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L’intelligenza artificiale, lo Studio Ghibli e la natura del capitalismo

Sta generando molte polemiche il nuovo aggiornamento di ChatGpt che permette di creare immagini nello stile dello Studio Ghibli. A gettare benzina sul fuoco l’utilizzo spregiudicato che l’amministrazione Trump sta facendo di questo generatore di immagini per propagandare la sua campagna di deportazione degli immigrati.

Sono molti i temi che apre questo aggiornamento: dal dibattito su diritto d’autore e proprietà intellettuale, all’etica delle cosiddette intelligenze artificiali. Ma questa vicenda offre il fianco a riflessioni più mirate sulla natura profonda del capitalismo.

Facciamo una breve premessa per chi non fosse a conoscenza di quanto accaduto. Lo Studio Ghibli è uno studio cinematografico di film d’animazione giapponese fondato tra gli altri da Hayao Miyazaki. I suoi film sono considerati pressoché in maniera unanime tra i maggiori capolavori dell’animazione. Questo perché insieme al tratto inconfondibile delle immagini, alle atmosfere poetiche e sognanti le opere dello Studio Ghibli hanno sempre trattato temi profondi sul piano umano e sociale come l’ambientalismo ed il rispetto della natura. La storia dello Studio Ghibli tocca anche l’Italia, infatti è sull’Adriatico che è ambientato uno dei suoi film più noti, “Porco Rosso”. “Meglio porco che fascista” è la notissima frase che pronuncia il protagonista del film e che è diventato uno slogan ormai da generazioni.

ChatGpt, che vede al suo comando Sam Altman uno dei magnati delle Big Tech, ha rilasciato di recente un aggiornamento che permette di creare delle immagini nello stile dello Studio Ghibli. L’utilizzo di questa funzione è esploso immediatamente, data la notorietà delle opere di Miyazaki e sono comparse sui social una quantità impressionante di immagini generate con questo stile. Lo studio Ghibli non ha mai dato il proprio consenso a questo aggiornamento che è stato presentato come un “omaggio”. I canali social ufficiali dell’amministrazione Trump hanno pensato di cavalcare l’onda pubblicando una versione “in stile Ghibli” dell’arresto di una donna immigrata da parte degli agenti dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement). Da qui si è scatenato un enorme dibattito che però si è per lo più soffermato sugli aspetti superficiali della vicenda.

Si è discusso se questa mossa di ChatGpt è legale e non viola le norme sul copyright e sulla proprietà intellettuale, se sia etico che l’intelligenza artificiale riproduca lo stile di un’artista ecc… ecc… Tutte queste critiche, giuste o meno, non si confrontano con l’elefante nella stanza: cioè che questa storia è esemplificativa della natura del capitalismo.

Sono due in particolare gli aspetti su cui ci vogliamo soffermare: in primo luogo questa vicenda sottolinea ancora una volta come alla base della accumulazione capitalista ci sia “il furto”. Infatti sebbene legalmente uno “stile” di disegno non sia coperto dal copyright è evidente che ChatGpt si è appropriato senza pagare un soldo e senza chiedere il permesso di un immaginario che si abbina ad una visione artistica ben precisa. Da questa appropriazione Open IA ha guadagnato moltissimo, tanto che il boom di immagini generate in stile Ghibli potrebbe aver mandato in crash ChatGpt il 31 marzo. Ma anche se Miyazaki o chi per lui ne avessero autorizzato l’utilizzo poco sarebbe cambiato. In ogni caso l’accumulazione di Open IA si sarebbe appoggiata sull’appropriazione di un processo creativo generato da altri.

