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La vera storia del Cortège de tete

Pour ceux qui bougent (nel 2023): il 2016 nel retrovisore1

Riceviamo e pubblichiamo volentieri…

In un passo arcinoto, redatto nel 1969, Furio Jesi descrive l’istante della rivolta come «lo spazio simbolico comune a un’intera collettività, il rifugio del tempo storico nel quale un’intera collettività trova scampo».

Per coloro che nel corso degli anni Duemiladieci hanno tentato, con alterne fortune, di abitare lo spazio, simbolico quanto dannatamente materiale e doloroso, della sommossa, le parole di Jesi dovrebbero risuonare come familiari. Al di là delle riflessioni sul pensiero politico del mitologo torinese – ma anche di ogni filosofema, qui chiaramente inadeguato -, è il sinistro brusio di fondo che ne accompagna la lettura a proiettarci nel campo della riflessione sul “noi”, o nello spazio vuoto della sua assenza. L’ondata di mobilitazioni che ha investito il nostro paese a partire dal 2008 è raramente oggetto di riflessione critica. Qualche rievocazione folcloristica sparsa qua e là per la Penisola, un pugno di iniziative di solidarietà per pagare le parcelle degli avvocati e per rimborsare qualche poliziotto troppo zelante, o forse particolarmente sveglio. E poco altro. A volte ci si lascia, pure, andare e ci si immerge, magari in compagnia di qualche vecchio amico, nel flusso delle immagini di Piazza del popolo 2010, San Giovanni 2011, i book bloc, quelle migliaia scodelle variopinte che brillano al sole, mentre attorno tutto brucia: ma quanti cazzo eravamo? E, soprattutto, dove cazzo siamo finiti? Magari stiamo esagerando, ma questo è più o meno ciò che resta, quando cerchiamo di farci largo fra le macerie di un tempo concluso. Quando cerchiamo di ricomporre i frammenti di memorie mozzate, di parole soffocate, di severe e inappellabili delusioni, tanto collettive quanto personali. In questo senso, il testo che presentiamo di seguito ha, innanzitutto, valore di esempio. Di invito all’ascolto e alla messa in discussione   di categorie troppo spesso date per certe. Ma che certe, invece, non lo sono affatto. La cristallizzazione nel tempo di atteggiamenti, pratiche e strategie scarsamente messe in discussione sta alla base del problema che teniamo a sollevare attraverso la traduzione di questo testo apparso a metà febbraio su Lundimatin. Scritto da vecchi compagni del Mouvement inter luttes indépendantes (Mili), attivo nei licei di Parigi fra il 2014 e il 2018 e protagonista della straordinaria stagione di lotta contro la Loi travail, l’articolo entra a gamba tesa nel dibattito relativo alla radicalità e all’innovazione delle pratiche nel contesto francese. Se è la riflessione sull’attualità del Cortège de tete nella Francia del 2023 a guidare il filo conduttore del ragionamento degli ex militanti del Mili, la questione di fondo da essi sollevata ci ha convinti a optare per una rapida traduzione italiana del testo. Come trovare il coraggio di mettere a critica le proprie pratiche, un tempo efficaci e oggi condannate a forme vertiginose di coazione a ripetere? In che modo è possibile condurre la riflessione sui fasti del sé collettivo, alla luce della trasformazione dell’antica potenza in degenerazione metastatica delle proprie identità?

Non ci interessa entrare nel merito e delle questioni sul cortège de tete, sul contesto in cui questa intuizione pratica ha trovato terreno fertile, sul reale protagonismo del MILI da cui provengono gli autori. Ci sembra piuttosto interessante il metodo e l’approccio, sia con cui la pratica è stata introdotta e si è autonomizzata, sia la rilettura a posteriori, critica e capace di non affezionarsi in maniera rigida alla pratica, quanto piuttosto rilanciare lo spirito che fece nascere il cortège de tete. Il ragionamento sul gruppo è alla base della riflessione sul rapporto che intercorre fra realtà organizzate e realtà sociale, fra avanguardia e masse, fra élite rivoluzionaria e popolo – chiamiamola come ci pare –, architrave di un atteggiamento politico, prima che di un approccio strategico.

Allo stesso tempo, questo testo ci racconta la storia della pratica del cortège de tete, della sua genesi, di come essa abbia potuto diffondersi fuori dal controllo di chi l’ha introdotta, consolidarsi e, infine, ritualizzarsi in quanto forma comune del conflitto all’interno del movimento sociale e sindacale. Preludio del processo di integrazione nei dispositivi di gestione dell’ordine pubblico, della perdita di slancio generativo di eventi di rottura, della sua capacità di mettere in crisi le forme di controllo poliziesco. Di dare vita a sommosse.

