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“Una poltrona per due” e il Natale violento del capitale

Perché ogni anno, Una poltrona per due (Trading Places, 1983), di John Landis, viene puntualmente trasmesso dalla televisione italiana in occasione della vigilia di Natale?

di gvs, da Codice Rosso

E perché ogni anno raggiunge altissimi livelli di ascolto tali da superare, come leggiamo nella pagina wikipedia dedicata al film, la messa di mezzanotte trasmessa quasi contemporaneamente? La visione di questo film, almeno da noi, è diventata un classico natalizio, ancora più natalizio della messa di Natale. Si potrebbe pensare che esso venga associato al Natale perché è una facile commedia che, tra l’altro, si svolge nel periodo natalizio e perché, alla fine, trionfano i buoni sentimenti. Eppure, se lo analizziamo attentamente, si scopre che si tratta di una storia che racconta un feroce spaccato di un’altrettanto feroce guerra, quella finanziaria. Due ricchi capitalisti, i fratelli Duke, per una scommessa, decidono di sostituire il loro agente di cambio, il benestante Louis Winthorpe III (Dan Aykroid), con il povero senzatetto Billy Ray Valentine (Eddie Murphy). Winthorpe e Valentine, inizialmente rivali, si alleeranno contro i Duke. Tutto il film è incentrato sul desiderio di arricchirsi a tutti i costi, sull’odio e sulla gelosia che si prova per chi gode una qualsiasi situazione di privilegio, sull’aspirazione al benessere e ai confort che si possono acquistare con il denaro. In questo senso, si tratta di un film in linea con l’ideologia reaganiana degli anni Ottanta americani ma anche di quelli italiani. Non è un caso che ogni anno a Natale venga programmato da Italia 1 o, comunque, da una rete Mediaset, fondata da Berlusconi, il personaggio simbolo della “Milano da bere” anni Ottanta.

Altro che storia natalizia sui buoni sentimenti. Protagonista assoluta è una guerra fra poveri, fra poveri e ricchi e fra ricchi e ricchi: i Duke vogliono annientare Whintorpe e Valentine, Winthorpe vuole eliminare Valentine e Valentine Winthorpe; infine, entrambi, insieme a una giovane prostituta e al maggiordomo di Winthorpe, si coalizzeranno contro i Duke con l’unico scopo di vendicarsi e di arricchirsi. Su tutta la vicenda narrata dal film campeggia quindi un’atroce guerra all’ultimo sangue: quella della finanza e della borsa; le scene clou si ambientano infatti alla borsa di futures e opzioni sulle materie prime di Chicago. Non è un caso che mentre camminano dirigendosi alla borsa, Whintorpe dica a Valentine: “Qui o uccidi o sei ucciso”. Evidentemente, al pubblico natalizio piace un film di guerra mascherato da fiaba natalizia. Un film sorretto da un’unica ideologia: è terribile e vergognoso essere poveri mentre è bellissimo e appagante essere ricchi. I buoni sentimenti equivalgono alla vendetta e la felicità equivale alla ricchezza. Più anni Ottanta di così si muore.

Ma cosa c’entra il Natale con tutto ciò? C’entra, eccome se c’entra. Il Natale, sotto le parvenze dei buoni sentimenti e della bontà, non è altro che il momento culminante e più feroce della società capitalistica. È il momento in cui si acuisce il divario tra chi ha possibilità economiche e chi non le ha: acquisti, regali, cenoni, feste più o meno sfarzose. È il momento in cui gli individui fanno a gara per accaparrarsi più merce a qualsiasi costo ed è quello in cui i poveri sono ancora più poveri. I buoni sentimenti e la generosità, nel mondo dominato dal capitale, sono soltanto messinscene per creduloni; sono materia da fiaba e da favoletta, né più né meno. Sotto la maschera della bontà e della generosità, il periodo natalizio rappresenta, ogni anno, la guerra mondiale imposta dal capitale. Una guerra che gli stessi paesi ricchi e occidentali dichiarano a quelli più poveri. Se nel ricco Occidente, milioni di individui paffuti e benestanti affollano le strade disposti a massacrarsi a vicenda per un parcheggio dove posteggiare il loro Suv o per accaparrarsi l’ultimo ritrovato tecnologico in vendita presso un superstore, nei paesi emarginati dell’est e del sud del mondo altri milioni di individui stanno morendo di fame o vengono massacrati dalle bombe di governi filo-occidentali, come nella Striscia di Gaza. Quello stesso capitale che produce il Natale, le feste e i regali produce anche le armi da esportare nelle guerre e utilizzate per massacrare popolazioni inermi. Nell’universo capitalistico non c’è nessuna differenza fra produrre un panettone, uno smartphone, una bottiglia di spumante per brindare alle festività e produrre bombe, missili e droni.

