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Sul movimento sindacale Usa


Intervista con Charlie Post, insegnante alla City University of New York e attivista con grossa esperienza sindacale.  E’ autore del libro “American Road to Capitalism: Studies in Class-Structure, Economic Development and Political Conflict, 1620-1877”  (https://libcom.org/files/American%20road%20to%20capitalism_post.pdf).

La lunga intervista, che riportiamo con grossi tagli per facilitarne la fruizione, è stata introdotta da un ragionamento che poneva sostanzialmente tre questioni: la richiesta di tratteggiare una storia del movimento sindacale dalla Seconda Guerra Mondiale (dando per scontato che in Italia il periodo precedente, anche grazie al lavoro di ricerca e scrittura di alcuni compagni, sia maggiormente conosciuto); un approfondimento sul rapporto dei sindacati col Partito Democratico e coi movimenti; uno sguardo sull’attualità. Oltre a questa introduzione non sono state poste significative domande nel corso dell’intervista, ma al limite veloci frasi per agevolare il discorso. Si è dunque valutato di riportare il contenuto dell’intervista in una forma più simile ad un articolo. Eventuali passaggi poco comprensibili in questa forma, errori di traduzione o simili, sono ovviamente da attribuire esclusivamente all’intervistante/traduttore. Per chi fosse interessato all’intervista integrale, la si può chiedere contattandoci su Facebook

————–.

Probabilmente sai che tra il 1934 e il 1937 ci fu una grande ondata di strike activities nelle più importanti industries degli Usa: trasporti, automobili, acciaio, i lavoratori dei porti ecc… Era un movimento dal basso molto potente che per alcuni periodi andrò oltre i sindacati esistenti, come l’American Federation of Labour, che erano sindacati di mestiere. Velocemente emersero dunque sindacati indipendenti. Questo generò un movimento indipendente guidato soprattutto da political radicals […]. Durante questi anni ci furono molti scioperi di successo e di continua organizzazione. […] Questo produsse una frattura nell’esistente burocrazia sindacale, e alcuni quadri uscirono, mentre i principali sindacati lavorarono per contenere le forme di conflittualità […]. Inoltre bisogna considerare che da metà anni ’30 il Partito Comunista adottò una politica frontista, di fatto sostenendo il Partito Democratico e Roosvelt […] e stessa dinamica avvenne nel CIO [Confederation of Industrial Workers], in una dinamica di lungo periodo […].

Conseguentemente tra il ’38/’39 ci fu un vero declino delle strike activities e un’assenza di attività organizzative. La guerra è molto importante perché successero molte cose in quel periodo. […] Quando gli Stati Uniti entrano in guerra l’amministrazione Roosvelt promosse quello che tu conoscerai bene, un “compromesso storico” tra Capitale e burocrazie sindacali. Uno scambio che prevedeva il diritto alla sindacalizzazione in tutti i settori in cambio dell’assenza di scioperi durante la guerra. In questo ci fu anche il supporto di molti radicals, che divennero parte anche delle dirigenze sindacali, così come del Partito Comunista, che rinforzò il No strike plan. Ovviamente ci furono forze che si opposero e wildcatstrikes, ma guidati da una sinistra molto frammentata. […] Alla fine delle guerra si presentò un fenomeno molto contraddittorio: da un lato si innalzarono velocemente le iscrizioni al sindacato, dall’altro lato la burocrazia sindacale si era grandemente consolidata. […] […] Ci furono alcuni importanti scioperi, sostanzialmente contro il rapido declino dei salari a causa dell’inflazione durante la guerra. Ma furono tutti molto controllati dall’alto a differenza che negli anni ’30.

