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À nos amis… o dell’entusiasmo!

I testi che seguono non rappresentano la posizione della redazione di Infoaut, quanto l’indicazione di contributi che hanno il merito di entrare nei punti critici del testo, senza sconti ma cogliendone al contempo i punti di forza; valorizzandone l’atteggiamento politico di fondo, ossessionato (come noi) dal bisogno/volontà di forzare i tempi avari che viviamo.

A partire da una sorta di sondaggio informale, ci risulta che questo sia stato uno dei libri più letti negli ultimi mesi tra i compagni e le compagne, in particolare tra la generazione di chi ha oggi tra i venti e i trent’anni. Un motivo in più per attardarsi su un testo che ci dice qualcosa non solo su chi l’ha scritto ma anche sui suoi lettori, reali e potenziali.

Si tratta, in poche parole, di storicizzare il lavoro del Comitato Invisibile a partire dalla sua ricezione nel nostro provinciale contesto italico (ce lo consentano quest* compagn* dalle frequentazioni e ambizioni internazionali). L’affermarsi delle loro riflessioni ha corrisposto alla perdita di egemonia, in seno al cosiddetto “movimento”, della tendenza Tute Bianche-Disobbedienti e successive quanto fallimentari reincarnazioni. Genova 2001, movimento vs Cpe/insurrezioni nelle banlieues francesi, Notav e Zad di varia natura, fino al ciclo (sequenza) delle rivolte che hanno scandito il biennio 2011/2012. È la storia degli anni Duemila, una storia che abbiamo condiviso. Per essere più precisi, la ricezione massima dei loro testi si è consumata negli anni intorno al 2010. Ad averli letti è stata la generazione dell’Onda o meglio la minoranza di quel movimento studentesco che, negli anni a venire, abbiamo ritrovato in ogni barricata, occupazione, sgombero, manifestazione… in breve: in tutte le occasioni di conflitto che hanno attraversato il nostro avaro quadro nazionale.

 

Non si può certo dire che i compagn* del Comitato Invisibile non sentano la propria epoca. Ogni pagina, ogni riga potremmo anzi dire di questo testo, tradisce la frequentazione dei luoghi e dei tempi in cui qualcosa è successo per davvero. La presenza si avverte ad ogni paragrafo: nord-Africa, Spagna, Grecia… Manhattan e la Val Susa, Notre-Dame-des-Landes e lo spazio virtuale popolato dai guerriglieri di Anonymous. L’insurrezione è infine arrivata sulla terra e ha visto all’opera la forza storica (non ancora il partito, quello resta ancora piuttosto immaginario) che dovrà un giorno farla finita con questo mondo e tutti i suoi dispositivi di governo del vivente, il più efficiente dei quali consiste nello scoppio voluto di crisi controllate, fatte detonare proprio per evitare che si producano autonomamente, impreviste e quindi più difficilmente determinabili nei loro esiti (la crisi come forma di governo).

La riflessione ad alta voce del Comité si consuma, com’è buona pratica, a tiepido, non nel momento in cui l’insurrezione si dispiega (perché in quel momento c’è qualcosa di più importante da fare), né a conti fatti, quando l’ennesima occasione è andata perduta e l’unico campo di battaglia resta quello del dibattito postumo degli storiografi militanti o dell’acrimonia rancorosa. Qui si tenta invece un bilancio sulle cose che hanno cominciato a essere, facendo i conti con quel che non ha funzionato nelle insurrezioni di questi anni. Indaga per darsi/ci una spiegazione accettabile sul punto di caduta dell’ondata insurrezionale.

Che fare, dunque? Come ogni buon pamphlet rivoluzionario, il Comité – questo soggetto che non si riconosce come tale – si pone la fatidica domanda del come agire qui e ora, rifuggendo positivamente le prescrizioni di prudenza di un’ultragauche che continua a regalare ottima teoria, senza però indicare alcuna ipotesi di prassi, limitandosi ad aspettare (messianicamente) che il proletariato metta in atto misure di comunizzazione. I compagni del Comité, loro, si pongono invece dalla parte di “quelli che si organizzano”, ed è su questo piano che il confronto con questo testo e i suoi disseminati lettori, ci pare strategico. Ma è anche qui che iniziano i problemi, perché la linea che si traccia tra amici e nemici è al contempo troppo rigida e troppo fluida. La critica delle varie figure militanti (anarchico, sinistro, radicale, pacifista) coglie nel segno ma non si capisce in quale misura i nostri amici si tirino fuori da queste tipizzazioni. Quei tic, quei limiti e quelle miserie parlano anche di noi (e di voi).

Nonostante le reiterate prese di distanza dalla traiettoria dell’Internazionale Situazionista, l’antropologia del militante rivoluzionario che i nostri ci consegnano sembra ricalcare un ritratto da Vie d’artiste, dove l’impasse che già fu quella dell’IS – criticare la separazione tra arte e vita, atteggiandosi però da ultima avanguardia artistica del Novecento – si ripresenta aggiornata, nelle pagine di À nos Amis, in forma di vita etica. Sparisce qualsiasi riferimento alla composizione di classe, alla divisione internazionale del lavoro, ai differenziali di genere e razza che pure attraversano – quanto problematicamente ce lo dicono le difficoltà che incontriamo quotidianamente – le odierne geografie dello sfruttamento. Un compagno un pochino in là con gli annici chiedeva a fine lettura dove fossero, nel testo, “quell* che lavorano” (intendendo, beninteso, coloro che per vivere sono obbligati a vendere sul mercato la propria forza-lavoro). La stessa nozione di sfruttamento (e cioè l’estrazione di plus-valore) è sostanzialmente rimossa, sussunta in blocco in quella di alienazione. Vero è che su questo versante dell’odierna vita impoverita i nostri hanno scritto, già negli anni passati, pagine illuminanti.

