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Tunisia: post-Ben Ali, il quarto giorno

“Questa rivoluzione ha avuto i suoi martiri, e noi non contiamo di tradirli e non ci scoraggiamo. Lancio l’appello a tutta le forze della società civile, sindacalisti, avvocati, politici… per fare un fronte comune contro questo governo, con tutti i mezzi possibili, cortei, scioperi generali, presidi e altro.” continua così Youssef affermando che ora “puntiamo sulla capacità dei nostri giovani per assicurare la continuità della battaglia”. Insomma il movimento sembra in questi primi giorni di post-Ben Ali voler configurare una sorta di presidio sociale in mobilitazione, vigile e attivo per denunciare la permanenza della tirannia anche dopo la cacciata del tiranno. Infatti dalla milizia al confermato ministro degli interni, l’apparato dell’RCD è ben presente nella quotidianità di strada e politica della Tunisia.

Ai piani alti si continua l’opera di restaurazione del regime, che in questi casi significa anche staccare alcune croste, quelle ben visibili e magari colte nel momento meno propizio: poche coperture, pochi nodi di clientele tra le mani. E così il capo dell’UTICA (la confindustria tunisina per intenderci), ed esponente forte dell’RCD, viene costretto alle dimissioni tentando di ripresentare al vertice dell’organizzazione un volto liberista sì, ma meno compromesso col regime di quanto non fosse il suocero di Belhassan Trabelsi, il “padrino” del clan al potere in Tunisia.Tra le elites dell’impresa c’è un gran da fare in queste ore, oltre ad aver subito la chiusura della borsa di Tunisi (una piazza altamente speculativa che ha lasciato nell’ultima settimana, sul terreno delle lotte, il 13% del proprio valore), oggi sono stati presi per gli orecchi da Moody’s che ha abbassato i titoli di stato tunisini e ha cambiato l’outlook da stabile in negativo, e quindi ora devono da una parte gridare al rischio sempre più vicino della crisi economica e finanziaria e dall’altra proporsi come protagonisti del rinnovamento.

Tentativi di mascheramento, dissociazione e prove di tenute da parte dell’establishment politico, economico e istituzionale ormai ben visibile nella reti lobbistiche che si annodano sui palazzi dell’RCD. Dopo aver radiato Ben Ali dal partito, anche Ghannouchi e il ministro degli interni hanno abbandonato L’RCD, senza provocare una reazione a catena tra i quadri alti che ancora restano attaccati ancora a molte poltrone.

Sorte ben differente per il giudice Mehrez Hammami, quello che per decenni ha emesso contro gli oppositori al sistema e a militanti politici, sentenze che nella maggior parte dei casi funzionavano come condanne a morte e alla tortura. Il giudice fedele e intransigente del regime che dai primi anni 90 era divenuto il simbolo del terrore giudiziario. Sembra che questa mattina nell’aula delle udienze del tribunale di Tunisi, il signor Mehrez Hammami ha trovato ad aspettarlo un folto gruppo di magistrati e avvocati che lo hanno costretto a fuggire a gambe levate.

Sul fronte diplomatico internazionale la presenza di Washington nell’area magrebina inizia a palesarsi esplicitamente: emissari e inviati escono dall’ombra e danno vita a colloqui resi pubblici dalla stampa locale. E’ il caso John Brennan (dal 1980 nella CIA e oggi consigliere per la lotta al terrorismo di Obama) che domenica si è incontrato con l’omologo algerino e il Ministro agli affari magrebini e africani. A seguito dei colloqui l’emissario d’Obama “dovrà indicare a Washington il tipo di minacce che potranno emergere nella regione dopo la rivoluzione (così detta, ndr) dei gelsomini in Tunisia”. E ieri, il presidente degli Stati Uniti ha avuto un lungo colloquio telefonico sullo stesso argomento con l’egiziano Moubarak, anche lui alle prese con continue insorgenze sociali e movimenti d’opposizione.

La Francia, che sembra allo stremo nel ricorrere eventi che si allontanano sempre di più dalla suo orbita di influenza, tenta all’ultimo minuto di recuperare un minimo di popolarità in Tunisia dichiarando di aver bloccato un carico di divise e lacrimogeni ordinati da Ben Ali. Operazione di maquillage, ipocrita e miserabile, e per giunta fuori tempo del governo Sarkozy che mai come oggi è disprezzato dai tunisini ancora indignati dall’offerta del ministro Alliot-Marie che aveva proposto al dittatore di far partecipare la polizia francese alle grandi mattanze di fine dicembre. D’altronde dichiarava la ministra con disinvolta nonchalance che la polizia francese è conosciuta in tutto il mondo per il suo “savoir faire”. E già, aggiungiamo noi, specialmente tra l’Algeria e la Tunisia ne sanno qualcosa!

In Italia invece perdura il rantolo di un governo interessato ad altro, e che questa volta non si è fatto il tronfio paladino dei valori dell’occidente, ma anzi per ultimo ha staccato la spina alle relazioni con il dittatore Ben Ali, sperando che il suo amico di craxiana memoria rimanesse al potere. Oggi Frattini dichiara che l’Italia sosterrà “il processo di transizione democratica” della Tunisia.

Insomma la Tunisia, al centro di visite e telefonate interessate, corre il pericolo di divenire una preda della Casa Bianca, mentre l’Europa la guarda già come la volpe guarda l’uva.

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