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Gli occhi dell’impero sulle Galapagos

“La storia è l’insegnamento del futuro:
ignorare i tempi passati significa
non essere adatti a quelli che vengono.”

Juan Montalvo, Las Catilinarias

di Alberto Acosta, da ECOR Network

Prima parte

La decisione del presidente ecuadoriano Daniel Noboa di cedere una base nelle Galapagos alle forze armate degli Stati Uniti dovrebbe scuotere la società: più in là di coloro che ingenuamente vogliono vedere in questo passo una possibile soluzione ai gravi problemi di sicurezza del Paese. Questa decisione viola lo spirito e la lettera della Costituzione di Montecristi, che proclama e difende categoricamente la “cultura della pace”. E questa disposizione colloca l’Ecuador, come una pedina degli scacchi, al centro di un brutale confronto inter-imperiale.
Sono proprio gli interessi geostrategici degli Stati Uniti a prevalere, ancora una volta. Non è un caso che, contemporaneamente, in Perù, dove sono già presenti cinque basi militari statunitensi, sia stato raggiunto un nuovo accordo con Washington per costruire la più grande base spaziale della regione, presso la base aerea di Talara, nel dipartimento di Piura. Non c’è dubbio che, d’accordo con Luis Córdova Galarza,

“Entrambi i progetti sono relazionati a livello geostrategico e costituiscono nuove enclaves militari per rafforzare la posizione di dominio e controllo degli Stati Uniti nella regione, di fronte ad un eventuale conflitto armato con la Repubblica Popolare Cinese o i suoi alleati . “1

Si tratta di un problema particolarmente preoccupante poiché il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, all’inizio del suo secondo mandato, ha rinnovato le ambizioni espansionistiche del suo Paese. Propone pubblicamente di riprendere il controllo del Canale di Panama e di annettere la Groenlandia. Ci sono addirittura proposte di intervento diretto a Gaza. Ha inoltre affermato che il Canada e il Messico dovrebbero diventare altre due stelle dell’Unione. Sebbene abbia aperto la porta a una guerra tariffaria accelerata contro i suoi partner dell’USMCA, il Trattato tra Messico, Stati Uniti e Canada, successore del North American Free Trade Agreement (NAFTA); guerra che si estende ai prodotti cinesi. Nel frattempo, ha scatenato una brutale persecuzione contro i migranti irregolari, deportandoli nel modo più spregevole, violando i loro diritti umani e persino trasferendo alcuni migranti nel carcere di massima sicurezza per terroristi di Guantanamo.
Abbiamo a che fare con un governante che incoraggia una sorta di governo di oligarchie transnazionali, il cui potere si espande attraverso il controllo dei mass media, supportato da tecnologie globali all’avanguardia, con tentacoli in una varietà di attività economiche in tutto il mondo. Oligarchie che, nella pratica, per raggiungere i propri obiettivi, mancano sistematicamente di rispetto alla vita umana e alla Natura stessa: basta ricordare che il Presidente Trump, appena entrato in carica, ha ritirato il suo Paese dal già limitato accordo sul clima raggiunto a Parigi nel 2015 in occasione della Conferenza delle Parti – COP21. Sono oligarchie che non nascondono le loro ambizioni di conquistare e colonizzare lo spazio siderale.

Questa intenzione non è nuova. Aziende private, come SpaceX (Elon Musk) e United Launch Alliance (Boeing e Lockheed Martin), beneficiarie di enormi contratti governativi, forniscono gran parte della capacità di lancio di razzi degli Stati Uniti, sia per missioni scientifiche che militari. Sebbene gli stretti legami tra l’industria aerospaziale e quella della difesa non siano una novità, ci troviamo in una fase decisamente nuova, in cui vanno a braccetto i progressi tecnologici, le nuove priorità politiche e l’ascesa di queste oligarchie transnazionali.
All’interno di questo processo, la visione dello spazio come bene comune si sta rapidamente erodendo. Il capitalismo statunitense ha puntato l’attenzione sull’Universo nel tentativo di mercificarlo – a partire dall’estrazione di minerali dagli asteroidi 2 – e cercando nel contempo di consolidare le sue posizioni di predominio, soprattutto militare, sulla Terra.
A questo punto non possiamo dimenticare cosa sabbia significato e significhi tuttora la combinazione della “Dottrina Monroe” con le idee del Destino Manifesto, che hanno creato un precedente e le basi stesse per l’espansione degli Stati Uniti nel continente americano e anche oltre. Questa è la base ideologica di questo imperialismo che disputò il potere alle vecchie potenze europee. Un’ideologia che ora alimenta la spinta a riconquistare e persino ad espandere la supremazia globale degli Stati Uniti.

