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Blackout: è il liberismo bellezza!

Riprendiamo dal sito SinistrainRete questo contributo che ci sembra interessante per arricchire il dibattito a riguardo del recente blackout iberico. I nodi sollevati ci interessano e rimandando a ragionamenti complessivi sulla fase e la crisi energetica, che animano il nostro sito in questi ultimi tempi. Sembra interessante e da approfondire, il ruolo dei mercati finanziari nella gestione delle reti energetiche nazionali e come questo si intersechi con l’utilizzo di fonti rinnovabili, fossili e nucleari.

di Leonardo Mazzei da SinistrainRete

Tranquilli, dietro il blackout spagnolo, che ha coinvolto pure il Portogallo, non ci sono né complotti né misteri. Ci sono piuttosto silenzi e reticenze di un sistema di potere che non può disvelare la vera causa, che è innanzitutto economica e dunque politica, di quel che è successo.

A questo proposito l’imbarazzo di Sanchez è apparso evidente. Il capo del governo spagnolo avrebbe preferito poter additare una delle tante cause fasulle di cui si è cianciato sui media: un “misterioso” evento atmosferico, i sempre buoni “cambiamenti climatici”, la cattiva manina di hacker ovviamente filo-russi. Non ha potuto farlo, forse perché consapevole che il ridicolo può davvero uccidere la credibilità di un politico. Si farà, invece, una Commissione d’inchiesta, che è il classico modo per non arrivare a nulla.

Come avvengono i blackout

Siamo dunque ben lontani da una verità ufficiale, ma le notizie che cominciano a trapelare sono già sufficienti a indicare una prima e robusta ipotesi. Ma prima di arrivarci bisogna capire che cos’è un blackout generale, come quello verificatosi nella penisola iberica lo scorso 28 aprile. Mentre i blackout locali sono molto frequenti, basti pensare alle zone di montagna durante i temporali, i blackout generali (che interessano, cioè, interi paesi o porzioni importanti degli stessi) sono eventi piuttosto rari, ma che tuttavia capitano.

Senza scomodare i “mitici” blackout newyorchesi, in Europa, l’esempio più eclatante riguarda proprio l’Italia, che il 28 settembre 2003 rimase completamente al buio con l’eccezione della Sardegna. In questi casi, infatti, le isole – che hanno sistemi elettrici largamente indipendenti dal continente – sono in genere avvantaggiate. E’ stato così anche stavolta nel caso delle Baleari.

Nei blackout generali l’aspetto decisivo è l’effetto domino sulla rete elettrica ad alta tensione. Queste reti funzionano sulla base di due parametri fondamentali: la tensione e la frequenza. La tensione cambia nei diversi comparti della trasmissione (alta tensione), della distribuzione (media tensione) e del consumo (bassa tensione), ma i suoi valori possono variare solo dentro una banda di oscillazione massima del ±10%. La frequenza (che in Europa è fissata a 50 Hertz) può variare solo del ±1%, ma sono ammesse oscillazioni istantanee più ampie (dal +4% in aumento, al -6% in diminuzione). Oltre queste soglie intervengono i dispositivi di protezione che disconnettono le parti di rete (e le relative centrali di produzione) interessate. Quando non si riesce a confinare il problema in ambito locale, realizzando gli opportuni sezionamenti e/o attivando tutte le misure tendenti al ripristino del bilanciamento di rete, scatta l’effetto domino, che trasmette lo sbilanciamento a tutta la rete interconnessa. Insomma, autodifendendosi il sistema elettrico si annulla.

Una volta che il blackout si è dispiegato la ripartenza è di necessità lenta. Le centrali vanno riattivate a una a una, prima le idroelettriche e le turbogas poi le altre. Le varie aree del paese vanno rialimentate progressivamente, mantenendo sempre il bilanciamento con la produzione. Ogni Paese ha un suo piano di riaccensione, e quello spagnolo ha dato tutto sommato una buona prova di sé (ventidue anni fa in Italia andò un po’ peggio).

Il problema, infatti, non è stata la riaccensione, che ben difficilmente avrebbe potuto essere più rapida. E neppure il possibile “incidente di innesco”, che può sempre avvenire, ma al quale il sistema dovrebbe saper reagire ripristinando i giusti valori di tensione e frequenza. La questione vera sta esattamente nell’inesistenza (o comunque nella grave insufficienza) di questa risposta del sistema elettrico spagnolo. A parere di chi scrive, il problema qui si chiama “riserva calda”. Ma dietro a questa terminologia tecnica, peraltro molto facile da spiegare, si nasconde una gestione economica del sistema elettrico figlia delle privatizzazioni.