Guardare “il 2016 nel retrovisore”, tornando al momento dell’introduzione del cortège de tete in Francia, ci è sembrata quindi una buona occasione per volgere lo sguardo all’ultima ondata di mobilitazioni diffusesi in Italia, ai loro limiti e, perché no, agli errori commessi. Troppo spesso i diversi gruppi politici di cui alcuni di noi hanno fatto parte, hanno consacrato più energie al consolidamento del controllo sulle forme del conflitto, da loro stessi talvolta efficacemente create, che all’apertura di spazi di possibilità, presupposto delle tanto evocate forme di “superamento”. Troppo spesso ci si è preoccupati più di capitalizzare i conflitti al fine di accrescere la propria reputazione di gruppo, di operare micro-ricambi di forze, o di mantenersi in testa alle mobilitazioni, piuttosto che di costruire teste accoglienti per il fiorire di pratiche eterogenee, multiformi, imprevedibili. Altri tra noi hanno, invece, vissuto dinamiche di cristallizzazione, in cui l’identificazione tra gruppo e pratiche ha portato a un ripiegamento identitario incapace di permettere anche solo semplici forme di ricambio “generazionale” all’interno di questi gruppi.

La rottura della routine militante, l’apertura di spazi di agibilità come bussola dell’azione politica, la creatività delle pratiche, il costante desiderio di vedersi superati. Poco importa da chi, importano il come e la strada da intraprendere collettivamente. Sono questi, a nostro parere, i meriti del testo autocritico elaborato dal Mili, che presentiamo tradotto in lingua italiana, affinché funga da spunto per la costruzione di uno sguardo retrospettivo su un “noi” troppo a lungo rimasto negato e che possa contribuire a preparare il terreno per la definizione dei “noi” a venire.

Rachid e Wallace

Di seguito la traduzione:

Dalle centrali sindacali al Ministero degli Interni, sono tutti d’accordo: se si guarda al numero dei manifestanti, la mobilitazione contro la riforma delle pensioni [iniziata nel mese di gennaio 2023 e tuttora in corso, ndt] risulta essere il più grande movimento sociale in Francia da anni. Tuttavia, a livello di piazza, l’atmosfera nelle strade è relativamente cupa, non c’è energia e l’inquadramento poliziesco sembra essere soffocante. Molti rimpiangono il 2016 e il suo seguito, ovvero il momento della comparsa di nuovi modi di manifestare e di andare oltre le ritualità sindacali: quello che viene abitualmente chiamato Cortège de Tête. Nel testo che segue, gli ex studenti delle scuole superiori che hanno partecipato al MILI (Mouvement Inter Luttes Indépendant) ripercorrono questo periodo e la genesi del famoso Cortège de Tête. Essi ci ricordano, così, che per inventare nuove forme in grado di creare spazi e aprire possibilità, a volte sono sì necessarie alcune “condizioni oggettive”, ma soprattutto e sempre l’audacia.

Giovedì prossimo [giovedì 16 febbraio] sarà la quinta giornata di lotta organizzata dai sindacati contro la riforma delle pensioni. Già la quinta. Nelle ultime settimane, gruppi con pretese rivoluzionarie, di fronte alle difficoltà nel prendere piede nelle manifestazioni, e alla mancanza di ambizioni comuni, hanno iniziato a scrivere analisi rispetto allo stato del “movimento”, talvolta colorate di nostalgia e autocritica. Tra queste, spicca su Lundi Matin, un appello teso a garantire la “trasmissione della sequenza di lotta del 2016 alle nuove generazioni”. Questo è, in un certo senso, l’obiettivo del testo che segue: mettere in luce come un racconto situato delle forme di superamento messe in atto nel 2016 possa contribuire a fare chiarezza sulla situazione attuale. Parleremo quindi di “2016”. O meglio, del movimento contro la Loi travail dal punto di vista del MILI, per mostrare il ruolo che alcuni gruppi hanno avuto in questa sequenza. Si tratta di mostrare il rovescio di un movimento che esiste ancora oggi nell’immaginario collettivo, che ciò avvenga tramite vecchie immagini – il riot porn -, o tramite forme che persistono oggi, talvolta in modo folcloristico, come nel caso particolare del Cortège de Tête. Questi residui del 2016 possono spingerci alla nostalgia o far pensare a un “periodo benedetto delle manifestazioni a Parigi”, facendoci dimenticare che “lo zbeul [il bordello, ndt] va guadagnato”. È per noi anche un’occasione per ricordare che nel 2016 noi stessi abbiamo esitato, smattato e pensato in molte occasioni di essere arrivati a un punto morto.

