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Perché Poletti infame. Lettera di una studentessa torinese

Su diversi giornali dopo il primo maggio torinese si commentava in maniera più o meno indignata dello striscione che campeggiava dietro lo spezzone sociale. Quando la dialettica politica è ridotta a un gioco delle parti mentre fuori c’è la morte di una generazione ogni irruzione del reale provoca scompiglio e sgomento. Non sia mai che qualcuno dica che il re è nudo… o che il ministro è INFAME. Ripubblichiamo qui di seguito la lettera di una studentessa di Torino che spiega il perché di quello striscione.

Caro Ministro,
il primo maggio è passato ma forse vale la pena parlarne ancora un po’, a mente fredda.
Del resto in quella piazza sono successe delle cose che La riguardano o meglio, in quella piazza c’era anche Lei. Non Lei in persona bensì il Suo nome da Ministro del Lavoro con tutto quel che rappresenta. E non era solo, ad accompagnarla sullo striscione c’era un aggettivo: infame.

Caro Ministro Lei è un infame e qualunque persona sotto i 35 anni che stia cercando di realizzarsi, o anche solo di andare avanti, sa il perché. Non si tratta di un posto fisso, precario o a giorni dispari, si tratta della vita di merda che facciamo tutti i giorni. La nostra è una quotidianità mortificante, che distrugge sogni e ambizioni, in cui l’unica costante è l’incertezza. Chissà quale Jobs Act, quale Buona Scuola o quale Minniti renderà tutto ancora più difficile…

Viviamo con l’amara consapevolezza che il domani potrebbe sempre essere peggiore di oggi.

Un vivere che Lei e colleghi non conoscete neanche per sentito dire, perché nessuno vi si può avvicinare senza fronteggiare un muro di poliziotti armati, perché nessuno può mettervi in discussione senza essere trattato come un povero scemo, o peggio come un nemico del progetto comune. Caro Ministro, cari colleghi, provo a dirlo qui sperando che leggere vi venga meglio che ascoltare; quelli come me e quelli come voi in comune non hanno niente.
Non abbiamo gli stessi problemi, non abbiamo gli stessi diritti, non abbiamo gli stessi interessi.

Voi comandate il gioco, non ne fate parte.

Non si può comprendere cosa sia accaduto a Torino il 1 maggio se non partendo da qui.
Provo a spiegarmi meglio; ormai quasi tutti sanno cosa voglia dire convivere con la paura di non farcela; da chi mantiene una famiglia a chi cerca di farsela, con o senza lavoro, con o senza permesso di soggiorno, la maggior parte delle persone oggi affronta gli stessi problemi, vive le stesse sconfitte e soffre gli stessi mali. C’è però una parte minore che vive di privilegi che la tengono al riparo da tutti ciò. Questa piccolissima fetta di persone era tutta lì quella mattina.
Cgil, Cisl, Uil, Partiti vari ed eventuali, Polizia. Sindacati che rappresentano la sconfitta, una politica che non rappresenta nessuno e una categoria di lavoratori che, dietro lauta ricompensa, garantisce lunga vita ai primi due. Per chi non fa parte di una di queste tre categorie in piazza San Carlo non c’era spazio. Con qualunque mezzo bisognava farci restare nel posto a noi assegnato: fuori dalla piazza in cui voi festeggiate alcuni lavoratori, i vostri.
Ancora una volta abbiamo la prova del fatto che questa non è un’eccezione ma la vostra regola.
Ma le regole s’infrangono e si cambiano, tanto quanto il silenzio si può rompere.

Abbiamo dimostrato che in mezzo a tutto questo schifo continuiamo a trovare la forza di tenderci la mano, reagire ai soprusi, lottare per la nostra dignità, sognare. Abbiamo il coraggio di dire no, di gridare con tutto il nostro fiato ‘siamo qui, non ci arrendiamo’. Bene, chissà quanto altro ancora possiamo fare! Un ultima considerazione caro Ministro, chi ha preso le botte in quelle cariche ha perso il lavoro, perché non si può lavorare con la schiena bloccata o la mano rotta. I poliziotti che hanno eseguito l’ordine di picchiarci potranno concedersi qualche giorno di mutua e lo stipendio a fine mese. Quindi anche oggi, anche per questo, Poletti è un infame.

Una studentessa che era in piazza a Torino il primo maggio (senza santi in paradiso)

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