Primo battito d’ali dell’aquila yankee in territorio ecuadoriano

Per comprendere meglio la complessità della scelta di asservimento del governo di Daniel Noboa, che ha iniziato a prendere forma durante il governo di Guillermo Lasso, ripercorriamo brevemente le pretese imperialiste, che hanno una lunga storia di minacce e persino aggressioni.
Nel 1852, quando l’Ecuador muoveva i primi passi verso un regime repubblicano, un gruppo di criminali guidati dal “pirata di Guayas”, Manuel Briones, attaccò la goletta americana “George Howland” alle Galapagos. Gli aggressori vennero catturati e giustiziati. L’incidente portò a una richiesta di risarcimento di quasi 40.000 dollari da parte della missione diplomatica statunitense a Quito. La sua richiesta rimase senza risposta per un decennio.
Nel 1862, dopo molti anni di silenzio e di fronte alle rinnovate pressioni nordamericane, l’allora presidente Gabriel García Moreno firmò un accordo per affrontare queste rivendicazioni, impegnandosi a pagare entro nove anni.
Poiché il Paese non fu in grado di soddisfare questa richiesta, le continue pressioni del rappresentante degli Stati Uniti si trasformarono in minacce, anche di un intervento armato. Egli arrivò al punto di affermare, nell’aprile del 1866, che la sua lunga esperienza in questo Paese lo aveva portato a concludere che il debito non sarebbe mai stato pagato a meno che il governo [degli Stati Uniti] non avessero dimostrato la disponibilità ad onorare la richiesta con la forza.
La proposta fu oggetto di discussione nel Congresso americano, organo al quale ricorse il presidente Andrew Johnson, che affermò che “i debiti di un governo verso un altro sono giustamente considerati qualcosa di sacro e poiché ulteriori misure diplomatiche difficilmente avranno successo in questo caso, sottopongo alla vostra considerazione l’opportunità di autorizzare altre procedure“.3

Di fronte a tale minaccia, i governi di Cile e Perù intervennero presso Washington per ottenere un periodo di tempo più lungo per l’Ecuador. Nel frattempo era scoppiata la Guerra del Pacifico, che vide l’alleanza peruviano-cilena contrapporsi alla Spagna. L’intervento dei due governi latinoamericani permise di risolvere il problema, nonostante il governo ecuadoriano di García Moreno si fosse dichiarato neutrale nel conflitto del Pacifico, consentendo alle navi spagnole di rifornirsi nei porti nazionali. Bisogna ricordare che anche gli americani rimasero neutrali in quella guerra, il che significò molto per la flotta spagnola, che era lontana dalle sue basi.

L’Ecuador pagò il suo debito, riconoscendo un tasso di interesse di mora dell’1%. A quel punto il debito era già salito a quasi novantacinquemila dollari, per opera e grazia di un’allegra contabilità, così come descritto dallo storico Jorge W. Villacres Moscoso:

La goletta [George Howland] valeva tanto: interessi sul valore originale, molto di più: somme enormi. Si sarebbero potute pescare così tante balene, così tanto: interessi su ciò che si sarebbe potuto pescare, così tanto: somme enormi. Con l’olio, si sarebbero potuti fare certi affari, così tanto: interessi sugli affari che si sarebbero potuti fare: così tanto. Queste cifre: quantità incomprensibili”.4

