InfoAut
Immagine di copertina per il post

Trump in Asia. Gli Usa guardano al dito mentre Pechino punta la luna.

||||

Le prime due settimane di novembre Donald Trump le ha trascorse in viaggio, in una trasferta diplomatica di undici giorni, inaugurata con l’atterraggio a Tokyo e proseguita con le visite in Corea del Sud, Vietnam, Cina e Filippine. Nelle dichiarazioni a margine di questo tour sono state affrontate tante delle tematiche agitate da Trump durante la campagna elettorale del novembre 2016, una campagna carica di sfida, di sentimento di rivincita, di attacco alla precedente classe politica USA colpevole di essere stata debole con i nemici (cfr questione nordcoreana) e morbida con gli alleati (cfr questione spese militari dei paesi Nato e di quelli del Pacifico).

L’attacco, spesso macchiettistico, rivolto da Trump alla Cina ritenuta colpevole della crisi industriale americana attraverso la concorrenza sleale e l’invasione dei mercati yankee, aveva portato alla cancellazione immediata della TPP (Trans-Pacific Partnership). Il provvedimento fortemente voluto da Obama era considerato dalla nuova amministrazione inadeguato al progetto di protezionismo economico sbandierato dall’inquilino della Casa Bianca in campagna elettorale, nonchè incompatibile con la volontà di imporre la potenza dell’economia USA attraverso accordi bilaterali.

Quei giorni, nonostante siano passati pochi mesi dall’elezione di Trump, sembrano già lontani nel tempo. La necessità di dover gestire fattivamente la questione nordcoreana, da affrontare in un palese scontro interno alla classe dirigente americana su come rispondere alle sfide geopolitiche globali, ha costretto Trump a tornare a più miti consigli, definendo il presidente cinese Xi Jinping “a good person” e di fatto non provocando mai la Cina durante il viaggio diplomatico.

Tante le questioni spinose che erano da affrontare per il Tycoon newyorkese. Il processo verso una nuova militarizzazione del Giappone e la conseguente cancellazione dell’articolo 9 della costituzione nipponica sul divieto di riarmo; la questione filippina, storico alleato cardine nel Pacifico, dove il nuovo presidente Duterte sembra orientato a gestire autonomamente le schermaglie con la Cina nei mari contesi del sud senza agire da proxy americano; senza parlare della questione nordcoreana che da mesi campeggia nel dibattito internazionale.

E poi ovviamente in campo c’era l’evoluzione dei rapporti con la Cina. Senza girarci troppo intorno, il dilemma di Washington capire come renderla sempre meno Zhongguò (paese centrale) e parallelamente come tornare ad essere guida salda ed affidabile dell’ordine liberale globale, quello da lei costruito durante il corso del Novecento. Probabilmente gli U.S.A hanno affrontato il viaggio istituzionale in Asia più complesso dal punto di vista diplomatico, politico ed economico dai tempi della “ping pong diplomacy” nixoniana e della guerra in Vietnam.

Fedeli alla cronologia del tour partiamo dalle prime due tappe: il Giappone e la Corea del Sud. Questi due Stati, oltre ad essere storici alleati degli U.S.A, condividono oggi la scomoda posizione di essere gli obiettivi militari più realistici della Corea del Nord, almeno all’interno di una previsione di possibilità tecniche e non per forza di volontà politiche. Il Giappone, attraverso il proprio premier Shinzo Abe forte di una recente conferma elettorale, studia un riarmo che ha una portata storica, se pensiamo al secolo scorso e all’epilogo della Seconda guerra mondiale. Nonostante i proclami, gli investimenti e il comportamento minaccioso dell’alleato a stelle e strisce, il paese del Sol Levante è consapevole che l’escalation militare non è un’opzione consigliabile e continua perseguire più strade per attenuare la minaccia bellica nordcoreana con la diplomazia mentre sfrutta la stessa crisi per uscire dalle secche post Hiroshima e Nagasaki.

Coerentemente con la recessione dal trattato di Trans-Pacific Partnership (TPP), il presidente americano non ha mancato di ricordare agli alleati che gli U.S.A. soffrono svantaggi dai rapporti commerciali con i loro “amici asiatici” e più che rimarcare il ruolo degli U.S.A come garanti della “sicurezza globale” è sembrato un rappresentante commerciale del settore bellico. Il tycoon, alle prese con le critiche e i problemi interni, ha tentato di conciliare le esigenze macroeconomiche del deficit americano con contratti di carattere economico-militare che lascerebbero presumere un’escalation bellica che nessuno nell’area, giustamente, si auspica, se non i produttori di armamenti yankee.

Giappone e Corea del Sud, consapevoli dei limiti dell’attuale leadership americana, confusa e instabile, continuano a guardare con interesse alla costruzione di un’area di libero scambio, una TPP senza gli americani. Si tratta di un progetto più debole, non vi è dubbio, ma come ha sottolineato il ministro del commercio giapponese, Toshimitsu Motegi, durante il vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation, Hanoi 10 Novembre) “la nuova intesa di principio invia una messaggio forte agli U.S.A. e ad altri paesi della regione Asia-Pacifico”. Nessuna rottura epocale, ma inizia ad insinuarsi un’idea impensabile fino a qualche tempo fa, ovvero che nel Pacifico si possa fare a meno dell’America. Un’idea che a Pechino nutrono da tempo.