Dal 2010 al 2016: la noia

Per capire in che modo il 2016 abbia rappresentato una cesura nella storia della protesta degli ultimi quindici anni, è necessario inserire questo movimento nel suo contesto. A parte la ZAD e una manciata di altri eventi, i primi anni del decennio 2010 sono stati, va detto, piuttosto deprimenti: nessun movimento su larga scala, la mobilitazione per le pensioni aveva (già) segnato un ritorno alle forme di mobilitazione tradizionali. La questione della violenza politica sembrava anacronistica e riservata ai fanatici dei martelli. A parte che in qualche data, la minima scritta sui muri o vetrina rotta scatenava le ire dei manifestanti “buoni”, il cui comportamento era problematico almeno quanto quello dei servizi d’ordine sindacali o dei poliziotti, mentre la mollezza e l’insignificanza dell’ambiente radicale ne facilitavano la sorveglianza. Non era raro essere insultati in quanto “poliziotti sotto copertura” e sbardatidai pacifisti. Era nell’ordine delle cose. Nessuno osava immaginare la possibilità dell’emergere di qualcosa come quello che sarebbe stato in seguito chiamato il “Cortège de Tête”, e, abbastanza saggiamente, i gruppi più radicali si tenevano in fondo alle manifestazioni, dietro la Conféderation nationale du travail e la Fédération Autonome, in attesa di un eventuale manif “selvaggia”, l’orizzonte massimo del radicool parigino del 2000. Tralasciamo il periodo segnato dagli attentati: migliaia di persone che applaudono gli sbirri e lo stato di emergenza in place de la République (e con esso gli arresti domiciliari preventivi e il divieto di manifestare, come nel caso della mobilitazione contro la COP21 del 2015). Abbiamo comunque trovato il modo di ridere un po’ (big up per Laffont), c’era anche l’orizzonte della ZAD, ma lontano. Insomma, un periodo di merda.

Creare spazio di manovra prima del 2016

Tuttavia, sarebbe sbagliato dire che il sorpasso del 2016 giunse come una sorpresa totale, nel senso che non è sorto ex-nihilo. La sua irruzione è legata alla mobilitazione delle bande, nel quadro del movimento, ma anche prima. Nel testo di Lundimatin “Alla ricerca del salto di qualità”, il MILI viene descritto come uno “spazio organizzativo”. Tuttavia, si trattava più che altro di un gruppo legato alla politica della rivolta. Uno tra gli altri[1]. La differenza stava nella sua celebrità e nell’eco che il suo discorso politico trovava all’interno di una generazione di studenti liceali.

Prima del movimento contro la Loi travail, la priorità del MILI era quella di impedire alle organizzazioni giovanili e ai sindacati liceali, guidati dalla FIDL e dall’UNL, di dare vita alle manifestazioni nelle scuole superiori. Le ragioni del conflitto con questi gruppi erano molteplici. In primo luogo, noi del MILI consideravamo questi gruppi… molli. Noi promuovevamo il blocco a oltranza delle scuole, mentre loro invitavano alla calma, spiegando che era necessario essere ragionevoli e accettare di aprire un dialogo con le istituzioni. I più a sinistra, come i giovani del Nouveau parti anticapitaliste (NPA), non facevano molto di meglio e preferivano lamentarsi dell’assenza delle “condizioni oggettive”. In secondo luogo, vi era una divergenza di opinioni sugli obiettivi. Il MILI non è sempre stato un gruppo di autonomi e forse non è mai stato ideologicamente omogeneo, ma a partire dal 2014 siamo stati comunque tutti d’accordo nel dare priorità a slogan anticapitalisti e rivoluzionari, per dirla in modo magniloquente. Infine, era evidente che la maggior parte degli attivisti delle organizzazioni di sinistra erano manager-burocrati in erba, degli arrivisti che volevano fare carriera in politica e che si comportavano come politici. Utilizzavano le mobilitazioni nelle scuole superiori per dare legittimità alle loro organizzazioni. Anche se restavano sconosciuti alla maggior parte degli studenti delle scuole superiori, essi si atteggiavano comunque a rappresentanti del movimento. Per fare ciò, avevano inoltre accesso a risorse consistenti grazie alla loro vicinanza ai partiti politici. Questa strategia è emersa chiaramente nella versione iniziale dell’appuntamento fisso “11h Nation”. Sono stati i sindacati studenteschi delle scuole superiori a convocare questa riunione per permettere ai diversi licei bloccati di formare un corteo che confluisse, tranquillamente, nella manifestazione sindacale in cui tutti avrebbero ballato al ritmo di David Guetta, cantando stupidi slogan. Insomma, si trattava di una manovra detestabile e ci sembrava importante fermare questa farsa.

Ingenuamente, pensavamo che ogni giovane avesse un futuro da rivoltoso, che è proprio quello che questo meccanismo sindacale cercava di negare o impedire. Ci siamo quindi messi in testa l’idea che fosse necessario sabotarlo, il che significava schiaffeggiare i dirigenti sindacali mentre rispondevano alle interviste, fare a botte con i servizi d’ordine e proporre un modesto superamento del quadro da loro imposto: scritte, petardi, fumogeni, bardarsi, ecc. È stato lungo e faticoso, ma fare pressione sui burocrati in erba è stato facile: in realtà rappresentavano solo se stessi. La questione diventava più delicata quando questi ci gettavano in pasto agli sbirri o quando erano sostenuti dai servizi d’ordine di SOS Racisme o dell’UNEF, con manganelli e spray lacrimogeni alla mano. Per essere precisi, scegliamo la data del 14 novembre 2014, la manifestazione successiva alla morte di Rémi Fraisse, per datare con precisione l’inizio dell’emarginazione dei sindacati liceali: in compagnia di un’altra banda, il MILI ha sloggiato il servizio d’ordine dalla manifestazione, le tag anticapitaliste hanno sostituito le bandiere del Partito socialista, e gli slogan contro la polizia e il rumore dei petardi hanno sostituito David Guetta.