Un punto da tenere a mente. La minaccia o addirittura l’uso di meccanismi non pacifici per riscuotere debiti esteri caratterizza le relazioni storiche della Nostra America con le potenze imperialiste, in particolare gli Stati Uniti.
Sono numerosi i casi in cui le pretese dei creditori vennero apertamente sostenute con le armi, come accadde durante l’invasione anglo-franco-spagnola del Messico nel 1862: l’espropriazione di quasi due milioni di chilometri quadrati del Messico – Texas, Nuovo Messico, California, tra gli altri stati dell’Unione – da parte degli Stati Uniti nei decenni tra il 1840 e il 1850, il bombardamento dei porti venezuelani nel 1903 da parte di una flotta anglo-tedesca-italiana (con l’approvazione degli Stati Uniti), il sequestro da parte dei marines della dogana della Repubblica Dominicana nel 1907 e di quella di Haiti nel 1917, solo per citare alcuni esempi.5
Così, nel corso del tempo, le minacce di imporre il servizio del debito si sono ripetute, sempre in sintonia con i desideri dei creditori. Dalle missioni militari siamo passati alle missioni di esperti di organizzazioni di credito multilaterali, come il FMI e la Banca Mondiale, a cui si uniscono sempre più spesso alcune ONG che traggono profitto dallo scambio debito-natura, come vedremo più avanti.
Non dimentichiamo che la storia del debito estero è legata a un assioma poco conosciuto di Klaus von Clausewitz: “La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l’avversario a fare la propria volontà”. Obiettivo che si raggiunge con la gestione imperialista del debito nell’ambito della politica economica. Non è più necessario inviare truppe, ma imporre condizioni di politica economica basate sulle richieste dei creditori, mantenendo al contempo le nostre economie come fornitrici di materie prime.
Non solo, nella pratica, i creditori vedono spesso i loro interessi garantiti attraverso l’uso della forza pubblica da parte degli stessi paesi debitori… la forza pubblica incaricata di sedare le proteste e mantenere “l’ordine”, quando il servizio di questi debiti provoca giustificate proteste popolari di fronte ai gravi impatti sociali scatenati dalle politiche economiche di austerità imposte. Non dimentichiamo che molti di questi debiti sono corrotti, usurai o odiosi e quasi sempre impagabili.
Il debito, in questo senso, è stato ed è uno strumento per obbligare a compiere la volontà dei creditori. Più avanti scopriremo questa logica perversa, con le Galapagos nelle mire degli interessi imperiali.

Una complessa e poco conosciuta storia di pretese imperiali

L’Arcipelago di Colón, o semplicemente Galapagos, fa parte del patrimonio dell’Ecuador dal 1832. Prima di entrare a far parte del territorio ecuadoriano, e anche decenni dopo, questo arcipelago era utilizzato come rifugio per i pirati, che ne saccheggiavano le ricchezze, in particolare gli animali. Queste isole sono state anche oggetto di importanti ricerche scientifiche, come quella di Charles Darwin (1835), e sono state addirittura dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1978 per la loro incredibile e unica biodiversità.
Bisogna riconoscere che l’esercizio della sovranità nazionale in questo territorio insulare ha sempre trovato molte difficoltà. Le pretese imperiali di depredare l’arcipelago si sono fatte avanti più e più volte. E l’incapacità dei governanti [ecuadoriani] di difendere la sovranità nazionale è stata quasi una costante. Per molto tempo non sono stati presi in considerazione l’importanza della sua biodiversità e ancor meno i diritti della sua popolazione. Le isole iniziarono a essere considerate economicamente sterili, il che portò al loro utilizzo come colonie per i criminali portati lì dal continente.

Il desiderio di vari imperi di annettere, controllare o per lo meno mettere un piede militare nelle Isole Galapagos è di vecchia data. Durante il governo del generale José María Urbina (1852-1856), la Casa Bianca propose di sfruttare il guano delle Galapagos, nonostante fosse noto che non ce n’erano quantità significative come in Perù. Washington aveva in realtà altri interessi.