Raggiungendo poi il Vietnam, nel forum APEC di Hanoi Trump ha ribadito gli stessi concetti espressi in Giappone, affermando di essere pronto a siglare accordi bilaterali sulla base di “rispetto e beneficio reciproco”; ma anche ribadendo che non saranno tollerate barriere commerciali e pratiche inique che minino gli interessi dell’America. Durante il suo discorso il presidente statunitense ha poi reintrodotto un progetto abbandonato dall’amministrazione Obama, parlando di un piano su un “libero e aperto Indo-pacifico”: il cosiddetto “Quad” delle democrazie asiatiche, i cui poli sarebbero U.S.A, Australia, India e Giappone, che dovrebbero perseguire e riformare(?) l’ordine asiatico. Rispolverare questa strategia rappresenta un goffo tentativo di contenimento ai danni di Pechino, le cui proposte e iniziative, come ad esempio la Belt and Road Initiative e l’AIIB (Asian Investment-Infrastructure Bank), sembrano attrarre e convincere molti paesi della regione.

Dopo queste tappe preliminari, veniamo alla tre giorni di Trump in Cina, che era come logico il momento più atteso di questo tour diplomatico. In che fase politica cinese è sbarcato il presidente americano?
Il 24 Ottobre si era conclusa la settimana del 19° Congresso del Partito Comunista Cinese, il luogo quinquennale dove il partito si riunisce per rinnovare la propria la classe politica e annunciare sguardi strategici costruiti nei mesi precedenti, ratificandoli in maniera definitiva. Prosegue a Pechino la scommessa del “socialismo” con caratteristiche cinesi come sfida implicita al paradigma economico e politico occidentale a guida statunitense, un lavoro certosino di soft power e diplomazia che centimetro dopo centimetro sta lavorando ai fianchi il colosso americano.

Trump è stato accolto da cerimonie all’insegna di grande sfarzo e da bozze di accordi miliardari da firmare per equilibrare le bilance dei due paesi. Si parla di 37 accordi per un totale di 250 miliardi di dollari, di cui beneficiano sia aziende americane che cinesi. Pechino ha riservato inoltre al presidente U.S.A. l’onore dell’accoglienza nella città imperiale, gli ha fornito qualche carta per tornare in patria millantando vittoria, ma esce sicuramente soddisfatta da queste settimane di forum ed incontri bilaterali. Nei quali gli Stati Uniti, guardando al dito, hanno riportato “successi” a breve termine, dimostrando però un’incapacità ormai strutturale di immaginare una riforma dell’ordine asiatico che vede emergere la Cina, che guarda invece alla luna, come hub economico-politico.

L’ultima tappa di Trump sono state le Filippine. Il 13 novembre a Manila si è tenuta una conferenza tra capi di stato dei paesi che affacciano sull’Oceano Pacifico, il cosidetto “Pacific Rim”, con le solite esternazioni sensazionalistiche lanciate dak profilo Twitter del presidente USA. L’incontro è stato probabilmente più utile al presidente cinese Xi, che ha utilizzato quel momento per confrontarsi direttamente con il presidente fiippino Rodrigo Duterte sulle schermaglie nel Mar Cinese Meridionale. L’attenuamento di questo conflitto sui confini marittimi sembra darsi senza che gli Stati Uniti svolgano alcun ruolo, un ulteriore segnale che parla di un processo du auto-regolazione tutta prettamente asiatica delle dispute continentali, dove la Cina ovviamente fa valere tutto il suo paese ma dove anche – è questa è la novità – gli U.S.A. non sembrano riuscire ad imporsi a livello politico come una volta.

E’ forse questa in sintesi il lascito del viaggio di Trump in Asia: una controprova della declinante capacità americana di dominare l’area e della sempre più costante affermazione cinese nello stesso perimetro. Processo che potrebbe essere messo in discussione solo da una reale prova di forza militare americana contro Pechino, che al momento però è da inserire nel campo della fantascienza piuttosto che in quello della politica di questo mondo. Nel frattempo, come insegna lo Zimbabwe, Pechino è sempre più attore decisivo a livello globale nel disegnare l’ordine globale, mentre Washington sembra sempre più nella fase discendente della propria egemonia.

 

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

asiacinaUsa

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ricostruzione a Gaza: il business della “pace” dopo la distruzione

Mentre le macerie di Gaza raccontano l’ennesimo atto di pulizia etnica e annientamento coloniale, il governo italiano si prepara a “sedersi al tavolo della ricostruzione”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Alba: Blocchiamo tutto! Free Palestine!