I sindacati dei liceali hanno, gradualmente, lasciato perdere. Fino al punto in cui, nel 2015, la manifestazione contro la legge Macron venne organizzata interamente dal MILI, in un’atmosfera in netto contrasto con le classiche manifestazioni liceali. Insomma, poco prima del 2016, il MILI, con l’aiuto di altri e sotto l’influenza di altre esperienze politiche, si era affermato nel microcosmo politico liceale, si era costruito una piccola reputazione e godeva di un certo seguito. Si era aperto uno spazio di intervento.

Troppo veloce e troppo duro?

Tuttavia, il Cortège de Tête non ha fatto la sua apparizione a partire dalla prima mobilitazione del 2016 e abbiamo dovuto attendere che la tensione montasse progressivamente. Potremmo dire che siamo, quasi, partiti troppo in fretta, troppo forte. Felicissimi di poter organizzare noi stessi l’appuntamento “11h Nation”, galvanizzati dall’idea di un probabile movimento su larga scala e con in testa l’esempio delle, rare, manifestazioni tumultuose degli ultimi anni, abbiamo deciso di alzare il livello. Solo che il primo giorno piove, probabilmente non siamo più di 200 e se noi abbiamo già partecipato a qualche situazione di scontro, ciò non è il caso per la stragrande maggioranza del corteo. Così, quando iniziamo a lanciare petardi in tutte le direzioni, a lanciare uova e bottiglie di vernice e ad assaltare le banche del faubourg Saint-Antoine, un’ondata di panico si diffonde nella manifestazione, senza che però si disperda completamente. L’atmosfera subisce un ulteriore colpo quando uno studente perde un polpastrello mentre raccoglie un petardo e un ex dirigente della FIDL si prende tre-quattro cartoni in faccia nel bel mezzo del corteo, che intanto resta bloccato in un vicolo. L’atmosfera è pesante, malgrado l’impianto audio che portiamo in giro per dare un tono “festoso” alla manifestazione. Nonostante tutto ciò e nonostante la pressione dei poliziotti, il corteo resiste e arriva a Place de la République per poi raggiungere la manifestazione sindacale durante la quale non accadrà nulla di rilevante. Siamo soddisfatti di noi stessi, ma ci chiediamo se non siamo partiti troppo in fretta, troppo forte per questo primo appuntamento.

Tuttavia, la settimana successiva, il 17 marzo, riprendiamo il ritmo e ricominciamo…. Questa volta il tempo è bello e siamo ancora più numerosi alle undici a Nation. Per cercare di controbilanciare il divario tra gli studenti black bloc e il resto del corteo, non optiamo per un livellamento verso il basso. Al contrario, ci procuriamo maschere da distribuire nella manifestazione, per incoraggiare il maggior numero possibile di persone a bardarsi, portiamo un megafono per cercare di ridurre la paura e decidiamo di indossare maschere colorate per essere meno inquietanti. Senza che ciò fosse precedentemente stato elaborato in senso strategico, decidiamo di fare degli striscioni con le frasi dei rapper che ascoltiamo e di scriverle in giro. Potrebbe sembrare un dettaglio irrilevante, ma ci ricorda che facciamo parte della comunità liceale e che non ne possiamo più della politica noiosa di tutti quegli attivisti troskisti o socialisti che, anche se non hanno ancora 18 anni, sembrano già dei burocrati di mille anni. Non vogliamo più David Guetta, non vogliamo il famoso “3 passi avanti, 2 passi indietro, questa è la politica del governo”, vogliamo i PNL, SCH o Booba, qualcosa che ci parli davvero. Con molta fatica, cerchiamo di formare un corteo per andare verso il Faubourg Saint-Antoine, fatichiamo a far passare gli striscioni davanti e poi il corteo parte. Per mezzo secondo pensiamo di riuscire a guidare la manifestazione e a farla salire di intensità, prima di essere travolti, con nostra grande gioia, non solo da noi stessi ma anche da una parte degli studenti.

La manifestazione ha fatto ancora meno strada della volta precedente e gran parte del corteo si è disperso, per ritrovarsi poi alla manifestazione sindacale senza che potesse accadere nulla di interessante.