Ma non ci sono solo gli ambiziosi vicini del nord nella lista. A un certo punto della storia la Francia mostrò interesse per queste isole lontane, proprio quando il presidente Gabriel García Moreno cercò di fare dell’Ecuador il suo protettorato.
Nel 1859, quando l’Ecuador aveva quattro governi e la sua integrità era minacciata dalle rivendicazioni territoriali del Perù, il leader conservatore García Moreno chiese sostegno militare alla Francia. Scrisse tre lettere all’incaricata d’affari francese Emilie Trinité, esprimendo il suo desiderio che l’Ecuador fosse protetto dall’Impero francese.

García Moreno cercava “la felicità di questo paese”, perché credeva che la Francia, allora governata dall’imperatore Napoleone III, che di lì a poco avrebbe invaso il Messico con il pretesto di riscuotere un debito estero, garantisse “la civiltà nella pace e la libertà nell’ordine”, così sarebbe stato possibile “arrestare il torrente devastatore della razza anglo-americana”. Quando il pericolo di frammentazione era ormai passato, lo stesso presidente García Moreno insistette nuovamente sulla possibilità che l’Ecuador diventasse un protettorato francese, con un’altra lettera, dal tono simile alla precedente, nel 1861, indirizzata ad Aimé Fabre, successore di Trinité.

L’eminente storico Alfredo Pareja Diezcanseco 6, profondo studioso di questi episodi, rivelò il significato di queste lettere: “Nessuna disperazione del momento lo spinse [García Moreno] a fare quel passoAl contrario, si trattava di un progetto ponderato, di un governante straniero in terra di indios. Che la Francia non abbia voluto ricevere il dono è un’altra questione…

Una volta si diceva anche che la Germania sarebbe stata interessata, ma sono i governi di Washington a non aver mai rinunciato da questa pretesa. Tant’è che nel 1883 il Senato degli Stati Uniti dichiarò le isole “terra di nessuno” (res nullius), considerando l’esistenza di seri dubbi circa l’esistenza della sovranità dell’Ecuador sull’arcipelago. L’elenco di questi tentativi è infinito, in queste brevi pagine si evidenziano solo alcuni aspetti considerati più significativi.7

Pragmatismo o sottomissione: le Galapagos in cambio del debito

Nel terzo decennio del XX secolo, come in tante altre occasioni nella lunga storia del debito eterno 9, i funzionari governativi hanno dovuto affrontare problemi derivanti dal debito estero. Nepali Bonifaz, allora presidente della Banca Centrale, dichiarò in un rapporto confidenziale all’Assemblea Costituente il 21 gennaio 1929 che la situazione economica era chiusa “in un dilemma senza via d’uscita”. Data la sua importanza, vale la pena conoscere alcuni dettagli di questo documento:

«O ci ritroviamo con l’enorme debito estero di più di cento milioni di sucre, schiavizzati a tempo indeterminato, senza poter realizzare le opere pubbliche, giuste quanto necessarie, promesse alle province, oppure, se volessimo annullare il primo ed eseguire il secondo, dovremo accettare, per ottenere un prestito, condizioni così vergognose e umilianti che praticamente porremmo fine all’autonomia nazionale.
Il nostro debito è garantito dalla dogana, dalla ferrovia e dalla responsabilità del governo ecuadoriano, cioè, con tutte le garanzie compatibili, in una certa misura, con la nostra indipendenza, anche se risultano ancora un po’ umilianti“.
Tuttavia, i creditori sono stati costantemente ingannati. Pochi giorni fa, stavano per esserlo di nuovo, quando è stata proposta la sospensione del pagamento delle cedole.
Il brevissimo tempo trascorso dal compimento dei nostri impegni, non può purificarci dalla nostra condotta secolare, né può ispirare alcuna fiducia a concederci prestiti. Con un simile precedente, per accettare un prestito, è certo che ci verrà chiesto, come minimo, di consegnare la nostra dogana principale a un rappresentante dei creditori. Per noi, questo equivarrebbe a firmare un “Documento di Accordo, che nessuno in Ecuador vorrebbe firmare”.
Bonifaz completò il suo rapporto, che fu letto al Congresso, proponendo qualcosa che: “Potrebbe offendere la sensibilità di alcuni, ma ritengo mio dovere, qualunque siano le conseguenze, indicare all’Assemblea l’unico mezzo che ci resta non solo per porre rimedio alla nostra situazione attuale, ma anche per raggiungere, in pochi anni, una prosperità che altrimenti non raggiungeremo prima di un secolo”.
Noi ecuadoriani, mettendo da parte il romanticismo – malattia comune a tutti i latinoamericani – dobbiamo affrontare, con la calma che richiede, il problema della vendita delle Galapagos al governo americano, prima che quest’ultimo, con la sua politica tradizionale, si impadronisca dell’arcipelago, perché lo esigono gli interessi vitali del loro grande Paese“.
Concluse il tema della necessità di vendere le Isole Galapagos, sostenendo: “che queste isole non ci appartengono… se non moralmente, poiché non abbiamo alcun mezzo per esercitare la nostra sovranità su di esse: sono disabitate, forse nemmeno uno su cinquantamila ecuadoriani le conosce, le loro terre sono sterili e, infine, non ci causerebbero altro che spese, fino al giorno in cui il Colosso del Nord se ne impadronirà. Cosa che richiederà più o meno tempo per accadere, ma che accadrà inevitabilmente se i nostri politici non lo impediranno negoziando in maniera volontaria.
​​​​​​​“Come conseguenza della vendita avremmo: la scomparsa di quella cosa vergognosa chiamata debito estero”.
Dopo lunghe deliberazioni, il Congresso confermò la decisione di “sostenere il donchisciottismo di conservare le Galapagos a tutti i costi e con tutti i mezzi“, come ha affermato lo storico conservatore Luis Robalino Dávlla 9.

La cosa curiosa è che l’atteggiamento di Bonifaz, a quanto pare, servì poco dopo a candidarsi come conservatore alle elezioni presidenziali e a vincerle.
Non entrò mai in carica, poiché il Congresso Nazionale lo squalificò a causa delle sue origini peruviane, menzionate dallo stesso Bonifaz. La sua squalifica, a chiusura di questo triste capitolo, diede inizio alla “Guerra dei quattro giorni”, che si svolse a Quito dal 29 agosto al 1° settembre 1932, provocando centinaia di vittime.
Ricordiamo che il tentativo di cedere una parte del territorio nazionale per il servizio del debito estero non era una novità. Tra i primi accordi del cosiddetto “debito inglese” o “debito dell’Indipendenza”, nel 1854, si propose di cedere territori sulla costa e in Amazzonia ai creditori, favorendo contemporaneamente la colonizzazione europea, con una clausola che riconosceva un tasso di interesse crescente all’aumentare del numero dei coloni. Questo tentativo esacerbò le tensioni con il Perù, portando addirittura al sopra menzionato conflitto armato del 1859.

Dall’attacco giapponese a Pearl Harbor alle Galapagos: Baltra – Base Beta

L’importanza strategica delle Isole Galapagos si accentuò ulteriormente con la costruzione del Canale di Panama che, come sappiamo, nacque da un’azione imperiale che portò allo smembramento del territorio colombiano per far posto alla creazione dello Stato di Panama.
Gli Stati Uniti mantenevano le loro speranze di ottenere il controllo delle Galapagos. Già dal 1919 le navi della sua marina effettuavano missioni di cartografia e di misurazioni batimetriche nell’Arcipelago. Già nel 1921 si parlava ufficialmente della necessità che le isole facessero parte dell’amministrazione del Canale di Panama.
Nel 1935, il presidente Franklin D. Roosevelt, preoccupato per ragioni geostrategiche e di fronte al rifiuto dell’Ecuador di vendere le isole, cercò di concretizzare tale aspirazione sostenendo argomenti legati alla protezione della loro biodiversità. Si prospettò che l’Unione Panamericana, nata dalla Quarta Conferenza Interamericana tenutasi a Buenos Aires nel 1910, fosse la responsabile del pattugliamento delle isole e l’incaricata del finanziamento del progetto di conservazione.
Solo pochi anni dopo, nel dicembre 1941, si registrò l’arrivo in massa di truppe yankee in territorio ecuadoriano.
Il continente americano era rimasto sconvolto dall’attacco giapponese a Pearl Harbor, avvenuto domenica 7 di quel mese. In questo contesto, con parte del territorio ecuadoriano occupata dalle truppe peruviane e senza che lo Stato ecuadoriano avesse ancora concesso ufficialmente l’autorizzazione, sbarcarono i contingenti della Marina e dell’Esercito degli Stati Uniti. Queste truppe straniere occuparono posizioni strategiche a Baltra (Seymur), nelle isole Galapagos, e anche a Salinas, sulla costa ecuadoriana.
Di fatto, già nel 1938, il governo ecuadoriano aveva firmato diversi accordi segreti, senza il consenso del Congresso nazionale, per consentire la presenza di soldati americani nell’arcipelago. Truppe che già nel 1940 erano state stanziate in modo precario sull’isola di Baltra, in numero molto esiguo.