Attenzione alle bufale (mediatiche ma non solo)

Prima di arrivarci, analizziamo però brevemente le tante bufale ascoltate in questi giorni.

In primo luogo, occupiamoci della bufala atmosferica, chiamata pomposamente (giusto per non far capire la sua banalità) “vibrazione atmosferica indotta”. Tradotto, si tratta di possibili oscillazioni dei cavi ad alta tensione provocate dal vento, magari associato a forti perturbazioni atmosferiche. Oscillazioni potenzialmente in grado di generare scariche elettriche tali da mettere fuori servizio le linee interessate. Appena avuta notizia del blackout, il sottoscritto ha subito controllato le condizioni meteo della penisola iberica: nessuna perturbazione, nessun vento anomalo, tempo soleggiato e primaverile dalla Galizia all’Andalusia. Ai propalatori della bufala atmosferica è andata decisamente male!

A questi dispensatori di sciocchezze si sono immediatamente agganciati gli immancabili cantori del “cambiamento climatico” causa di tutto, financo delle tonsilliti. Qui il posto più alto del podio spetta al portavoce della società lusitana REN, che gestisce le principali linee del Portogallo, che ha attribuito l’accaduto a non meglio quantificate “estreme variazioni di temperatura nell’entroterra della Spagna”. Ora, a parte il fatto che di questi misteriosi sbalzi di temperatura non c’è ovviamente traccia, ma da quando in qua questi inesistenti sbalzi provocherebbero le altrettanto fantomatiche oscillazioni? Qui sì che il mistero è fitto. Talmente fitto che anche questa sciocchezza è stata subito accantonata.

Che dire poi della storia dell’attacco informatico? Certo, in quel campo dobbiamo sempre aspettarci di tutto, il che però non significa che tutto debba essere spiegato attraverso l’informatica e le sue molteplici possibilità. Al di là delle smentite ufficiali, questa ipotesi è del tutto improbabile, non tanto perché stiamo parlando di sistemi altamente protetti, ma soprattutto perché le “difese” tipiche del sistema elettrico non riguardano tanto l’informatica, quanto piuttosto l’elettrotecnica e ancor più la programmazione della rete e del carico, laddove le decisioni fondamentali sono umane e sottostanno sì a imperativi tecnici, ma sempre più spesso a input economici concernenti gli interessi dei principali operatori nella Borsa elettrica, in primis le compagnie di produzione. Perché allora privilegiare l’ipotesi del complotto, per carità talvolta possibile, piuttosto che quella più realistica dell’esame dei concreti interessi quotidianamente (sottolineo “quotidianamente”) in gioco?

La bufala sulle rinnovabili

Una bufala da considerare meglio è invece quella che attribuisce tout-court il blackout alle rinnovabili. Qui l’argomento è più insidioso, perché si parte da una mezza verità (la relativa non programmabilità delle rinnovabili) per arrivare a una menzogna integrale (la completa ingestibilità delle stesse).

L’argomento è stato largamente ripreso nei giorni scorsi da politici, giornalisti, e soprattutto lobbisti del nucleare. Tra questi ha brillato il teorico della “terza via” (nel suo caso concreto, si direbbe quella a far soldi con ogni tipo di intermediazione affaristica) che corrisponde al nome del pluri-bombardatore Nato Tony Blair. Anche costui ha utilizzato una verità (la decarbonizzazione entro il 2050 è impossibile), per sostenere una menzogna assoluta (quella secondo cui l’unica alternativa sarebbe il nucleare) e soprattutto per spacciare la merce che adesso gli sta a cuore (i costosissimi “mini” reattori Smr).

E’ chiaro come tutta questa materia meriterebbe un articolo a parte. Non si discerne il grano dal loglio senza le opportune argomentazioni. Ma qui non è il caso di disperdersi troppo. Limitiamoci dunque ad alcune precisazioni.

In primo luogo, non è vero che tutte le rinnovabili non siano programmali. Idroelettrico, geotermico e biomasse (al di là del giudizio su di esse) sono tutte fonti programmabili al pari delle fonti fossili tradizionali. Di più, l’idroelettrico possiede una flessibilità e capacità di accumulo che nessuna altra fonte ha. Da qui il suo ruolo fondamentale nei piani di riaccensione, in Italia come in Spagna. E’ vero invece che eolico e solare non sono programmabili nel senso millimetrico delle altre centrali. Non sono programmabili, ma sono tuttavia prevedibili. E queste previsioni (che vengono fatte giorno per giorno, con eventuali aggiustamenti in tempo reale) funzionano alla grande, tant’è che noi stiamo parlando di un blackout generale come di un fenomeno estremamente raro. E così è stato fino a oggi. Domani vedremo.

