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Il terremoto in carcere

In Italia non esiste una normativa precisa di cosa fare nelle carceri nel caso di terremoto, per cercare di portare in salvo le persone detenute.  Le decisioni sono lasciate alla discrezione della direzione del carcere. E, si sa, il problema “sicurezza”, nel senso di evitare la “fuga” dei reclusi, non la loro salvaguardia, è sempre al primo posto. Ci possono essere circolari urgenti da parte del Dap che diano indicazioni diverse, ma si sa che le scosse di un terremoto non lasciano il tempo di espletare l’iter burocratico. Così tra la popolazione detenuta si è coniato il detto: “faremo la fine di topi in gabbia”. D’altronde la sensazione di intrappolamento è reale, e non solo in caso di eventi tellurici.

Dopo le recenti scosse (L’Aquila 2009, Emilia 2012) alcune circolari ministeriali hanno reso possibile aprire le celle (precedentemente questa possibilità non c’era; il 23 novembre 1980 durante il terremoto dell’Irpinia e Basilicata mi trovavo al carcere speciale di Trani e le scosse si sentirono talmente che cadde tutto ciò che era negli stipetti, eppure ci lasciarono chiusi in cella) e concentrare detenuti e detenute in aree all’aperto, in cortili o campi di calcio quando questi ci sono; ma non sempre questi spazi sono al sicuro dall’eventuale caduta di mura. Un altro punto è che le strutture carcerarie sono spesso molto vecchie e la gran parte di esse non è stata costruita secondo indicazioni antisismiche.

A volte succede come nel terremoto in Emilia il 20 maggio 2012:

(Adnkronos) – “Il grave evento sismico che ha colpito alcune zone dell’Emilia Romagna ha riguardato anche le carceri, in modo particolare quello di Ferrara, dove la polizia penitenziaria, a partire dalle quattro circa di questa mattina, e’ stata costretta ad evacuare 500 detenuti, molti dei quali hanno il divieto di incontro tra di loro, perché collaboratori di giustizia, sottoposti al regime di alta sicurezza ed altro. I detenuti sono stati portati in spazi esterni, come il campo di calcio, nel rispetto del piano di evacuazione e, soprattutto, delle norme di sicurezza”.

L’agenzia non ci dice quanto tempo dopo la scossa è stata effettuata l’evacuazione. La scossa è avvenuta alle 4 e sappiamo che è stato necessario l’arrivo dei vigili del fuoco in ausilio alla polizia penitenziaria. L’agenzia è stata battuta alle 14,32. Se il carcere avesse avuto dei cedimenti strutturali forse l’evacuazione non sarebbe stata “tempestiva”.

Alcuni giorni dopo la scossa tellurica, il ministro della Giustizia di allora emanò:

4 giu. – (Adnkronos) – In seguito al sisma “tutte le celle sono tenute aperte di giorno e di notte” all’interno delle carceri emiliane. E’ quanto ha rimarcato il ministro della Giustizia Paola Severino, intervenendo in conferenza stampa alla Dozza di Bologna. Un provvedimento messo in atto subito dopo le forti scosse dai dirigenti dei penitenziari di tutta la regione. “Non si può aggiungere al carcerato l’angoscia della claustrofobia” ha precisato il ministro, spiegando che in caso di terremoto “il detenuto sa di non poter andare da nessuna parte: e’ una situazione come capite molto angosciante.

Questo ci dice che nelle altre carceri dell’Emilia non era stata effettuata l’evacuazione come a Ferrara e che in realtà, anche con le celle aperte, se le mura cadono, anche nei corridoi si può morire.

Pochi giorni fa, il 24 agosto, le regioni Lazio, Umbria e Marche hanno subito un terribile terremoto che ha finora causato la morte di oltre 290 persone.

Alcuni sindacati delle guardie penitenziarie hanno affermato che l’evacuazione di emergenza in caso di terremoto ha funzionato perfettamente. Nel carcere di Orvieto i detenuti sono stati fatti uscire al centro di raccolta individuato dal piano di emergenza e muniti di coperte per la notte. Alle 7,00 di mattina, 3 ore e mezza dopo la scossa e mentre le scosse continuavano, sono stati fatti rientrare nelle sezioni. Un detenuto per un lieve malore dovuto alla paura per la forte scossa era stato ricoverato. Ci confermano, sempre i sindacati dei secondini, che anche per il resto di penitenziari colpiti dalla propagazione della scossa sismica tutto si è svolto a dovere.
L’associazione Antigone Marche dice cose diverse: “un primo resoconto di come si sono vissuti quei momenti negli istituti di pena della nostra regione. Procedure di evacuazione non messe in atto e di difficile applicazione. Dal Ministero e Protezione Civile nessuna comunicazione su come agire.
Si capisce dunque come sia nato quel modo di dire, “Fare la fine del topo”. Certo è che, in caso di terremoto, questa è la prospettiva per chi sta chiuso in cella.
Un altro detenuto dice: “Avrei certamente preferito che fossimo usciti nel campo, ho avuto veramente paura”. Ancora: “Uno di noi ha avuto una crisi isterica perché le crepe nella sua cella sono aumentate di dimensione”.
In alcune strutture, del resto, è anche difficile pensare ad un’evacuazione sicura perché come a Camerino non c’è un campo da calcio, ma solo piccoli cortili tra quattro mura. Inoltre, non risulta che il giorno seguente sia stato concesso ai detenuti di mettersi in contatto telefonico con le proprie famiglie per rassicurarle sulle proprie personali condizioni ed accertarsi della condizione dei propri familiari. Neanche a coloro che hanno parenti nelle Marche meridionali interessate più direttamente dal sisma”.

Ma di questo, tutti i media, prolifici in servizi, immagini e interviste non ci raccontano niente!

Leggi qui un racconto di un detenuto dopo aver subito il terremoto nel Carcere di Bologna, nel maggio 2012

tratto da contromaelstrom

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