In quei giorni l’Ecuador stava attraversando una crisi politica molto grave. La provincia meridionale di El Oro era invasa dalle truppe peruviane: un’aggressione con cui Lima cercava di imporre un accordo di confine. L’attacco peruviano contro l’Ecuador non preoccupava la regione. I paesi americani erano mobilitati per “difendere la democrazia” minacciata dai paesi dell’Asse: Germania, Italia, Giappone. La solidarietà panamericana era al suo apice. La difesa collettiva del continente, ispirata dagli accordi multilaterali di Lima e dell’Avana, fu completata da diversi accordi bilaterali precedenti all’attacco giapponese.
Il presidente liberal-conservatore Carlos Alberto Arroyo del Rio, incapace di dare risposta alla doppia invasione, si unì a questa solidarietà internazionale, arrivando persino a chiedere “il giuramento di lealtà…” a Washington. Nella pratica, tollerò l’occupazione del territorio nazionale da parte delle truppe yankee e accettò le imposizioni peruviane.
Solo il 24 gennaio 1942 venne firmato l’accordo per normalizzare la presenza delle truppe statunitensi a Salinas e il 2 febbraio a Baltra. Tra queste due date, con la presenza di soldati peruviani in territorio ecuadoriano e con un’enorme pressione panamericana, il 29 gennaio 1942 venne firmato il Protocollo di pace, amicizia e confini di Rio de Janeiro, con il quale il Perù tentò di risolvere la lunga disputa di confine con il suo vicino.

Con l’avvicinarsi della fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti cercarono di estendere l’occupazione delle due basi [di Baltra e Salinas] per 99 anni, pagando loro 20 milioni di dollari. Questi negoziati con il governo liberale-conservatore di Quito furono frustrati dalla rivolta popolare del 28 maggio 1944, nota come “La Gloriosa”.
Con il nuovo regime del dottor José María Velasco Ibarra, le pretese della grande potenza del nord vennero mantenute.
Tuttavia, nell’Assemblea Costituente del 1944, si chiese di trovare una soluzione che evitasse al Paese “la più umiliante offesa alla dignità sovrana”. Le pressioni e le trattative continuarono. Erano perfino all’ordine del giorno dei dibattiti di un’altra Assemblea Costituente, quella del 1946. Il governo Velasco Ibarra non cedette alle richieste di Washington, che offrì risorse finanziarie per contribuire a risolvere i gravi problemi economici. Fu proprio quell’anno, il 1° luglio, che le truppe americane si ritirarono.
Dopo la partenza, i soldati lasciarono le installazioni militari smantellate e gli edifici in rovina, scaricando in mare gran parte dell’equipaggiamento che non poterono o non vollero rimuovere. Gli impatti sull’ambiente devono essere documentati nei rapporti dello stesso governo degli Stati Uniti: è noto che si appianò una montagna (il cratere?) a Baltra, che la distruzione dell’habitat di molte specie autoctone è stata accelerata dalla costruzione di piste di atterraggio, strade e alloggi per le truppe e che la loro presenza ha addirittura contribuito all’arrivo di numerose specie aliene a quell’ambiente. Nel mare delle Galapagos sono rimasti anche i resti di diversi aerei precipitati, sui cui fondali sono state rinvenute perfino bombe e altri strumenti bellici.

