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Tunisia: “abbiamo detto GAME OVER non TRY AGAIN!”

Eʼ su questo ceto liberal, volto “pulito” del padronato tunisino, che il vecchio regime cerca di appoggiarsi e mettere radici per “rifiorire” a discapito della primavera tunisina. Da lì viene la retorica per cui “se cʼè la disoccupazione è colpa degli scioperi” e che bisogna smetterla con i cortei “altrimenti i turisti non verranno a portare soldi questa estate”. Buon senso reazionario, che trova spesso platee entusiaste, soprattutto tra ingenui o interessati reporter e commentatori occidentali e anche italiani, per cui sembra essere ragionevole che da dégage la Tunisia debba passare allʼ“on sʼengage” (impegnarsi). Ma impegnarsi a fare cosa? A tornare ad essere sfruttati e a lasciarsi andare ad un nuovo regime di oppressione, tortura e censura? La giornata di oggi sembra mostrare che la piazza tunisina non è proprio disposta ad “impegnarsi” a tornare sotto il regime della paura, dello sfruttamento e dellʼoppressione.

Ce lo aveva spiegato chiaramente durante una lunga intervista un militante del movimento studentesco che “certo che cʼè il problema della disoccupazione, della povertà e della crisi economica, ma i governi di transizione prima della costituente non hanno alcuna legittimità per intervenire su questo terreno”, come a dire adesso è il tempo della lotta e del conflitto sociale, e il “dégage” che sta rimbombando ancora una volta a due passi dal ministero degli interni a Tunisi lo sta esprimendo con forza contro e al di là di ogni “buon senso” reazionario. Dʼaltronde cʼera da spettarselo che la piazza tunisina tornasse a sollevarsi facendo riemergere lʼintransigenza di cui è capace, questa volta per sabotare le prove tecniche di ritorno di regime.

Pochi giorni prima e subito dopo il venerdì della collera di alcune settimane fa, e successivamente al cambio di regia al ministero degli interni, la repressione ha iniziato a farsi sentire forte. Processi sommari contro i manifestanti, sparizioni di attivisti, detenzioni ingiustificate accompagnate da sevizie e torture (si le stesse pratiche di supplizi usati dalla polizia politica di Ben Ali), e poi lʼesercito che sembra aver voluto abbandonare lʼimmagine pubblica di struttura “neutrale” a servizio del popolo, entrando in una inquietante sintonia con le forze di polizia. Torna quindi il pugno duro del potere mentre ci si avvicina alla data per lʼelezione della costituente. Ecco perchè proprio oggi il movimento ha lanciato la giornata di mobilitazione ricordando che il 14 gennaio sotto il ministero degli interni era stato posto un cartello con scritto “GAME OVER”.

Ovvero fine del gioco per il regime ed il suo partito, lʼRCD, che invece sembra essere pronto a tentare ancora la sua carta di ritorno al potere (“TRY AGAIN”), visto che dopo lo scioglimento del partito-lobby di Ben Ali, i suoi militanti invece di essere perseguiti per i crimini commessi sono stati lasciati liberi di fondare nuovi partiti e concorrere alle elezioni per la costituente. Davanti a questo scenario sembra che il PCOT di Hamma Hammami (leader del partito comunista dei lavoratori tunisini) abbiamo scelto di non concorrere alle elezioni boicottando esplicitamente lʼappuntamento di luglio.

Ben diverso il punto di vista del movimento islamista di Ghannouchi che sulla costituente sembra voler giocarsi il tutto per tutto al fine di assicurare alla fazione islamista un ruolo di primo piano nel processo di transizione sempre più duramente reazionario. Ma oltre al PCOT, ad essere in sintonia con la piazza e il movimento rivoluzionario tunisino restano, con fermezza e decisione, anche gli avvocati che durante la scorsa settimana hanno protestato attraverso affollatissimi sit in contro una giustizia che si rifiuta di aprire processi contro il vecchio regime e realizzare quella svolta per cui il movimento è tornato ad alzare i toni.

Infatti se i militanti dellʼRCD fondano nuovi partiti, parlano in tv, e si danno un bel da fare tra imprese e palazzi delle istituzioni, va aggiunto che allo scioglimento formale della polizia politica non sono seguite ad oggi iniziative giudiziarie che chiariscano le responsabilità non solo dei massacri di dicembre e gennaio, ma anche di decenni di torture, omicidi e repressione. Nessuno si stupisce infatti che certe pratiche poliziesche siano tuttʼaltro che sparite con la fuga di Ben Ali visto il clima di impunità e compiacenza che si respira nei tribunali. Lʼiniziativa di oggi che sta attraversando tutta la Tunisia per ricordare al potere il “GAME OVER”, sembra aver inserito il “reloading revolution” e il ritorno dello slogan “il popolo vuole la caduta del regime” non lascia alcun dubbio.

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