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Clima e nucleare: le contraddizioni della Turchia

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In questi ultimi 18 anni, la crescente industria pesante, l’inquinamento generato dal consumo di carne e l’utilizzo del mezzo di trasporto privato, la deforestazione e il mal funzionante sistema di raccolta dei rifiuti hanno fatto sì che l’emissione del gas serra aumentasse del 138%.

Di Murat Cinar per Volere la Luna

Intanto Ankara avanzava dei motivi per legittimare la sua mancata firma sull’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici. Una delle motivazioni accampate da Ankara era quella di trovarsi in difficoltà nell’accedere ai fondi del Green Climate Fund, cioè al fondo istituito nell’ambito dell’UNFCCC (Convenzione quadro Onu sui cambiamenti climatici) come entità operativa del meccanismo finanziario per assistere i paesi in via di sviluppo nelle pratiche di adattamento e mitigazione per contrastare i cambiamenti climatici. Tuttavia, secondo i rappresentati del Fondo, il motivo che impediva di accedere ai finanziamenti era legato alle mancate politiche di Ankara nella lotta contro il riscaldamento globale. Oltre a ciò bisogna tenere in considerazione il fatto che la Turchia è stata, dal 2013 al 2016, il paese che ha usufruito maggiormente dei fondi stanziati dagli istituti europei per strutturare nuovi piani di lotta contro il riscaldamento globale: circa 667 milioni di euro all’anno. Secondo l’organizzazione ambientalista internazionale 350.org, tra le motivazioni legate alla mancata firma della Turchia su questo accordo ci sarebbero diversi profili. Considerando che il Paese compra il 70% del suo fabbisogno nazionale di energia da paesi stranieri, diminuire l’emissione dei gas serra farebbe crescere il PIL del 7% già il primo anno, dato che scenderebbe la spesa legata all’acquisto dell’energia dall’estero. Anche se diminuisse lo spreco e il consumo inutile tornasse come un introito al Paese, il fatto che la Turchia dipenda dall’estero per le fonti di energia non rinnovabile avvalora l’ipotesi di una serie di dinamiche geopolitiche in cui i conti economici e i pesi commerciali perversi spesso e volentieri sono dominanti.

Nella settantaseiesima riunione del Consiglio Generale delle Nazioni Unite, tenuta a New York, il 21 ottobre, la Turchia è stata rappresentata dal Presidente della Repubblica, che nel suo discorso ha anticipato che nel mese di ottobre il Parlamento nazionale avrebbe votato l’Accordo di Parigi. Infatti il 6 di ottobre, di notte, con un iter straordinario, il Parlamento ha fatto ciò che aveva promesso il Presidente della Repubblica negli USA: l’Accordo di Parigi è stato approvato. La stessa notte numerosi ministri e parlamentari appartenenti alla coalizione del governo e parlamentari dell’opposizione hanno lanciato vari post sui social media per festeggiare questo momento “storico”. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, in un intervento televisivo, il Presidente della Repubblica ha pure annunciato che al nome del “Ministero dell’Ambiente e Urbanizzazione” sarebbe stato aggiunto anche il “Cambiamento climatico”. Nel suo discorso il Presidente ha annunciato con questa novità l’inizio di una “rivoluzione verde”.

Erano le 22.08 quando il Parlamento ha approvato l’Accordo di Parigi. Una buona parte della popolazione in Turchia si avvicinava verso il letto oppure verso le infinite serie tv. Il canale televisivo ufficiale del Parlamento, Meclis Tv, aveva smesso di trasmettere il dibattito parlamentare in diretta. Ma esattamente sette minuti dopo questa novità storica, è arrivato il secondo punto dell’ordine del giorno: l’approvazione di un nuovo disegno di legge, il n. 88, depositato in Parlamento il 26 aprile del 2019 e passato il 30 maggio dello stesso anno nelle mani del Ministero degli Esteri. Dopo un’attesa di 895 giorni, il Parlamento nazionale, proprio il giorno in cui l’Accordo di Parigi è stato approvato, ha deciso di mettere ai voti anche questo disegno di legge. Ma di cosa si tratta? In tutto questo tempo solo un parlamentare dell’opposizione, l’ex ambasciatore Ahmet Ünal Çeviköz, si è opposto a questo disegno di legge. Secondo Çeviköz si tratta di un cambiamento radicale che farà diventare la Turchia una discarica per i rifiuti nucleari provenienti da diversi paesi. Secondo la Camera degli Ingegneri Elettrici il disegno di legge definisce i rifiuti nucleari come prodotti che possono essere rigenerati e utilizzati. Tranne Çeviköz nessun parlamentare si è opposto a questo disegno di legge. Durante la votazione l’opposizione ha visto addirittura 13 parlamentari che hanno votato a favore, mentre 82 hanno votato contro e 137 si sono astenuti.

