembre, giornata in cui una piazza è stata convocata a Parigi: la prima grossa convergenza dopo la decisione del governo di scoprire le proprie carte. Una prova di forza importante in termini di continuità e di scontro.

 

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