Alba. Venerdì scorso un corteo in sostegno alla popolazione palestinese è partito da Zona h (parco cittadino) in direzione del teatro sociale: si inaugurava la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco; oltre al presidente della regione Alberto Cirio, era previsto l’intervento di Paolo Zangrillo ministro del governo Meloni.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Udine: in 15mila mostrano il cartellino rosso ad Israele

In migliaia da tutta Italia hanno raggiunto Udine per manifestare contro la partita della vergogna Italia – Israele.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

In Belgio ondata di proteste contro l’austerità

140.000 persone nelle strade di Bruxelles, blocchi mattutini, traffico aereo quasi paralizzato, scontri violenti: questo è ciò che è successo martedì 14 ottobre dai nostri vicini belgi.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Perù: destituzione veloce di Dina Boluarte. Ragioni, scandali e un rimpiazzo poco raccomandabile

Con un brusco finale di cui è stata la prima presidente, il Perù scrive un nuovo capitolo di una lunga agitazione politica che il paese vive dal 2016.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Israele viola il cessate il fuoco: sei palestinesi uccisi a Gaza. OMS: 15.000 persone hanno perso gli arti nella guerra

Martedì mattina, sei cittadini palestinesi sono stati uccisi e altri sono rimasti feriti in attacchi israeliani contro le città di Gaza e Khan Yunis.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Livorno: pratiche di lotta, agibilità politica e repressione

Riflessioni a margine della doppia visita di Salvini a Livorno.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Milano: non passa la mozione per interrompere il gemellaggio con Tel Aviv. Proteste dentro il consiglio comunale, cariche fuori

A Milano proteste dentro e fuori il consiglio comunale: a Palazzo Marino passa il voto con la maggioranza di 22 a 9 (3 gli astenuti) contro la mozione che chiedeva l’interruzione del gemellaggio con Tel Aviv.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Show Israel the red card! Corteo nazionale a Udine

Domani, 14 ottobre, alle 20:45, si giocherà a Udine Italia–Israele, match di qualificazione ai Mondiali 2026. 

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La giudice federale impedisce a Trump di inviare truppe della Guardia Nazionale a Chicago

Il pendolo tra guerra civile e guerra esterna negli Stati Uniti di Trump oscilla sempre più vorticosamente.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Perché Trump vuole “salvare” Milei

Swap multimilionario del Tesoro Usa in cambio dell’impegno a cacciare la Cina dall’Argentina. Sospetti di fuga di fondi speculativi.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

I bulldozer di guerra israeliani: finire ciò che la Nakba ha iniziato

Le spedizioni di bulldozer sovvenzionate da Washington stanno consentendo a Tel Aviv di radere al suolo Gaza, rilanciando le tattiche utilizzate durante la Nakba per la Pulizia Etnica della Palestina.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Dieci giorni di fuoco. Una cronaca della rivolta in Nepal

In Nepal, gli ultimi dieci giorni hanno scompaginato lo scenario politico. A quasi vent’anni dalla rivoluzione che aveva deposto la monarchia, il sistema politico nepalese consolidato è entrato in una forte crisi di legittimità.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

American Primeval

Dell’omicidio di Charlie Kirk e del suo presunto esecutore Tyler Robinson si sta parlando ampiamente.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

America Latina, “la guerra secondaria”

Nel 2025, la competizione globale per i minerali essenziali – terre rare, litio, cobalto – e per le fonti energetiche – petrolio, gas, energie rinnovabili – sta riconfigurando il potere globale.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

La questione della Palestina nel mondo di lingua cinese

Nell’ottobre 2023, con l’operazione “Diluvio di al-Aqsa” lanciata da Hamas e la brutale risposta di Israele, il movimento di solidarietà con la Palestina è ricomparso in Cina.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Cina: dallo SCO alla parata militare a Pechino

Riprendiamo due interviste da Radio Onda Rossa e Radio Blackout che fanno il punto della situazione dopo i due eventi che hanno visto protagonista Pechino.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Georges Ibrahim Abdallah uscirà di prigione il 25 luglio, dopo 41 anni di reclusione

Abbiamo tradotto questo testo apparso su ContreAttaque in seguito alla notizia della decisione di fare uscire dal carcere Georges Ibrahim Abdallah dopo 41 anni di reclusione ingiusta, simbolo della persecuzione e dell’attacco da parte di Stati Uniti e Israele in primis e, di conseguenza della totale complicità di uno Stato europeo come la Francia, nei confronti di un militante anti-imperialista, rivoluzionario marxista libanese.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Raffaele Sciortino – L’imperialismo nell’era Trump. Usa, Cina e le catene del caos globale

Che cos’è l’imperialismo oggi, nell’era di Trump? da Kamo Modena Non è una domanda scontata, né una mera speculazione teorica; al contrario, siamo convinti che sia un nodo fondamentale, tanto per chi vuole comprendere il mondo, quanto per chi mira a trasformarlo – partendo, ancora una volta, da dove si è, da dove si è […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Leggere la Cina è capire il mondo

Non è semplice, in un periodo di attacco agli atenei e al pensiero non mainstream, trovare studi sulla Cina sottratti al paradigma “noi e loro”.