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Ecuador: Una guerra contro il movimento indigeno

Il decreto di Conflitto Armato Interno emesso dal governo di Daniel Noboa “si inscrive in modo diretto nella Dottrina dello Shock come condizione di possibilità per l’aggiustamento economico”, sostiene l’economista ecuadoriano Pablo Dávalos (https://goo.su/6c7qgp).

di Raúl Zibechi

L’enorme virtù del suo articolo intitolato “Dalla demolizione istituzionale alla Dottrina dello Shock” consiste nell’aver legato il narcotraffico alla guerra contro i popoli, includendo la disarticolazione dello stato-nazione per poter imporre le politiche del FMI e del Pentagono.

Da qui la centralità della sua domanda: “Perché il governo di Guillermo Lasso (2021-2923) ha lasciato che i gruppi della delinquenza organizzata si consolidassero e ampliassero il proprio controllo sui territori?”. Parallelamente, quel governo ha tagliato ed eliminato programmi sociali, fatto che ha consegnato una porzione della società al crimine organizzato non avendo altra via d’uscita per la propria sopravvivenza.

Con la dichiarazione di conflitto armato e dello stato d’emergenza, dopo l’occupazione di un canale televisivo “in diretta” (che alcuni analisti sostengono che sia stata un’operazione sotto “falsa bandiera”), è stato imposto il coprifuoco dalle ore 23.00 alle 5.00, sono proibite le riunioni pubbliche, è autorizzata la violazione del domicilio, si militarizza il paese, e l’educazione e le attività pubbliche ritornano al formato digitale come giù successe durante la pandemia di Covid 19.

La dichiarazione di guerra, sostiene Dávalos, permette al governo di “imporre una serie di misure economiche di aggiustamento senza che la società possa assolutamente reagire”. La dollarizzazione che c’è da 23 anni, inoltre, permette l’utilizzo del sistema monetario per il riciclaggio del denaro, fatto che alimenta tanto il narcotraffico come le grandi corporazioni.

Anche se l’analisi di Dávalos è centrata sulla dichiarazione di guerra per imporre l’aggiustamento che chiede il FMI, la seconda ipotesi (sconfiggere il movimento indigeno) può essere quella decisiva per le classi dominanti. Ma questo implica fare un po’ di storia.

Nell’ottobre del 2019 si registrò un’impressionante sollevazione indigena e popolare contro le misure di aggiustamento del governo di Lenin Moreno (2017-2021), in particolare l’aumento dei combustibili. Non fu un’altra sollevazione di quelle che ha convocato la CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador). Dopo tredici giorni di scontri nel centro storico di Quito, il governo dovette fare marcia indietro sulle principali misure che voleva imporre.

Ma ci sono due elementi decisivi che segnarono la lotta. Il primo è il massiccio coinvolgimento dei giovani urbani di origine indigena che a migliaia parteciparono alla sollevazione e giocarono un ruolo decisivo negli scontri. Sono figli e figlie di migranti andini, soprattutto del sud, che trasformarono i loro quartieri in bastioni contro il regime per la prima volta nella recente storia.

La seconda è che le organizzazioni indigene dispiegarono le loro guardie di autodifesa, impedirono l’azione di infiltrati e detennero più di 200 poliziotti che furono consegnati ad organismi internazionali come la Croce Rossa. La polizia fu completamente sconfitta, qualcosa che le classi dominanti non possono tollerare. Di fatto, nei mesi seguenti si registrò un massiccio acquisto di materiale antisommossa e si teconologizzarono e militarizzarono i corpi repressivi.

La sollevazione del 2019 portò alla direzione del movimento una nuova nidiata di militanti, rappresentati dalla figura di Leonidas Iza, con formazione accademica e politica, restii a compromessi con lo stato e i partiti come lo fece una parte delle precedenti direzioni, con un proprio progetto politico, un ampio sostegno nelle comunità e un’autostima che ha segnato differenze con la storia della CONAIE di più di tre decenni fa. Con risultati ed errori, gli indigeni si guidarono da sé stessi, senza la mediazione di intellettuali meticci e delle ONG.

A mio modo di vedere, questa è la risposta alla domanda di Dávalos del perché Lasso fece arretrare lo stato e facilitò il consolidamento del crimine organizzato: come modo di frenare il movimento indigeno e popolare. Nei manuali di controinsurrezione, questo si chiama (parola più parola meno) “intorbidire le acque”, ogni volta che non si può più togliere l’acqua al pesce (la guerriglia) come si tentò in Vietnam e in altre guerre.

Con un crimine organizzato attivo e potente, il potere si consolida, con scarsa legittimità ma con tutta la massiccia forza dell’apparato armato dello stato. Se il governo non avesse “liberato” il crimine organizzato, avrebbe dovuto optare per un colpo di stato, politicamente più costoso e con grandi possibilità di fallire nello sconfiggere quelli in basso.

Il giornalista argentino Gerardo Szalkowicz spiega in “Cinque chiavi per comprendere un paese a pezzi” (https://goo.su/Lahrc), che si tratta di un piano regionale. “La trama che sta distruggendo l’Ecuador ha particolarità locali ma risponde ad un modello che si è installato con forza negli ’80 in Messico, Colombia e alcuni paesi del Centroamerica, e che negli ultimi anni si dissemina, in diversa scala, per tutta la regione”.

È la politica degli Stati Uniti per il continente, che ora si appresta a intensificare la propria presenza in Ecuador, con consiglieri militari propri e israeliani, come già successe in Colombia. Ricordiamo che i centri di pensiero come il GEAB francese, sostengono che l’America Latina sarà nei prossimi decenni il centro della disputa per l’egemonia globale tra gli USA e la Cina.

Siamo davanti ad un modello di militarizzazione (legale e illegale) per sottomettere i popoli mediante il terrore, “mentre parallelamente si retroalimenta una struttura di milionari grossi affari illeciti”. Il gruppo criminale Los Lobos (legato al Cartello Jalisco Nuova Generazione), sfrutta 20 miniere d’oro nell’Azuay, controlla 40 gruppi minerari illegali e ottiene guadagni di quasi 4 milioni di dollari al mese come hanno appena finito di informare tre media peruviani (https://goo.su/xXcZTEP).

Questo oro illegale e criminale percorre un lungo cammino fino a “legalizzarsi” in Svizzera o a Miami, secondo quanto rivelano vari studi per i casi dello sfruttamento aurifero illegale in Perù e Bolivia, modalità che ha superato gli importi che gestisce il traffico delle droghe.

Di rigore, dobbiamo parlare di capitalismo e non di crimine. Di accumulazione per saccheggio e guerra e non di affari illeciti. Il ruolo dei grandi media è confondere, facendo come se lo stato e il crimine fossero cose differenti, come se la violenza criminale e quella poliziesco/militare non puntassero agli stessi obiettivi: paralizzare la popolazione per facilitare l’accumulazione e la devastazione della vita.

I movimenti popolari in generale, e gli indigeni in particolare, sono il principale ostacolo che oggi incontra il capitalismo criminale, dal Chiapas fino al Wall Mapu, dal Pacifico fino all’Amazzonia. Includendo i governi conservatori e quelli progressisti.

Di fronte a questa realtà del capitalismo realmente esistente, non ha nessun senso chiedere più stato per riparare i danni, perché l’attuale stato è un fermo alleato del crimine. Come stanno già facendo nove popoli amazzonici in Perù -oltre a zapatisti, nasa e mapuche-, il cammino dei governi autonomi sembra essere il più adeguato per affrontare questo periodo.

16 gennaio 2024

Desinformémonos

Traduzione a cura di Comitato Carlos Fonseca

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