Dopo altri 7 minuti è stato messo al voto del Parlamento il terzo punto dell’ordine del giorno. È il disegno di legge 210, è stato preso in considerazione per la prima volta nel mese di novembre del 2019 ed è stato discusso nel mese di aprile del 2020. Dunque per 18 mesi questo disegno di legge ha atteso le riflessioni del Consiglio Generale e il voto del Parlamento. Anche in questo caso, sorprendentemente, proprio nella notte dell’approvazione dell’Accordo di Parigi la minestra è stata riproposta. Si tratta di un accordo internazionale che diventa legge e tutela i terzi nel caso di incidenti e danni avvenuti presso gli stabilimenti nucleari costruiti dai paesi stranieri. Si tratterebbe di una preoccupazione legale molto attuale. Nel 2019 erano state scoperte delle crepe nella base della prima centrale nucleare del Paese ad Akkuyu (la centrale costruita con la tecnologia e l’investimento di Mosca). Anche in questo caso soltanto una parlamentare si è opposta alla proposta di legge. Si chiama Tulay Hatımoğulları Oruç e fa parte del secondo partito di opposizione, il Partito Democratico dei Popoli. Oruç ha obiettato con argomenti come il mancato rispetto da parte della Turchia dei suoi obblighi negli accordi internazionali, la possibilità di un incidente e l’importo del risarcimento. Nonostante tutto anche questo disegno di legge è stato approvato con i voti della maggioranza e nell’opposizione soltanto 23 parlamentari hanno votato contro mentre 196 si sono astenuti.

Come racconta in modo preciso il giornalista Onder Algedik sul sito d’informazione Gazete Duvar non è la prima volta che Ankara prova a fare una manovra furbesca, nascondendo dietro un gesto green una serie di cambiamenti legislativi che aprono la strada alle vecchie strategie di investimento, sviluppo economico e produzione energetica. Nel 2004, il Parlamento aveva approvato il primo Accordo sull’Ambiente e, lo stesso giorno, la legge che permetteva allo Stato di esternalizzare la costruzione delle miniere del carbone e di acquistare carbone dall’estero con l’obiettivo di produrre energia elettrica. Praticamente un modello di produzione energetica che già nel 2004 si iniziava ad abbandonare in alcune parti del mondo. Nel 2009 invece con una votazione massiccia il Parlamento nazionale si era dichiarato a favore del Protocollo di Kyoto, ma la stessa settimana erano stati deliberati i permessi necessari per la costruzione di grandi opere di enorme cementificazione, inutilità e distruzione ambientale: il terzo ponte sul Bosforo, il ponte sullo stretto dei Dardanelli, il terzo aeroporto di Istanbul e il palazzo del Presidente della Repubblica. Progetti costosi, alcuni illegali, figli di una sistematica distruzione di vaste aree verdi e enormi fallimenti progettuali che hanno generato ulteriore traffico, inquinamento e perdita di fondi pubblici.

Otto giorni dopo l’intervento a New York, il Presidente della Repubblica turca si è recato a Sochi, in Russia, per incontrare il presidente russo. In tale incontro, durato circa tre ore, i due leader hanno parlato di una serie di temi legati a geopolitica, investimenti militari e rapporti economici ma anche di energia nucleare. Il presidente turco ha dichiarato che sarebbe possibile inaugurare la prima unità della centrale nucleare di Akkuyu già nel 2022. La prima centrale nucleare della Turchia sarà finanziata da investitori russi, con il 93% dalla filiale Rosatom. Dopo i primi otto anni dalla inaugurazione totale sarà in grado di coprire soltanto il 5.5% del fabbisogno elettrico del Paese. Inoltre numerosi esperti che hanno lavorato per il controllo del progetto l’hanno definito insufficiente e vecchio. Nel 2017, all’interno della relazione in merito all’integrazione della Turchia nell’Unione europea, è stato consigliato vivamente ad Ankara di rinunciare a questo progetto dato che la zona di Akkuyu risulta fortemente sismica. Secondo la relazione dell’Unione delle Camere degli Architetti e degli Ingeneri (TMMOB), pubblicata nel 2019, la centrale nucleare di Akkuyu sarebbe un progetto fallimentare dal punto di vista ecologico, economico e energetico. Secondo i dati dell’Eurostat, nel 2019 la Turchia è la destinazione principale per i rifiuti dei paesi europei e tra quelli che arrivano nel Paese, in prima posizione si vedono i prodotti di plastica. Dopo il voto del Parlamento si aprono due strade: per accogliere i rifiuti nucleari dall’estero e per creare una base legale per i futuri danni che un progetto fallimentare potrebbe creare come quello della centrale nucleare di Akkuyu. Intanto l’Accordo di Parigi ha trovato un nuovo firmatario.

 

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