Dunque dal dopo guerra a metà anni ’50 le condizioni del lavoro sono molto mutate. Bisogna anche ricordare che erano passate le leggi nazionali sul lavoro [che ponevano un regolamento che portavano una fortissima burocratizzazione e che ha portato già da allora alla situazione attuale per cui se sei in un luogo di lavoro sindacalizzato e vuoi lamentarti del management, il tuo referente non è un organizzatore, ma un avvocato. Questo ti inserisce entro una procedura molto burocratica e lunga che valuta le eventuali violazioni contrattuali] mentre prima sostanzialmente il sindacato era organizzato attraverso gli scioperi (sostanzialmente le persone si iscrivevano al sindacato dopo le vittorie degli scioperi, che si costruivano anche attraverso la capacità di una visione strategica di dove colpire la catena produttiva) […]. Inoltre dopo la guerra i capitalisti fanno passare nuovi atti sulla legislazione lavorativa, che restringono il diritto di sciopero e che di fanno producono l’estromissione degli elementi più radicali e del Partito Comunista, in favore di quelli più conservatori, alla guida del sindacato. Questo in diretta connessione con l’avanzare della Guerra Fredda. […]

Nello stesso periodo l’obiettivo che si diede la CIO fu quello di sindacalizzare il Sud, che aveva avuto un’industrializzazione più recente. Ci furono un paio di sindacati guidati da leftists che ebbero alcuni successi (ma comunque gli US rimasero prevalentemente non sindacalizzati). Questa discesa a Sud comportò anche un sovrapporsi della lotta sul lavoro a quella contro la segregazione. Da metà anni ’50 si fondarono nuove industrie nel Sud, mentre al Nord queste iniziarono a svilupparsi nei suburb, ed avvenne un’ulteriore aggressività nell’opporsi alla sindacalizzazione. La percentuale di iscritti al sindacato iniziò a declinare. Ciò venne tuttavia compensato negli anni ’60 e ’70 dalla sindacalizzazione del settore pubblico. Ci fu un’ondata di scioperi, anche a gatto selvaggio, sulle condizioni di lavoro, sul salario ecc… che fu un vero successo organizzativo, in particolare nel Nord. Una straordinaria ondata di conflitti sui quali è stata prodotta anche molta letteratura cosiddetta del “rebel rank and files” [sindacalismo di base ribelle, con un’accezione che non rimanda direttamente a quello che “Sindacato di Base” indica oggi in Italia] […]. Scioperi non ufficializzati, sindacalismo di opposizione… Un’esperienza importantissima di politicizzazione degli attivisti sindacali, di costruzione di forme organizzate di base… Con anche forme di connessione con esperienze provenienti dal movimento studentesco […].

Nel ’74-’75 tuttavia con la recessione globale e la crescente disoccupazione si manifesta l’inizio dell’offensiva padronale. Dalla fine degli anni ’70, così come su scala globale, il Capitale si muove per riportare sostanzialmente la situazione a come era durante gli anni ’40. […] La burocrazia sindacale inizia un processo di adattamento, che chiamo di labor-management cooperation. […] Al declino di lungo periodo della sindacalizzazione del lavoro privato si aggiunge un crescente numero di attacchi al sindacato nel pubblico, le cui dirigenze adottarono la stressa strategia di cui ho detto prima, di fronte alle misure di austerity. […] Questo progetto di de-sindacalizzazione si articola anche sul fronte dei partiti politici, in quanto il Partito Democratico intendeva preservare i sindacati del settore pubblico [perché il sindacato del pubblico funziona come base elettorale del DP, e fornisce anche attivismo per portare le persone a votare] […]. Questo indusse una sostanziale subordinazione dei sindacati ai Democrats, un matrimonio abusivo da cui il sindacato non ottenne sostanzialmente nulla. Questo anche grazie allo spauracchio del “se arrivano i repubblicani tagliano tutto”.