Non ci aspettiamo molto dalle manifestazioni sindacali, siamo giovani, un po’ folli, ma per noi esse rimangono spazi chiusi e ostili. Se è vero che abbiamo già provato a fare qualche cosa lì in mezzo, sappiamo bene che le azioni offensive sono condannate dalla gran parte dei manifestanti e delle organizzazioni sindacali. Alcuni di noi hanno partecipato brevemente al movimento per le pensioni del 2010, e ricordiamo le manifestazioni selvagge di 100 o 150 persone che marciavano su un corteo di diecimila persone, la vicenda del “calcio ninja” e gli interventi della BAC in borghese nella manifestazione. Lo abbiamo visto anche nel 2014, durante una manifestazione contro il Front national: alla prima vetrina spaccata siamo stati fischiati da centinaia di manifestanti e abbiamo dovuto giocare al gatto e al topo con la BAC che ci stava dando la caccia. Questo spiega perché eravamo riluttanti a investire in questo progetto.

Tutta la verità sulla reale nascita della Cortège de Tête

La settimana successiva decidiamo di convocare una manifestazione liceale alle 11 in Place d’Italie, che ci avrebbe permesso di convergere più facilmente nel corteo sindacale che si sarebbe diretto a Montparnasse-Invalides il 24 marzo. Sebbene non fossimo in molti e non fossimo necessariamente in sintonia con gli studenti dei licei di Parigi sud, la giornata è iniziata in modo forte: sono state lanciate bottiglie e la BAC è stata allontanata manu militari.

Questa volta un débordement di questa portata è dovuto soprattutto all’arrivo di altre bande nelle manifestazioni “liceali”. Avevamo una piccola forza di richiamo ed eravamo più o meno riusciti a dare un ritmo al movimento dei liceali, ma non potevamo gestire da soli la questione della polizia. Invitammo altre bande con cui ci confrontavamo da tempo e cominciammo a coordinarci più o meno formalmente con loro, non con il rachitico ambiente parigino, ma con coloro che credevano ancora nella strategia della rivolta, coloro che si muovevano e che avevano i mezzi per farlo. Tuttavia, se c’era accordo sulla volontà di alzare il livello dello scontro, non c’era omogeneità ideologica. Inoltre, non si trattava di un freddo coordinamento tra gruppi. Ciò che teneva insieme questi gruppi erano le complicità, i legami di compagneria e talvolta di amicizia. L’alto livello di messa in gioco collettiva e di discussione rafforzava questi legami e gli schieramenti. Tuttavia, non c’era omogeneità nemmeno nei termini delle forme di vita. Insomma, senza questo coordinamento, il “salto di qualità” del 2016 non sarebbe stato possibile a Parigi ed esso ha giocato un ruolo importante nelle prime date del movimento.

Il corteo dei liceali riesce, più o meno, ad arrivare a Montparnasse e ancora una volta non ci aspettiamo molto. Ma anche in questo caso veniamo superati da una parte degli studenti, e anche in questo caso ne rimaniamo estasiati. Per audacia o ingenuità, non lo sapremo mai, una parte del corteo decide di posizionarsi davanti alla piazza dei sindacati, non capendo perché dovrebbe essere relegata in fondo alla manifestazione. Noi naturalmente decidiamo di appoggiare l’iniziativa. Odiamo la sinistra in tutte le sue forme: partiti politici, sindacati liceali e studenteschi o centrali sindacali. Per noi sono riformisti con cui non condividiamo né i mezzi né i fini, e questa sensazione è accentuata dal governo del PS. Per molti versi, per noi il 2016 è stato un movimento rivolto contro le forme tradizionali di protesta. I sindacati non apprezzano il movimento (come? I giovani vogliono marciare davanti, rifiutano di essere rappresentati e guidati?), come non lo amano i poliziotti, che ne approfittano per arrestare un militante proprio in questo primissimo Cortège de Tête. Composto per lo più da studenti delle scuole superiori, esso finisce per avanzare mentre il servizio d’ordine dei sindacati si premura di lasciarlo separato da uno spazio di almeno 100 metri rispetto al resto della manifestazione. La situazione è piuttosto tranquilla fino a Invalides, poi si scatena. Siamo carichi per far scoppiare il bordello, tanto più che la composizione della manifestazione non si limita all’ambiente radicale.

Senza seguire una progressione lineare, la tensione aumenta di data in data, sia nei confronti dei poliziotti che dei servizi d’ordine sindacali. Al mattino, nel contesto di “manifestazioni liceali”, che di liceale ormai hanno quasi solo il nome: attacco a una stazione di polizia il 25 marzo a seguito dello sgombero del blocco al liceo Bergson.

Scontri sul ponte Austerlitz la settimana successiva:

Poi, l’appuntamento delle undici a Nation inizia a scemare sotto l’effetto della repressione, laddove i poliziotti iniziano a trattarle sempre più come una riunione di gruppi radicali e sempre meno come una manifestazione liceale. Il primo appuntamento di aprile fu fortemente represso: cariche pesanti e nasse, i più fortunati riuscirono a fuggire attraverso la vecchia caserma di Reuilly.

