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Le elezioni di Mid-Term negli USA. Un nuovo terremoto?

Le elezioni di Mid-Term si annunciano come una probabile sconfitta per il presidente in carica Biden. A pesare sarebbe l’incipiente recessione, l’inflazione che non accenna a diminuire e la percezione di insicurezza economica e sociale.

E’ sempre complesso leggere con le nostre categorie europee quello che accade negli USA, a volte ci consegna di più un prodotto della serialità apparentemente kitsch come Tiger King che la lettura di un buon saggio di storia. Un cowboy omosessuale che costruisce un impero “self made” con uno zoo di grandi felini, amante delle armi, candidato libertariano, che viene incarcerato con l’accusa di aver progettato l’omicidio di una donna e chiede la grazia al presidente Trump. Per quanto possa essere una vicenda iperbolica, un particolare incrocio di destini, ci risulta estremamente difficile da comporre insieme, secondo la nostra visione del mondo, tutti questi elementi. Non che gli Stati Uniti profondi siano tutti una collezione di iperboli, di identità frammentate, dolore e selvaggio diritto di natura, è che per i nostri schemi culturali è difficile capire come pulsioni, desideri, immaginari così diversi possono stare insieme. Ci pare tutto contraddittorio, assurdo.

In “What’s the matter with Kansas?” Thomas Frank ci racconta come l’immaginario conservatore si è imposto nel cuore dell’America a partire dalla fine degli anni ’70. Parlando di iperboli un particolare rimane impresso quando Frank accosta due pezzi di arte popolare dell’entroterra del Kansas. Avete presente quei giardini di sculture, più o meno grottesche, quei parchi di stravaganze a cielo aperto che capita di incontrare anche in Italia vagando per le campagne? Spesso sono una delle forme d’espressione di una popolazione ai margini dei circuiti metropolitani che esprime la propria arte fuori da quelli che sono i canoni della moda del momento, con maggiore o minore capacità di intercettare il sentire popolare di quei luoghi. Sono a loro modo l’indicatore di un “altro” modo di vivere. Bene Frank ci descrive due di questi giardini, il primo è il Garden of Even di S.P. Dinsmoor a Lucas dove attraverso una serie di statue vengono rappresentate allegorie bibliche e storiche americane: generalmente queste raffigurazioni hanno a che fare con il movimento populista americano di inizio ‘900, un fenomeno specifico degli Stati Uniti rurali dai contenuti radicali, egualitari e generalmente di sinistra. A circa duecento kilometri di distanza vi è un altro parco di opere a cielo aperto, più recente, a Mullinville, dove le sculture sono realizzate in metallo e lamiera e il tema principale è la satira politica nei confronti dei democratici. Per citarne una, vi è una svastica gigante con la faccia di Hillary Clinton che tiene in mano una falce e martello e la scritta “La nostra Eva Braun con gli stivali”.

Questo accostamento ci racconta la progressiva trasformazione dell’identità politica popolare dell’hinterland americano, ma anche la profonda differenza di immaginari storici di cui si nutre la contemporaneità dai due lati dell’oceano, nonostante la continua contaminazione.

Questa lunga premessa serve a farci considerare le necessità di adottare uno sguardo che considera questa complessità quando si guarda agli Stati Uniti. Oggi risulta piuttosto probabile che molti commentatori abbiano fatto al trumpismo un funerale prematuro dopo l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Infatti il Partito Repubblicano è ancora fermamente nelle mani della banda del magnate (tra i candidati repubblicani circa 300 negano la sconfitta di Trump alle presidenziali) e la tendenza sembra quella di una vittoria alle elezioni di mid-term che si celebrano oggi anche se non è facile prevedere di che consistenza.

E’ più facile invece capire il perchè di queste previsioni, l’agenda economica di Biden non è riuscita a rispondere alla crescente inflazione e una tempesta perfetta sembra approssimarsi sui mercati. In tutto ciò l’amministrazione democratica si è concentrata sulla proiezione geopolitica degli Stati Uniti, tra il ruolo che sta giocando nel conflitto in Ucraina e la guerra di nervi con Pechino.

Ora il tema della guerra è rimasto sullo sfondo nelle analisi mainstream delle elezioni di midterm, eppure è un argomento di dibattito quotidiano sui media USA esattamente come da noi. Secondo un sondaggio del 22 settembre tre repubblicani su dieci affermano che gli Stati Uniti stanno fornendo il giusto di sostegno all’Ucraina, mentre una quota simile (32%) afferma che gli Stati Uniti stanno fornendo troppo sostegno. Solo il 16% ora afferma che non sta fornendo abbastanza supporto. Al contrario, a marzo, circa la metà dei repubblicani (49%) ha dichiarato che gli Stati Uniti non stavano fornendo abbastanza sostegno e solo il 9% ha dichiarato che stava fornendo troppo. Un altro sondaggio afferma che  il 57% dei probabili elettori sostiene che gli Stati Uniti debbano perseguire i negoziati come un possibile modo per porre fine alla guerra in Ucraina, anche se ciò significa fare concessioni alla Russia.

Come si può notare dal grafico la percentuale più alta tra chi considera necessaria la via diplomatica risiede tra gli elettori democratici. Quali effetti avrà ciò sul voto di questi elettori?

In questo frangente si inserisce la lettera del Progressive Caucus del Partito Democratico inviata al presidente Biden che sollecitava i negoziati – anche se il caucus inseguito ha ritirato la sua lettera – e i commenti del leader della minoranza della Camera Kevin McCarthy secondo cui il Partito Repubblicano non avrebbe sostenuto un “assegno in bianco” per quanto riguarda i futuri aiuti all’Ucraina.

A ciò si aggiunge che sono in aumento le voci che iniziano a considerare la guerra in Ucraina l’ennesimo fallimento dei falchi neocons americani.

Ora è difficile dire quanto realmente il sentiment sulla guerra peserà nelle elezioni di mid-term (anche se nel grafico qui sopra si può notare come la guerra e le questioni economiche vengano considerate intrecciate dalla popolazione USA) ed è chiaro che le promiscuità trumpiane con Putin e il putinismo sono oscene. Ma è anche vero che, come già successo dopo la trasformazione del Grand Old Party seguito all’era Bush, una parte della popolazione che è più orientata verso la risoluzione diplomatica del conflitto per motivi più o meno economici, potrebbe essere tra chi sceglie di votare repubblicano o di non votare affatto.

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