Non è un caso che il Natale sia stato sempre al centro dello sguardo della società capitalistica fin dai suoi primordi. Il Canto di Natale (A Christmas Carol) di Charles Dickens esce nel 1843 e racconta la conversione alla bontà di un ricco banchiere e capitalista, Ebenezer Scrooge. Sotto l’involucro dei buoni sentimenti si nasconde l’indicibile violenza della corsa alla ricchezza imposta dal capitale e le orribili condizioni in cui versano gli strati più poveri della società londinese dell’Ottocento. Banche e capitali sono alla base anche di un’altra storia natalizia edificante che rappresenta quasi una rilettura del racconto di Dickens: ci riferiamo al film La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life, 1946) di Frank Capra, in cui la bontà e le buone azioni avvengono sullo sfondo di una furiosa guerra finanziaria (nel film compare anche la crisi di Wall Strett del 1929) fra ricchi e poveri emarginati. Sotto Natale, nel momento dell’euforia degli acquisti, sono ambientate anche alcune sequenze di un altro film, Rapporto confidenziale (Confidential Report, 1955) di Orson Welles: siamo a Monaco di Baviera e il mio omonimo Guy Van Stratten incontra Jakob Zouk, ormai ridotto in miseria, uno degli ultimi a conoscere il segreto del misterioso miliardario Gregory Arkadin (Orson Welles). Fra i fasti natalizi, mentre Van Stratten cerca invano del paté d’oca, cibo di lusso per soddisfare il desiderio dell’ex galeotto Zouk, il potente capitalista Arkadin elimina lo stesso Zouk, piantandogli un coltello nella schiena, in un fatiscente appartamento del centro. Dietro i canti natalizi, la neve e l’atmosfera della festa, il capitale celebra ancora una volta le sue vendette. Ma, in questo grande film, nell’atmosfera natalizia, il capitalista spaccone e prepotente viene inchiodato a una dimensione buffonesca e carnevalesca: Arkadin, pur di prendere l’ultimo aereo in partenza da Monaco ormai già completo, in aeroporto grida ai passeggeri che è disposto ad offrire qualsiasi cifra per un biglietto ma Van Stratten lo tratta come un pazzo esaltato dal Natale. Il tragico potere del capitale, che pretende di comprare qualsiasi individuo per soddisfare i propri capricci, viene in tal modo scoronato e ricondotto a una dimensione funereamente carnevalesca.

Piace così tanto Una poltrona per due sotto Natale, allora, forse perché inconsciamente rappresenta lo status di guerra cui sono sottoposti gli individui asserviti in tutto e per tutto alle dinamiche capitalistiche; uno status che, come abbiamo visto, raggiunge sotto le feste i suoi momenti culminanti. Non ci sono buoni sentimenti che tengono, non ci sono conversioni alla Scrooge che possano proteggere dalla guerra fintamente piacevole che il capitale impone ogni giorno. Perché nessuno proverà un qualsiasi dolore o fastidio se, per sbaglio, cambiando canale per pochi attimi dalla visione natalizia di Italia 1, si troverà di fronte immagini di guerra dalla Striscia di Gaza. Perché nell’irrealtà che ci circonda tutto diventa irreale, illusorio, mediaticamente finto. Tutto una grande favola mediatica e digitale, anche la guerra, la distruzione e la morte. Buona guerra e felice nuova distruzione.

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