Bagarres

La chiusura di questo spazio non si è rivelata un problema nell’immediato e anzi ci ha permesso di dare un ritmo e un’intensità alla mobilitazione al di fuori del quadro delle manifestazioni sindacali, che peraltro cominciano ad aprirsi sotto l’impulso del Cortège de Tête.

Anche in questo caso non è stato facile, è stato necessario imporsi di fronte ai poliziotti e soprattutto di fronte ai servizi d’ordine per i quali il Cortège de Tête rappresenta una minaccia per l’egemonia sindacale sul movimento sociale e certamente, cosa più importante per loro, mette in discussione il loro ruolo di machi con le palle. Diversi elementi contribuiscono a spiegare la perdita di legittimità dei sindacati a vantaggio del Cortège de Tête, perché se i rapporti di forza erano effettivamente materiali, era soprattutto la questione della legittimità delle pratiche radicali e di coloro che le portano avanti a essere in gioco. Bisognava innanzitutto imporsi fisicamente. Un primo scontro è avvenuto il 31 marzo con Force ouvrière, che non riesce a imporsi sul Cortège de Tête. Un altro grande scontro scoppia il 17 maggio, il servizio d’ordine viene sbaragliato (grazie a Monceau Fleurs).

Allo stesso tempo, il contrasto tra il Cortège de Tête, deciso ad alzare il livello di conflittualità e ad organizzarsi di fronte alla repressione, e la mollezza delle organizzazioni sindacali si fa sempre più forte. Il Cortège de Tête incarna l’opposizione più radicale, alla legge, al governo e al capitalismo, e certamente ai metodi tradizionali di protesta, in crisi, fallimento dopo fallimento, da diversi decenni. A essa si uniscono progressivamente tutti coloro che non vogliono limitarsi a fare passeggiate, compresi i sindacalisti stessi. Le organizzazioni sindacali e i servizi d’ordine non sembrano aver colto la portata di questa inversione di tendenza. Così, quando il 17 maggio essi tentano di far sloggiare il Cortège de Tête armati di mazze da baseball, manganelli telescopici, caschi e gas lacrimogeni, è un gruppo massiccio ed eterogeneo (giovani, radicali vestiti di nero, sindacalisti, gente x, anziani, ecc.) a fischiarli e a scandire “SO collabo” [Servizio d’ordine collaborazionista, il richiamo, pesante, è ai collaborazionisti con gli occupanti nazisti durante la Seconda guerra mondiale, ndt]. Il servizio d’ordine perde, nella stessa giornata, sia il piano della bagarre che la sua legittimità rispetto alla presenza nello spazio della manifestazione, e da lì in poi sarà in caduta libera. L’umiliazione delle centrali sindacali diventerà ancora più eclatante più tardi, il 1° maggio 2018: il numero di manifestanti del Cortège de tete supererà ampiamente quello del corteo sindacale. Una giornata ormai aneddotica, caratterizzata dalla presenza di un enorme blocco nero.

Oltre alle manifestazioni sindacali, la conflittualità continua a diffondersi in altri spazi: l’occupazione di Tolbiac, le manifestazioni selvagge, la Nuit Débout e il suo famoso aperitivo sotto casa di Manuel Valls [in quel momento Primo ministro, ndt] e i blocchi delle scuole superiori.

https://youtu.be/m3vmYTW1YWUNon controlliamo più nulla, siamo sopraffatti ormai da lungo tempo ed è molto meglio così. Se il movimento ci galvanizza, paradossalmente stiamo perdendo velocità, il gruppo comincia a disintegrarsi sotto l’effetto della (re)pressione. Ci sentiamo nel mirino, veniamo presentati come un movimento “ultra”; quando arrivano i primi divieti di manifestare sono rivolti a noi, alcuni di noi vengono malmenati dagli sbirri mentre tornano a casa, c’è anche la storia della macchina bruciata. In breve, diventa sempre più difficile assumere un’esistenza e delle azioni pubbliche e, forse, l’aspetto più problematico: non riusciamo a metterci d’accordo su un livello comune di messa in gioco. In generale, vi è il logorio di una banda che forse si è bruciata troppo in fretta e che è attraversata da tendenze nichiliste e autodistruttive. L’implosione del nostro gruppo non ha avuto alcun effetto sul movimento, che aveva trovato un proprio ritmo e stava iniziando a generare al suo interno le sue proprie bande. Il 14 giugno ne è un’eclatante dimostrazione: noi non siamo presenti come équipe, ma c’è una moltitudine di altri gruppi che faranno il lavoro necessario.

La stessa cosa è successa, poi, all’inizio dell’anno scolastico. Convochiamo un’assemblea delle scuole superiori e troviamo 50 giovani nella sala, all’inizio di settembre. Avevano l’impressione di non essere in molti. Gli abbiamo fatto presente che noi non siamo mai stati più di 10, per 4 anni.

Never grew up?