Bisogna però considerare che il Partito Democratico americano non è un partito social-democratico come quelli che esistevano in Europa sino agli ’80, ossia sostanziali espressioni delle labour bureaucracy […]. Probabilmente insorge un po’ di conclusione perché oggi i partiti socialdemocratici sono diventati come il Partito Democratico [americano], un partito dove le burocrazie del lavoro, i middle class leaders dei movimenti sociali (le donne, i neri…) diventano sostanzialmente junior partners di settori della classe capitalista  […]. Inoltre bisogna ricordarsi che la più grande espansione del welfare nella storia degli Usa non avviene sotto Johnson [presidente Democratico succeduto nel 1963 a Kennedy dopo la sua morte], ma sotto Nixon [Repubblicano, in carica dal 1969 al 1974], perché questo è il risultato delle lotte radicali che impongono delle concessioni (in quel caso dal partito Repubblicano). Da fine anni ’80 la dirigenza del Partito Democratico ha strategicamente deciso di distanziarsi dal labour movement, dalle middle class feminists, dai gruppi per i diritti civili ecc… Al limite cooptandoli con l’introduzione di misure puramente simboliche mentre praticavano l’austerity ecc… Questo è particolarmente chiaro con Clinton, come lo è oggi con Obama. […]

Oggi il labour movement è nella sua più grossa crisi, potremmo dire che lo è da trent’anni. Una cosa che molte persone spesso fraintendono è che le maggiori forze sindacali, come la FL-CIO, hanno dirigenti cresciuti negli anni ’60 e ’70 che […] usano la retorica del voler costruire un movimento sociale. Di fatto però vanno alla ricerca di alleanze con le ONG come sostituto del creare potere nei posti di lavoro ed organizzarli […]. Negli ultimi anni ci sono stati anche nuove forme di wildcat strikes, anche perché i salari sono veramente bassi. Se al Nord si aggirano sui venti dollari l’ora, al Sud (anche grazie ad alcune misure adottate da Obama), arrivano a quattordici. Con tali cifre una famiglia con bambini vive vicino alla soglia di povertà. Inoltre si è persa una delle cose migliori che il sindacato faceva negli anni ’60: il portare i ragazzi al Collage […]. Il punto è che una volta il sindacato sarebbe andato nei luoghi in cui si svolgono i wildcat strikes e avrebbe detto a chi li guida: “Ehi, continua a farlo, continuate ad organizzarvi, costruiamo qui il sindacato”, invece al massimo oggi vanno lì ad offrire un’adesione al sindacato. […]

Molti dei tentativi di organizzazione dei fast food workers, a Wallmart, spesso rischiano di rimanere solo su un piano simbolico. E spesso sono molto controllati dall’alto e gestiti dal sindacalismo più burocratico. […] Il punto è: non si può immaginare di organizzare la lotta a Wallmart negozio per negozio, non c’è abbastanza forza. Il punto sarebbe organizzare i punti di distribuzione, i magazzini. […] Attaccare la logistica […]. […] a New York si punta spesso a organizzare le catene di negozi, i ristoranti ecc… dove è davvero difficile organizzarsi. Manca totalmente un serio tentativo di organizzazione i lavoratori immigrati nei trasporti ad esempio, nei luoghi di grossa concentrazione […] dove anche un’azione di piccole minoranze militanti può costruire forza nei luoghi di lavoro […]. Questo è lo stato del labour movement […]. […] molti sindacati inizialmente reagirono positivamente a Occupy, ma tuttavia finirono per svolgere un ruolo conservativo. Provarono a bloccare qualsiasi tentativo di sviluppo di forme di azione diretta […].

