
Ecuador: il trionfo di un popolo che non rinuncia alla sua sovranità
Nel referendum del 16 novembre il popolo ecuadoriano ha detto NO alle quattro domande: permettere l’installazione di basi militari straniere, eliminare l’obbligo dello stato di assegnare risorse del Bilancio alle organizzazioni politiche, ridurre il numero dei parlamentari, convocare un’Assemblea Costituente per elaborare una nuova costituzione.
di Ibsen X Hernández
Il popolo ecuadoriano ha parlato da ogni angolo della patria, dalla montagna e la landa, dalla costa umida e i manglari, dai quartieri popolari dove la vita si sostiene con dignità e resistenza. È stata una risposta chiara e contundente di fronte alla consultazione: il paese non si inginocchia davanti a nessun piccolo dittatore. Il mandato lo ha il popolo, e così lo ha ricordato con la serenità di chi sa che la sovranità non si negozia, si esercita.
Questo trionfo non è solo un risultato elettorale, è un atto di memoria. La memoria di coloro che hanno camminato prima, dei nonni e nonne afrodiscendenti, indigeni, montanari e meticci che compresero che la libertà si difende con il corpo, con la parola e con la comunità. Oggi, questa eredità di dignità torna a sollevarsi per dire che l’Ecuador non è in vendita. Che la rappresentanza politica ha senso solo se serve alla vita, alla giustizia sociale e alla difesa del territorio.
Dire NO nella consultazione non è stato un capriccio, ma un profondo gesto di coscienza collettiva. È stato affermare che ci si prende cura della patria come ci si prende cura del seme prima di seminarlo: con impegno, con pazienza e con amore. Perché sappiamo quello che ci conviene e sappiamo anche quello che minaccia il futuro dei nostri figli. Non permetteremo che il capitale pretenda di collocarsi al di sopra della vita, né che i poteri economici dettino la rotta di un paese nato da lotte, insurrezioni e sogni di libertà.
L’Ecuador ha detto NO perché ha compreso che il difetto non è nella norma, ma nella corruzione che la privatizzazione mascherata di modernità promuove. La gente dei quartieri, dei campi, delle comunità afroecuadoriane e montanare, ha visto chiaramente l’intenzione occulta: consegnare quanto è pubblico e spogliare il popolo dei suoi diritti. E ha risposto con forza: la patria si difende, non si vende.
Questo trionfo è un canto collettivo. È la voce di un paese che non si lascia ingannare, che preserva la natura, che rispetta le sue acque e i suoi boschi come parte della sua stessa anima. È l’eco dei tamburi che ci ricordano che la libertà non si chiede: si esercita, si costruisce e si protegge.
Oggi ha vinto il popolo. Ha vinto la vita. Ha vinto la dignità di una nazione che, come i suoi antenati, operai, contadini e cimarroni (schiavi datisi alla macchia, ndt), non si lascia incatenare.
19/11/2025
Rebelión
Traduzione a cura di Comitato Carlos Fonseca
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