Il Cortège de Tête non è apparso per magia. È stato il prodotto della spontaneità, quanto quello di “condizioni oggettive”. È una forma di conflittualità che si è imposta e diffusa progressivamente nelle manifestazioni sindacali sotto l’impulso delle bande, per poi diventare autonoma. È del resto questa stessa energia, questo stesso dissenso, che ha cercato di dispiegarsi altrove – 11h Nation, Nuits Debout, manifestazioni selvagge -, trovandovi spazio in modo limitato, senza incontrare la stessa eco. Il Cortège de Tête si è trasformato nel corso del tempo, prima che la sua forma si stabilizzasse, diventasse folcloristica o addirittura sclerotizzata. A volte è stato dominato dal suo lato festivo, a volte da una modalità black bloc, o addirittura da un tono k-way-nero-scamiciato-rosso: la conflittualità non si è manifestata sempre nello stesso modo. Tuttavia, per questo movimento ha significato per un certo periodo il “salto di qualità”, la forma adeguata.

Questo non è più vero nel 2023.

Se il Cortège de Tête si è stabilizzato in modo duraturo, fino alle attuali manifestazioni contro la riforma delle pensioni, esso non è più sinonimo di superamento degli ostacoli (contestazione della presa di possesso dello spazio della rappresentazione politica da parte del conservatorismo di sinistra, mezzo di offensività collettiva, tematizzazione del movimento su un al di là di una lotta riformista). È un surrogato, dipendente da una forma automatica, ma progressivamente svuotato della sua sostanza: una sala d’attesa. Si spera ancora nell’evento – qualcuno a volte cerca di attivarlo – ma non arriva, o quasi mai.

Forse dimentichiamo che un tale spazio è stato costruito nel 2016, solo attraverso una tensione perpetua, attraverso certe forme di lotta, e che la stessa possibilità della sua esistenza ha richiesto di mettere il piede nella porta (e a volte sul muso). Le difficoltà erano numerose, le prospettive scarse – come lo sono oggi – eppure era necessario provare, inventare, poi persistere. Per arrivare a volte – come abbiamo visto anche il 16 marzo 2018 o lo scorso ottobre a Sainte-Soline – al famoso superamento.

In conclusione, non si tratta qui di formulare un appello al Cortège de tete autentico o eterno. Se probabilmente questa pratica non va buttata nel bidone – e si pensi alla continuità offensiva che accompagna la sua attuale ostinazione -, bisogna comunque interpretare la sua stagnazione come l’effetto di una crisi di fede (o di fegato). Il tempo dell’emulazione, della coesione e della forte determinazione che cercavamo non c’è più. La qualità e il livello di conflittualità generale che vi si metteva in gioco si sono dissipati. Gli assalti forsennati degli sbirri a partire dal 2016, in particolare a Parigi, non hanno lasciato nessuno indenne. Eppure, questa pratica è sempre meglio del tornare all’indietro, in fondo a cortei di bandiere, in una traiettoria minoritaria tendente all’infinito.

Quindi, se dobbiamo andare, tanto vale andare carichi del desiderio di andare oltre noi stessi, senza escludere la possibilità che ciò che prenderà il posto del Cortège de tete possa comunque sorgere a partire dallo stesso Cortège de tete. Si tratta di cercare nuove modalità in grado di attualizzare la sua ipotesi politica, che si riassumeva in: intervento e conflittualità di strada.

Riscoprire la frattura, anche all’interno del movimento sociale, per spingere l’offensiva.

 1 – “Per quelli che si muovono ». Il titolo dell’articolo, che lasciamo in lingua originale, è tratto dalla canzone « Pour ceux », del collettivo Mafia K’1 fry, 2003.

2 – Mouvement Inter Luttes Indépendant. Come si evince dal resto del testo, il MILI era sia una “banda” che uno spazio di organizzazione tra studenti liceali e universitari parigini.

 3 – Sindacato liceale francese vicino a SOS racisme e al partito socialista.

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L’esercito israeliano ha contrassegnato decine di migliaia di gazawi come sospetti per l’assassinio, utilizzando un sistema di puntamento AI con scarsa supervisione umana e una politica permissiva per i danni collaterali, rivelano +972 e Local Call.

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Approfondimenti

ELEZIONI LOCALI DEL 2024 IN TURCHIA

Riprendiamo dall’osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale questo quadro sulle elezioni a livello locale che si sono tenute in Turchia il 31 marzo 2024. Pur non condividendo l’enfasi sulla rinascita della socialdemocrazia, il testo ha il merito di fornire un panorama chiaro sulla sconfitta subita dall’AKP di Erdogan. La Turchia ha vissuto una […]

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Approfondimenti

Uscita la legge europea sull’Intelligenza Artificiale: cosa va alle imprese e cosa ai lavoratori

Il 13 marzo 2024 è stato approvato l’Artificial Intelligence Act, la prima norma al mondo che fornisce una base giuridica complessiva sulle attività di produzione, sfruttamento e utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

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Approfondimenti

Il colore dei manganelli

Quei fatti si inseriscono in un contesto nel quale la repressione – nelle piazze, nei tribunali, nelle carceri, nei centri di detenzione per migranti – è diventata strumento ordinario di governo

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Approfondimenti

La crisi nel centro: la Germania nell’epoca dei torbidi. Intervista a Lorenzo Monfregola

La Germania, perno geopolitico d’Europa, epicentro industriale e capitalistico del continente, sta attraversando senza dubbio un passaggio di crisi.

