
Vertenza LEAR: tutto fumo, niente arrosto
Nella mattina del 10 aprile fuori dallo stabilimento LEAR di Grugliasco, è andata in onda una corrispondenza con gli stessi operai dipendenti, per la trasmissione Restart di RAI 3.
In vista della presenza della trasmissione televisiva quella mattina si sono radunati in presidio gli operai e le operaie della LEAR davanti ai cancelli della fabbrica.
Abbiamo così colto l’occasione per intervistare un delegato, al fine di comprendere meglio la situazione che stanno vivendo i e le dipendenti.
“Chi sei e cosa producete in questo stabilimento?”
“Sono un delegato della FIM-CISL, ho 59 anni e la mia anzianità comincia dal 1988. La situazione qui adesso è drammatica, abbiamo passato diverse crisi in questi anni ma mai di questo calibro; ne risulta che nell’ultimo anno e mezzo non abbiamo lavorato. Qui produciamo i sedili just in time per la Maserati prodotta a Mirafiori, di cui quest’anno sono state prodotte poche decine di modelli e vetture dall’inizio dell’anno, senza dare alcuna prospettiva a questa linea produttiva. Non si capisce nemmeno se questi modelli di cui vengono prodotti scarsi esemplari, continueranno ad essere prodotti a Mirafiori o se la produzione verrà spostata negli stabilimenti Stellantis di Modena.”
“Qual è la situazione in fabbrica e la condizione degli operai?”
“Noi qui siamo 380 dipendenti, uomini e donne, la maggior parte con età superiore ai 55 anni, quasi tutti con più di trent’anni di lavoro alle spalle, quindi non proprio facilmente ricollocabili sul mercato del lavoro. Siamo in una cassa integrazione particolare, sovvenzionata dalla regione e legata ad una formazione, oltre che ad un’integrazione salariale. Per adesso dall’inizio dell’anno abbiamo fatto solo colloqui di gruppo con gli esponenti della regione, ed adesso stiamo facendo colloqui individuali, per capire in quali corsi verremo inseriti. Sicuramente questa misura qui potrebbe aiutarci, infatti già ci tiene in piedi l’ammortizzatore sociale, però non vediamo futuro alla fine dell’anno.”
“Ma è quindi una strategia per rimandare l’inevitabile o c’è qualcosa di concreto?”
“Sinceramente non vogliamo essere negativi sul futuro, ma a livello di lavoro non vediamo molte speranze. Poi ci dicono che a 55-60 anni siamo ancora appetibili per il mercato del lavoro: conosciamo purtroppo la realtà di Torino, su quello che può essere il settore auto con il suo indotto, quindi staremo a vedere, ma tutta la fiducia non c’è. Sicuramente non accetteremo di rimanere a fine anno senza stipendio né ammortizzatore sociale, non perché ci piaccia vivere con questa drastica misura, ma perché qua ci sono famiglie, mutui e pensioni che non arrivano. Siamo di fronte ad un mondo del lavoro che non si regge in piedi: non c’è per i giovani, figurarsi per noi anziani.”
“Voi fate parte dell’indotto?”
“Esatto, noi siamo primo indotto del gruppo Stellantis, ma apparteniamo ad una multinazionale globale con più di 300 stabilimenti in tutto il mondo, specializzati in selleria per auto. Dovunque ci sono fabbriche che producono auto, c’è una di queste multinazionali che produce selleria ed il resto della componentistica necessaria per la realizzazione dell’auto. Produciamo anche parti morbide dell’interno vettura.”
“Quindi questi corsi erogati dalla regione sono fatti per ricollocarvi a livello lavorativo?”
“I corsi che per ora ci hanno proposto partono dalle 16 ed arrivano fino alle 600 ore, coprendo varie tipologie di impiego, andando dall’industria, alla ristorazione, fino all’agricoltura. Non c’è ancora molta chiarezza, ci è parso di capire che parteciperemo ad un corso base di 16 ore di informatica, in cui compileremo un curriculum e cose così. Mentre invece dopo si dovrebbero vedere i corsi più concreti… siamo però a Pasqua ma qua di concreto non si è visto nulla. Anche per quanto riguarda l’integrazione, ci hanno parlato di questi 3,5 euro lordi per ogni ora di corso a cui effettivamente parteciperemo, ma per ora sono solo parole, anche perché i corsi ancora non sono iniziati.”
“Voi state facendo iniziative qua davanti alla fabbrica?”
“Noi cerchiamo di renderci sempre visibili per fare capire che questa è la situazione nostra di 380 dipendenti, ma che comunque si muove come un domino: non lavora nessuna fabbrica dell’indotto come lavora pochissimo anche Stellantis. Cerchiamo di renderci visibili quando ci sono trasmissioni televisive, dovunque ci possiamo fare vedere, perché non ci si dimentichi di noi. Il problema qua è nostro, ma è un problema di tutta la città e del suo tessuto sociale.”
Il caso della LEAR è esemplare per comprendere come la crisi della Stellantis, che per tanti anni è stata la protagonista indiscussa del tessuto operaio torinese, coinvolga in maniera diretta o indiretta l’intero settore dell’automotive che si dirama nel nostro territorio, sviluppando così un pericoloso effetto domino che trascina nella crisi tutte le sue articolazioni, che in assenza di una destinazione per i prodotti del calibro della Stellantis, non può trovare ricollocamento nel mercato odierno.
Non è certo la prima volta che gli operai e le operaie assistono a situazioni precarie di questo tipo, ci viene però in mente un caso in particolare, quello dell’ex Embraco. Sono state tante le promesse di nuove assimilazioni da parte di altre imprese e di una nuova reindustrializzazione, per non parlare delle molteplici rassicurazioni fornite dalle istituzioni con la garanzia degli investimenti che nel tempo erano stati fatti, con annesse passerelle mediatiche del MISE, di ministri e della regione. Di fatto però ai lavoratori e alle lavoratrici alla fine non è rimasto che un pugno di mosche in mano e una quantità di prese per il culo da digerire. Perché il padrone finisce per tenersi sempre tutto per sé, una volta compreso che gli affari si fanno molto meglio altrove, una volta capito che qua non c’è più rimasto nulla da prendere.
Gli anni passano, tragedie come queste rimangono però all’ordine del giorno e trasformano il tessuto sociale delle nostre metropoli. Sembra che non si impari mai niente dagli errori commessi nel passato. Lo vediamo guardando oggi al caso della Lear: nonostante non ci sia alcun segnale di una possibile ripresa industriale per la fabbrica, i costi della crisi continuano a venire scaricati su chi quei posti di lavoro li anima e vive alla base dei meccanismi di produzione. Quella di lasciare a casa i lavoratori e le lavoratrici è una scelta della proprietà, i cui costi economici e sociali ricadono su chi queste scelte le subisce, così inizia il girone della cassa integrazione, da cui anche in questo caso sembra non ci sia via d’uscita. Le istituzioni vendono come un successo l’adozione di misure palliative che non fanno altro che mettere una pezza a problemi più strutturali, assecondando gli interessi dei padroni, in quest’ottica vediamo i corsi di formazione volti al ricollocamento, che non aprono delle reali possibilità per i lavoratori. Non vediamo insomma proposte di misure concrete, ma un agire che anzi spalleggia gli interessi di Confindustria a scapito di chi lavora.
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