E qui veniamo al secondo punto: per continuare il ragionamento abbiamo bisogno di introdurre due categorie marxiane, quella di lavoro vivo e quella di lavoro morto. Il lavoro vivo è quello compiuto dall’essere umano attraverso l’uso della sua forza fisica, delle sue abilità e del suo cervello, il lavoro morto è quella parte di lavoro umano che viene incorporato nella macchina grazie anche alle innovazioni tecnologiche. Nel passaggio dal lavoro vivo al lavoro morto si perde sempre qualcosa, infatti la macchinizzazione del lavoro prevede una standardizzazione dei processi produttivi che devono essere sempre uguali a se stessi. Il lavoro morto in sostanza non è in grado di generare atti creativi. L’esempio più ovvio è la differenza tra il lavoro di un esperto falegname che può personalizzare il suo artefatto in base al suo gusto o alla commessa del cliente e il mobilificio industriale che produce ed immette sul mercato prodotti in serie. D’altronde come ci spiega Marx nei Grundrisse: “l’unica utilità che un oggetto può avere in generale per il capitale può essere soltanto quella di conservarlo o accrescerlo”. Ciò significa che al capitale non importa nulla della natura di un determinato oggetto, della sua bellezza, dell’emozione che ci può provocare, persino del suo uso pratico, l’unica cosa che importa è che tale oggetto, trasformato in merce sia in grado di moltiplicare il valore del capitale o quanto meno di conservarlo.

L’esempio dell’artigiano e del mobilificio ci rende semplice comprendere questo processo. Risulta un po’ più complesso applicarlo al cosiddetto lavoro creativo, a quello astratto, artistico. Ma la vicenda di ChatGpt e dello studio Ghibli ci viene in aiuto in questo senso. Infatti una volta che la macchina, in questo caso la cosiddetta intelligenza artificiale, si è appropriata dell’immaginario dello studio Ghibli, standardizzandolo e codificandolo secondo i suoi algoritmi, tutto il portato di emozioni e di senso che quelle immagini si portavano dietro si è svuotato. Il lavoro vivo vibrante degli artisti che hanno realizzato le animazioni, che con il loro atto creativo hanno generato opere uniche in grado di far riflettere e commuovere si è trasformato in lavoro morto, poco più di un meme o di un’avatar personalizzato. L’immaginario Ghibli ha talmente perso di senso che persino l’amministrazione Trump ha potuto utilizzarlo per i suoi scopi che immaginiamo gli artisti di Ghibli non avrebbero mai approvato. Si è perso qualcosa, anzi quasi tutto il portato di quello “stile”, ma nel frattempo esso è diventato una merce, a suo modo standardizzata anche se “personalizzabile” entro certi limiti e il capitale si è enormemente valorizzato attraverso di essa.

Ovviamente non ha senso dare la colpa di tutto ciò ai consumatori ultimi di questa merce, sarebbe come incolpare chi compra tavoli al mobilificio, ma è fondamentale tenere ben presente il processo. Molti e molte che svolgono lavori creativi provano frustrazione ed insoddisfazione nell’utilizzo dell’IA: non si tratta solo di una “difesa del posto di lavoro” o di una diffidenza verso le nuove tecnologie. Il punto è che il capitalismo man mano che si appropria di nuove parti dell’attività umana tende sempre a rendere la realtà scalabile, a standardizzarla appunto e i lavoratori e le lavoratrici sottoposte al suo regime di produzione vengono spinti sempre più verso delle forme di lavoro operaio. Dunque proprio come l’operaio non prova particolare soddisfazione verso la merce che produce (anzi spesso la odia) a differenza dell’artigiano, allo stesso modo l’IA tende a rendere l’atto creativo sterile, il lavoro alienante. Ovviamente anche scegliere il testo da inserire dentro ChatGpt per generare un’immagine è un atto creativo, ma qualcosa nel frattempo si è perso. Il controllo del processo non è più completamente in mano all’artista, al lavoratore creativo, ma è in mano alla macchina ed a chi la possiede.

L’intelligenza artificiale è lontana dall’essere in grado di produrre autonomamente un atto creativo, ma è piuttosto la macchina delle macchine. Quel tipo di macchina che, nella tendenza del capitalismo a farsi totale, a colonizzare ogni ambito della natura e della vita umana, rende scalabile il lavoro vivo “rubato” alla creatività umana.

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