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“Esodi biblici”? No, movimento continuo!

Da poco l’esercito egiziano che presidia piazza AlTahrir ha annunciato che darà meno di 30 minuti ai manifestanti per disperdersi altrimenti userà la forza per reprimere la manifestazione. Dopo il quinto comunicato diffuso dagli alti vertici dell’esercito che chiedeva di interrompere sit in e scioperi, le iniziative non si sono fermate, anzi è stata annunciata una grande manifestazione per venerdì prossimo nominata “la giornata della vittoria”. Gli scioperi si susseguono in tutto il paese che dopo aver scacciato Moubarak dai palazzi del potere ha scoperto la forza che possiede e non sembra intenzionato almeno per ora a concedere pace sociale fino a quando i punti più volte rivendicati dal movimento non verranno realizzati. Uno tra tutti: la redistribuzione delle ricchezze. Il nodo centrale della crisi entra a pieno nell’Egitto del post-Moubarak accompagnato dalla continuità degli scioperi e della mobilitazione dei soggetti sociali che fino a ieri reclamavano la caduta del Rais e che oggi sembrano essere intenzionati ad andare avanti nel programma di lotte complessivo che aveva lanciato le prime giornate di mobilitazione.

In Yemen ancora scontri e ripresa dell’iniziativa da parte del movimento anti regime che a Sanaa e a Taiz è tornato in strada a gridare “Ehi Ali, vattene, vattene!”. Diversi feriti e il corteo si è poi sciolto all’interno del campus universitario in cui sono riusciti a ripararsi i manifestanti attaccati per l’ennesima volta non solo dalla polizia ma anche da alcuni gruppi di così detti manifestanti pro-regime pagati da Saleh per provocare ed intimidire il movimento. In ogni modo carcere e repressione non hanno fatto retrocedere la mobilitazione che anzi di giorni in giorno cresce di partecipanti e sempre più chiare rivendicazioni politiche a cui non bastano le millantate aperture del presidente.

Scontri, lacrimogeni e proiettili di gomma anche in Bahrain dove una famiglia sunnita governa la maggioranza sciita del paese del Golfo. Già nel fine settimana si erano ripetute iniziative di protesta e repressione di piazza a cui sono seguiti numerosi arresti. Oggi la prima giornata della collera organizzata tramite twitter e facebook ha portato nelle piazze delle città e di piccoli villaggi del paese moltissimi manifestanti che non hanno avuto paura dell’ingente dispiegamento di forze. Neanche gli elicotteri, che ancora sorvolano a quota bassa la capitale, hanno disinnescato questa prima dimostrazione pubblica del movimento, così come i contanti offerti alla popolazione dalla famiglia al governo, durante la scorsa settimana, hanno fatto rinunciare alla piazza di sollevarsi.

Ad Algeri il movimento conferma un nuovo corteo nazionale per il 19 febbraio, dando ad intendere che la mobilitazione del fine settimana era solo la prima sperimentazione di un percorso che non rinuncia a puntare in alto, rivendicando la caduta del regime. Forte anche delle rivolte che si sono accese nel pomeriggio e nella notte del sabato in diversi quartieri popolari della capitale ed in altre città, il movimento non cede e rilancia. La Francia che sembra aver appreso qualcosa dalla lezione tunisina ha intimato al governo algerino di garantire la libertà d’espressione e di manifestazione. La Republique tenta con l’Algeria di riguadagnare posizione nello scenario diplomatico internazionale: battuta dagli “imprevedibili” movimenti (che hanno fatto perdere la poltrona a non pochi, “disattenti” e goffi diplomatici francesi) e decisamente in coda alla Casa Bianca in quanto a protagonismo ha consigliato all’Algeria di decretare la fine dello stato d’emergenza. A dire la verità il regime di Bouteflika aveva già annunciato da un pezzo di voler revocare il liberticida provvedimento che è in vigore da quasi 20 anni, tentando di placare la piazza e disinnescare il movimento. Operazione non riuscita! Come le iniziative del fine settimana hanno dimostrato e che vengono già rilanciate dal movimento per il prossimi giorni fino al nuovo corteo nazionale del 19 febbraio.

Prosegue intanto la guerra di dichiarazioni tra Governo italiano, istituzioni ed agenzie europee legata alla così detta emergenza “migranti”, all’esodo biblico richiamato dalle dichiarazioni del ministro Maroni. Le istituzioni europee ripetono che hanno tentato di mettersi in contatto ripetutamente con le autorità italiane che hanno rifiutato qualsiasi tipo di sostegno. L’agenzia europea per la cooperazione nelle operazioni di confine Frontex nega di aver ricevuto richieste di assistenza da parte del governo italiano. Questa così detta emergenza di ora in ora sembrerebbe apparire come un caso orchestrato dal governo per costruire uno spazio mediatico politico su cui incidere le proprie provocazioni e tentare una ripresa di protagonismo, di parte ultra reazionaria, nell’area mediterranea. Non è bastata la stigmatizzazione della proposta di dispiegare la polizia italiana a presidio di alcune zone della Tunisia, che ha fatto parlare, al governo il governo di transizione tunisino, di un intollerabile ingerenza contro la sovranità.

Le proposte del ministro Maroni non sembrano aver fatto arrossire i suoi colleghi francesi e tedeschi, che nel pomeriggio hanno rotto il silenzio per appoggiare le preoccupazione dell’omologo italiano, portando la Merkel a spingersi anche oltre parlando della necessità di “rinforzare lo stato di diritto” in Tunisia. Mentre quindi il movimento tunisino è impegnato a continuare la sua lotta rivoluzionaria per la libertà e contro la crisi, l’Egitto ha compiuto il primo passo cacciando Moubarak, e l’Algeria e la Libia sono in fermento c’è il rischio che “l’esodo biblico” evocato dal signor Maroni diventi un motivo per legittimare un dispiegamento di forze militari italiane ed europee sempre più a ridosso dei movimenti rivoluzionari nord africani e funzionare da esplicito deterrente per le piazze e da utile strumento per i Rais della zona ancora ben saldi nei palazzi del potere. Uno tra tutti il grande alleato di Berlusconi: Gheddafi che nel fine settimana sarà alle prese con la prima giornata della collera libica.

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