Una storia simile, ma di portata molto più ridotta, si è ripetuta nel mezzo di un’altra grave crisi. Dopo il terremoto del 1987, che distrusse l’oleodotto transecuadoriano, aggravando le gravi difficoltà causate dal peso del debito estero: giunsero riservisti yankee per contribuire alla costruzione di una via amazzonica. Il loro reale contributo è stato praticamente nullo. Ciò che cercavano era di scoprire come vengono costruite le strade nei territori della giungla.
E nonostante il Congresso Nazionale avesse disposto che andassero via, il presidente del partito social-cristiano León Febres Cordero permise loro di proseguire per rispettare la scadenza concordata con gli Stati Uniti.

(1. Continua)

-> Originale in spagnolo  qui

* Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network


Note:

1) Su questo tema si possono consultare le analisi di Luis Cordova Galarza (2025), “Nuevos enclaves militares en Perú y Ecuador ¿Por qué EE.UU. se instala en Talara y Galápagos?” (1 de enero) https://ordenconflictoyviolencia.org/estados-unidos-en-la-mira/ y “Galápagos: un eslabón en la conquista del poder espacial y marítimo” (13 de enero) https://planv.com.ec/historias/politica/galapagos-un-eslabon-en-la-conquista-del-poder-espacial-y-maritimo/

2) Non più un esercizio di fantascienza, questo capitale oligarchico transnazionale, dimostrando la sua sorprendente e perversa ingegnosità nel cercare e trovare nuove aree di sfruttamento, in un rinnovato sforzo espansionistico, si prepara ad estrarre risorse minerarie oltre i limiti del nostro pianeta e persino a creare colonie extraterrestri. Consultare Peter Bloom, Alberto Acosta (2021); “Fase superior de los extractivismos – Minería en el más allá”. https://rebelion.org/mineria-en-el-mas-alla/

3) Vedi House of representatives. 39 th. Congress. 1 st. Session. Ex Doc. N 112 Republic of Ecuador, Library of Congress. Washington, citato da Manuel Medina Castro (1984); La otra historia: el Ecuador contra la dependencia y la intervención, Edizione auspicata dagli amici dell’autore, Guayaquil.

4) Jorge W. Villacres Moscoso (1982); Historia diplomática de la Repúblia del Ecuador, Tomo III, Universidad de Guayaquil.

5) Un breve resoconto si può trovare nell’articolo di Alberto Acosta (2003); “La increíble y triste historia de América latina y su perversa deuda externa”.  https://www.lainsignia.org/2002/diciembre/econ_019.htm https://www.lainsignia.org/2002/diciembre/econ_022.htm

6) Alfredo Pareja Diezcanseco (1990); Ecuador – Historia de la República, Editora Unidad Nacional, Quito.

7) Un resoconto interessante e consigliabile di questa storia travagliata – purtroppo privo di un’adeguata presentazione dei riferimenti bibliografici – si può trovare nel libro di Hugo Idrovo (2008); Baltra – Base Beta – Galápagos y la Segunda Guerra Mundial,  Ministerio de Cultura, Quito.

8) Alberto Acosta (1994), La deuda eterna – Una historia de la deuda externa ecuatoriana, Colección Ensayo, Libresa, https://drive.google.com/file/d/148d0JuDc65crqfao-1aVfcZfkfxkbD1Q/view

9) Luis Roballno Dávlla (1973); El 9 de Julio de 1925, Editorial La Unión, Quito.

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In questi mesi la storia corre veloce, in poco tempo alcuni dei capisaldi su cui si è retto l’ordine mondiale definitivamente consolidatosi dopo il crollo del muro di Berlino stanno vivendo profonde tensioni e ristrutturazioni.

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Editoriali

Sulla morte di Papa Francesco

In un mondo in cui comanda la prevaricazione e l’ipocrisia la morte di Papa Francesco segna un passaggio politico della nostra storia.