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Chi di società civile ferisce…

Il dibattito attorno alla “lista Tsipras” ci appassiona così poco che non riteniamo neppure urgente una sua critica. Del resto, se negli ultimi anni tutte le operazioni di questo tipo sono finite male, perché questa dovrebbe andare in modo diverso? A interessarci maggiormente, criticamente appunto, sono alcuni atteggiamenti, punti di vista e pratiche che in questo dibattito emergono con chiarezza e che permeano soggetti e ambiti di “movimento”, termine che qui usiamo nel senso più estensivo, per indicare cioè tutti coloro che fanno politica o teoria politica al di fuori di partiti e istituzioni (o almeno, così dicono). Abbiamo infatti davvero poco o nulla da polemizzare con i rimasugli della “sinistra radicale”. Istituzioni come i partiti sopravvivono ben al di là delle loro ragioni storiche e politiche per motivi banali e molto concreti: per schiere di burocrati, funzionari e onesti stipendiati diventa una rispettabile questione salariale. Equivale grosso modo a difendere l’azienda che sta per chiudere, non perché si creda nell’azienda, ma perché la sua chiusura significa disoccupazione. Capiamo bene, quindi, che per tali figure prendere uno 0,qualcosa in più o in meno sia questione di soldi per mandare avanti la baracca o riempire la pancia. Insomma, bisogna pur campare, e se forse mettessero le cose in questo modo porterebbe a casa perfino qualche voto in più, se non altro per una sorta di pietas nella crisi.

Se invece guardiamo all’interno del “movimento”, tra coloro che si schierano con questo ennesimo tentativo di rianimare il cadavere della sinistra (balbettando, attraverso complicati giri di parole, in modo imbarazzato), vediamo all’opera due tipi di retoriche e motivazioni prevalenti. Una è la “logica da utenti”, l’altra del “purché se magna”. Il primo copione recita più o meno così: è vero, questo tentativo elettorale ha mille limiti, probabilmente finirà male, in ogni caso cambierà poco o nulla, ma tanto il mercato dei conflitti non offre niente di più interessante da fare. Tralasciamo che ci sarebbe molto da obiettare sull’affermazione: tra No Tav e lavoratori della logistica, occupazioni di case e il processo del #19o, di lotte ce ne sono eccome, per quanto con le difficoltà che tutti abbiamo ben presenti. Ma il problema alla radice è la logica che permea questo modo di ragionare: siccome non ci sono grandi film in giro, tanto vale vederne uno mediocre. Il punto è se ci si immagina come semplici spettatori dello spettacolo politico, in linea con le dinamiche di aziendalizzazione che hanno investito l’intero quadro sociale e con una sorta di facebookizzazione dell’attivismo, oppure come militanti protagonisti in grado di distruggere il palcoscenico e prendere in mano la regia di una nuova storia. Come non ci siamo mai stancati di ripetere, sono anzi proprio queste le fasi in cui c’è più lavoro politico da fare, per scommettere e anticipare, seminare e radicare. Per tutto il resto, al contrario, c’è la Mastercard dei consumatori della politica, quelli che arrivano dopo e vivono di erudite chiose al bar del teatro.

La seconda logica, quella del “purché se magna”, riproduce le miserie delle baracche di sinistra, con l’obiettivo di racimolare soldini per la propria piccola struttura o un po’ di fama come maître à penser internazionali. Però qui perfino la pietas è resa davvero difficile dall’ipocrisia con cui la manovra si presenta. Concretamente ci si schiera nel sottobosco della lista, oppure si spiegano i motivi per cui è importante sostenerla, salvo poi affermare che comunque lo si dice in via teorica e in modo disinteressato: ce lo chiede l’altra Europa! Così, se le cose vanno male ci spiegheranno con raffinate argomentazioni perché l’avevano detto e si rispolverano retoriche battagliere (fino alla prossima tornata elettorale, ovviamente); nell’improbabile eventualità che vadano bene, sono loro i veri artefici della vittoria. Nel primo caso, si possono tirare le pietre al carrozzone; nel secondo, si salta sopra fingendo di esserne sempre stati alla guida.

Sia chiaro, il problema principale non è qui solo quello della rappresentanza: ci sono situazioni in cui le lotte, se sono forti e radicate, possono pragmaticamente utilizzare perfino quel livello, che appartiene comunque al nemico, così come possono utilizzare tante altre cose. Il problema centrale è per noi quello del punto di vista. Se ci si pone cioè nella prospettiva di creare conflitti e favorire dinamiche di ricomposizione, oppure si sceglie sul mercato quello che è più utile per sé e per la propria baracchetta. Il punto non è infatti che la “lista Tsipras” ostacoli la costruzione di processi di lotta (anche volendo, non sarebbe in grado!); il punto è invece che a ostacolare la costruzione di processi di lotta sono le logiche e le pratiche di chi ciclicamente si butta nel calderone elettorale, sperando di cavarne fuori qualche spicciolo o un po’ di riconoscimento politico – leggi: della politica istituzionale. Non è un caso che questa ennesima operazione elettorale si rivolga a una composizione vecchia, un popolo di sinistra sempre più ristretto, triste e depresso, che ha ormai introiettato in modo definitivo la sconfitta ed è rancoroso verso chiunque gli faccia presente che le lotte si possono costruire e si possono addirittura vincere. In tanti (ceti politici e intellettuali) si rivolgono a pochi (soggetti potenzialmente conflittuali). Secondo noi oggi serve esattamente il contrario: non numeri apparentemente larghi con una vocazione minoritaria, ma numeri apparentemente ristretti con una vocazione maggioritaria. Serve produrre soggettività che si ponga il problema della generalizzazione, della ricomposizione e della rottura, non bruciare soggettività nel disperato inseguimento della sopravvivenza individuale o di piccolo gruppo.

E poi, en passant, chissà cosa gli utenti di questa noiosa fiction ne pensano delle vicende degli ultimi giorni, con vecchi commissari Montalbano che vogliono arrestare improbabili recidivi in disarmo. Che dire? Chi di società civile ferisce, di società civile rischia di perire…

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