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Approfondimenti

Guerre, decoupling ed elezioni negli USA. Intervista a Raffaele Sciortino

Le prospettive del conflitto sociale saranno sempre più direttamente intrecciate con le vicende geopolitiche mondiali, con l’evoluzione delle istanze che provengono da “fuori” e dunque anche con la tendenza alla guerra scaturente dall’interno delle nostre società

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Approfondimenti

Per una lettura condivisa sul tema pensionistico

All’innalzamento dell’età pensionabile va aggiunto poi un ulteriore problema: mentre gli  importi pensionistici vengono progressivamente abbassati la convenienza  del pensionamento anticipato diminuisce.

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Approfondimenti

Digitalizzazione o giusta transizione?

Sfinimento delle capacità di riproduzione sociale, economia al collasso e aumento del degrado ecologico: di fronte a queste sfide per il settore agricolo non basta il capitalismo verde

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Approfondimenti

Agricoltori calabresi in rivolta, un’analisi

Ancora sulle proteste degli agricoltori, pubblichiamo questa interessante analisi sulle mobilitazioni in Calabria apparse originariamente su Addùnati il 24 gennaio.

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Crisi Climatica

Francia: sostegno alle 17 persone arrestate dalla polizia antiterrorismo in seguito alla campagna di azione nazionale contro il mondo del cemento

Lunedì 8 aprile, 17 persone sono state arrestate in Normandia e nell’Ile de France in un’operazione condotta dalla Sottodirezione antiterrorismo. Alcuni di loro sono stati portati nella sede di Levallois-Perret e potrebbero rimanerci per 96 ore.

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Conflitti Globali

Appello dei lavoratori palestinesi per la Giornata della Terra. Lottiamo per la nostra terra e per la nostra libertà

Il 30 marzo in Palestina è il Giorno della Terra, che ricorda i caduti negli scontri del 30 marzo 1976 quando l’esercito israeliano inviò le proprie forze in tre paesi (Sachnin, Arraba e Deir Hanna) allo scopo di reprimere le manifestazioni che ebbero luogo a seguito della decisione delle autorità israeliane di espropriare vasti terreni agricoli. 

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Editoriali

Macron, à la guerre!

Il presidente francese si lancia in dichiarazioni apparentemente scomposte sulla guerra russo-ucraina, palesando lo “spirito dei tempi” di una parte delle elites europee. Il tronfio militarismo da prima guerra mondiale ci avvicina al disastro.

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Crisi Climatica

Megaprofitti e sfruttamento degli agricoltori: occupazione della sede di Lactalis

“Lactalis, restituisci i soldi”: invasa l’azienda che strangola gli agricoltori mentre il suo amministratore delegato è multimiliardario

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Sfruttamento

Monza: “Dita spezzate e calci a terra”, violento sgombero poliziesco del presidio SI Cobas 

“Nuova escalation di violenza di Stato contro il sindacato SI Cobas: brutale aggressione contro i lavoratori e il coordinatore di Milano Papis Ndiaye“

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Conflitti Globali

India: come non sfamare un pianeta affamato

In India è scoppiato un nuovo ciclo di proteste degli agricoltori contro il governo Modi con scontri e lanci di lacrimogeni alle porte di Nuova Delhi.

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Sfruttamento

Sciopero degli addetti al settore cargo di Malpensa

Sciopero all’aeroporto di Milano Malpensa degli addetti al settore cargo.

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Conflitti Globali

Golpe istituzionale, sostegno francese, rivolta: cosa sta succedendo in Senegal?

Da molti mesi il Senegal è in preda a una grave crisi politica e sociale, culminata negli ultimi giorni.

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Crisi Climatica

Francia: i migliori slogan visti sui trattori

Ma la rabbia degli agricoltori va ben oltre le semplici richieste sul diesel o sugli standard ecologici, come vorrebbe farci credere la FNSEA. Per molti, si tratta di una rabbia per la dignità, per una paga equa e per la fine del neoliberismo.

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Crisi Climatica

Proteste degli agricoltori in tutta Europa. In Francia una giovane donna investita durante un blocco

Dopo le mobilitazioni degli agricoltori in Germania il movimento si estende in Francia, in particolare nella regione dell’Occitanie. Bloccata la A64 a Carbonne, i blocchi si moltiplicano a macchia d’olio intorno a Tolosa nella Haute-Garonne, bloccata anche l’autostrada A20 di Montauban.