Dove i nostri amici sembrano indicare nuove piste è invece nella seconda parte del libro, nella riflessione sulla cibernetica come nuovo paradigma della scienza di governo (anzi della governance): non si tratterebbe più di imporre, ordinare, ma tracciare diagrammi, flussi di dati per gestire quantitavamente, secondo un calcolo probabilistico, la vita delle popolazioni dominate. La descrizione del cittadino-utente-iper-connesso che ha popolato i movimenti sociali in Occidente è precisa ma anche qui vale quanto osservavamo sopra. Manca un minimo di ambivalenza: non c’è ipotesi sul come l’iper-connesso possa diventare qualcosa d’altro e differente.

L’aspetto più problematico del testo, non imputabile a chi l’ha scritto, ci sembra però la gestazione troppo lunga, che lo rende oggi inadeguato a render conto delle pesanti risposte che le controparti hanno allestito ai quattro angoli del globo, fattosi se possibile ancora più inospitale e necrogeno. Le forze della controffensiva reazionaria e capitalistica (in parte convergenti, in parte pure tra loro confliggenti) hanno dislocato i punti di rottura e innalzato il livello dello scontro. La riflessione sul nodo guerra-democrazia è da questo punto di vista appropriata ma resta il fatto che di fronte agli sconvolgimenti degli ultimi anni, ritorna, drammatica e prepotente, l’ineliminabile questione del potere, che non è nient’altro che l’altra faccia della libertà, il verso che la può rendere possibile. Dopo centinaia di migliaia di pagine spese negli ultimi decenni a criticare qualsiasi forma di potere, moda cui i nostri amici non si sottraggono, con la contrapposizione netta tra potere destituente e potere costituente – come se in ogni autentica insurrezione non ci fosse sempre un doppio movimento di destituzione del vecchio e costituzione del nuovo – assistiamo oggi, in quel medio-oriente ripetutamente bombardato dagli stati e percorso da nuove bande di tagliagole, al proliferare di forme di potere non statale che rimettono al centro il nodo di sempre: chi ha la forza di decidere per sé, decide anche sugli altri (i nemici, decisi a tutto pur di non perdere il potere che detengono, sopra e contro di noi).

Gli eventi degli ultimi anni – non solo la guerra ad alta intensità ma anche l’apatia che incombe sull’Europa – impongono ripensamenti radicali, analisi approfondite a autocritiche serrate. Si corre altrimenti il rischio che all’entusiasmo della vita senza tempi morti faccia seguito una depressione generalizzata. Alcuni segnali premonitori s’iniziano a scorgere in giro. Il futuro che ci corre incontro sembra più carico di incubi che di promesse. Dovremo armarci di intelligenza e passione ma anche di calcolo e strumentalità; sapere, come ha scritto qualcuno, far buon uso dell’impazienza.


**************

Vedi anche:

 

Che cosa sono i nostri amici?

di Gigi Roggero  – Ai nostri amici è un libro da leggere. In parte studiando quello che gli autori dicono, in parte studiando i lettori, reali o potenziali, che lo leggono. A chi si rivolge, infatti? La risposta è contenuta nel titolo,indubbiamente azzeccato: agli amici. Sono gli amici di un “partito” invisibile e disperso, immaginario e privo di organizzazione. Anzi, che rifugge l’organizzazione [continua]

 

Bruciare Abitare Pensare

di  Alberto Toscano – 1. Ogni teoria della rivoluzione è un bilancio delle sue sconfitte. Ecco cosa traspare delle prime pagine di   Ai nostri amici, e distingue questo libro, nonostante la continuità di stile e obiettivi, da   L’insurrezione che viene. Se in quest’ultimo, per parafrasare Il 18 brumaio, la fraseologia anticipava profeticamente il contenuto, ora è il contenuto a sorpassare la fraseologia. L’insurrezione è arrivata ed è stata sconfitta [continua]

 

Comitato Invisibile: A NOS AMIS

di Cristina Rosati (Carmilla Online) – “Non esistono altri mondi. Esiste semplicemente un’altra maniera di vivere”. La citazione rubata a chi del furto ha fatto una professione, Jacques Mesrine, all’inizio del testo, ci introduce già in un discorso che non sarà mai scontato e che ha come obiettivo di far luce sul nostro presente storico e sociale senza aggrapparsi a vecchie e obsolete dottrine. Il Comitato non risparmia nessuno, da Proudhon ai comunisti, dagli anarchici alle Brigate Rosse, dai pacifisti fino a “le misérable Beppe Grillo” [continua]

 

À propos de « À nos amis »

di R.F. (Des Nouvelles Du Front) – Nel testo che segue, ci dedicheremo alla critica di « À nos amis » del Comitato Invisibile. Ci teniamo a prevenire il lettore che un atale critica non sarà affatto esaustiva, poiché il testo meriterebbe una decodificazione ancora più profonda di quella che possiamo fare qui, nello spazio di poche pagine: ci limiteremo dunque a esaminare certi postulati fondamentali che ci sembrano strutturare il suo nocciolo teorico. À nos amis rappresenta un buon esempio del modo in cui un bricolage concettuale conservatore  può mascherarsi  da rivoluzionario,  e d è quindi tanto più difficile operarne la critica perché l’opera è a prima vista densa, addirittura sovraccaricata [continuain francese, una versione italiana sarà presto pubblicata sul blog de Il lato cattivo]

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