In particolare nell’ultima grossa manifestazione a New York, molte delle persone presenti all’accampamento e di quelle più giovani in generale, e anche molti militanti di base del sindacato che si erano coinvolti in Occupy, volevano bloccare il ponte di Brooklyn. Di fatto il servizio d’ordine del sindacato assieme alla polizia andò a proteggere il ponte. […] [Il timore da parte sindacale di qualsiasi tipo di azione radicale che potesse compromettere i livelli di trattativa sindacale portò ad una rottura dei rapporti con gli attivisti di Occupy ma causò anche un defluire del movimento]. All’Ovest la situazione fu ancora peggiore. Lì ci sono stati molti scioperi degli scaricatori di porto […] gli attivisti di Occupy attivarono un’alleanza con alcuni sindacati locali per bloccare fisicamente i porti […] per poter strappare dei diritti. Ma la leadership dei maggiori sindacati mandò delle persone a picchiare gli attivisti di Occupy, bloccando quest’alleanza. […] […]

Il movimento contro la guerra […] è completamente collassato con l’elezione di Obama. E stessa sorte è capitata a praticamente tutti gli altri movimenti, che sono stati praticamente sussunti o indotti ad una burocratizzazione. A parte quello che ti ho detto prima sul momento assolutamente difficile per i sindacati, negli ultimi anni non ci sono state mobilitazioni studentesche. Dopo l’elezione di Obama c’è stata la rivolta in Wisconsin [mesi di proteste nel 2011 con picchi di manifestazioni da 100mila dimostranti. Un panorama piuttosto dettagliato è rintracciabile anche su Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/2011_Wisconsin_protests], Occupy… ma c’è una grave mancanza di forme organizzative continuative e coerenti, c’è una complessiva mancanza di strumenti, la pressoché totale assenza di organizzazioni di sinistra, un carenza di attivismo con l’obiettivo di sviluppare movimento. Conseguentemente è molto facile controllare i movimenti per le Ong, le burocrazie sindacali, le dirigenze delle forze riformista. Ci sono sottotraccia alcune movenze di riaggregazione di persone, ma molto lente…

Con Occupy […] c’è stata un’interessante riemersione di qualcosa che potremmo definire come comunista […] con molte componenti afferenti a qualcosa che potremmo inquadrare come autonomism […] [l’autore continua sostenendo che la sedimentazione di gruppi militanti dopo il movimento è stata molto scarsa ed in continua erosione, e che questa tende a rifarsi ad un approccio che segue quello di Hardt e Negri, che definisce “useless”]. Devi comprendere che dopo 40 anni di continue sconfitte della working class, una sinistra che si è/è stata completamente separata dal movimento dei lavoratori […] e con molte delle organizzazioni e delle persone attive in passato che si sono ritirate o addirittura sono divenute supporter di Obama […]. Io credo che a causa della crisi noi vedremo episodi di lotte eccezionali, insorgenze, alcune delle quali prenderanno anche forme violente, magari rivolte spontanee delle persone di colore […] non so se ti ricordi degli scioperi di massa del 2006 dei lavoratori immigrati, poi il Wisconsin, poi Occupy… stiamo per vedere altri fenomeni come questi […] alla prossima recessione, alla prossima ondata di austerity, ci saranno nuove lotte attorno ai servizi sociali […] ma […] queste forme di movimenti non hanno davvero la capacità di lanciarsi contro lo Stato e il Capitale, non hanno la forza sociale per strappare chiare vittorie che incoraggino le persone a continuare le lotte. E allo stesso tempo finiscono velocemente sotto l’egemonia delle forze riformiste […].

C’è una mancanza di capacità di dare obiettivi concreti a questi movimenti […] e di sviluppare una cultura anticapitalista che possa contrastare la fiducia nei Democrats, nelle burocrazie sindacali, nelle Ong […]. La mia previsione, anche se chiaramente spero non vada così, è quella di movimenti brevi e  senza successo […]. Purtroppo in questo paese non si riesce a far passare come i Democratici ed i Repubblicani siano corporate forms […] anche dopo Seattle 1999, la guerra, il movimento si è decimato […]. Voglio dire: nel 2003 c’erano milioni di persone in strada contro la guerra, si erano anche formate organizzazioni antiwar nell’esercito, era dal ’68-’69 […] ma ogni volta che c’è un’elezione le forze che spingono in quella direzione riescono a far cessare l’attività dei movimenti. […] E questa cosa si ripete continuamente.

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