Ora rispondiamo a una domanda: è vero o no che l’incremento delle quote di eolico e solare, aumenta la possibilità di sbilanciamenti più sensibili tra produzione e consumo? Ovviamente la risposta è sì. Ma solare ed eolico non sono arrivati ieri, e in alcuni paesi cominciano a coprire quote molto importanti della produzione. Tra i tanti esempi possibili, interessante quello della Danimarca, dove nel 2024 la produzione da solare ed eolico ha coperto il 69% del fabbisogno, eppure non ci risultano blackout da quelle parti. Come non ci risultano in tanti paesi, dall’Africa al Sud America, che viaggiano su percentuali prossime al 50%. Dunque, solare ed eolico pongono sì nuovi problemi di bilanciamento delle reti, ma sono tutti problemi tecnicamente risolvibili.

Sta di fatto che, in maniera largamente indipendente dai vari orientamenti politici, il mondo sta andando verso le rinnovabili. Basti pensare che nel 2024 queste fonti hanno coperto il 32% del consumo globale; che la sola produzione solare mondiale è raddoppiata negli ultimi tre anni, oltrepassando i 2.000 miliardi di Kwh (7 volte il consumo dell’Italia); che oltre la metà (53%) di questo incremento è avvenuta in Cina, di gran lunga il Paese leader della produzione e del consumo mondiale. Perché questo boom? Per ragioni ecologiche? Perché c’è la fissa della CO2? Scordatevelo. E’ avvenuto, e avverrà sempre più, perché l’energia prodotta con le rinnovabili ha costi nettamente inferiori a quella delle altre fonti. Punto.

Cosa è successo il 28 aprile?

Fatte queste precisazioni, cerchiamo ora di capire cosa è davvero successo il 28 aprile.

Da quel che se ne sa, all’ora del blackout la produzione spagnola era così suddivisa: 18mila megawatt (Mw) dal fotovoltaico, 3.500 dall’eolico, 3mila dall’idroelettrico, 3mila dal nucleare, 2.500 da fonti fossili, 2mila da autoproduzione non meglio specificata. Il tutto per un totale di 32mila Mw che andavano a coprire un consumo equivalente così suddiviso: Spagna continentale 25mila, esportazione verso il Portogallo 3mila, verso la Francia 2mila, verso le Baleari e il Marocco mille Mw.

Si tratta ovviamente di dati all’ingrosso, che ci danno però un’idea della situazione. La Spagna aveva a quell’ora una produzione elevata, con un 56% di solare e un 11% di eolico. Una situazione che gli consentiva una significativa esportazione verso i paesi limitrofi, a partire da quella Francia che – contrariamente a quel che si crede – nelle ore diurne è costretta a importare (e non solo dalla Spagna) proprio a causa della rigidità tipica del suo sistema largamente nuclearizzato.

La Spagna, dunque, non può avere avuto choc esterni. Ma, d’altro canto non risultano incidenti interni tali da giustificare quanto accaduto. Si colloca qui l’ipotesi di eccessive oscillazioni tipiche della produzione fotovoltaica di chi vorrebbe mettere il solare sul banco degli imputati. Ora, queste oscillazioni ci saranno state di certo, ma la situazione del 28 aprile era del tutto simile a quella dei giorni precedenti, e come abbiamo visto un sistema ben regolato è in grado di farvi fronte senza eccessivi scossoni.

Ecco, qui ci stiamo avvicinando al punto. Quali sono gli strumenti di questa regolazione? Essenzialmente essi sono tre: una corretta programmazione del carico, un’adeguata capacità di compensazione sincrona, un’ancor più adeguata disponibilità di “riserva calda”. Sulla programmazione del carico, basata sulle centrali tradizionali, e sui dati previsionali di quelle non programmali, è difficile pensare a un errore così marchiano della REE (Red Eléctrica de Espana), società incaricata di gestire la rete e il servizio elettrico spagnolo. Della disponibilità di compensatori sincroni – macchine elettriche rotanti utilizzate in alcuni nodi della rete onde stabilizzare la tensione – nulla sappiamo, ma anche in questo caso risulta difficile pensare a una negligenza così grave della REE, specie in una fase di rapida ma programmata crescita del solare. Resta invece il problema della “riserva calda” che ci porta a evidenti interessi economici.

Il liberismo può portare al buio

I più associano i blackout a una carenza di energia, ma abbiamo già visto che non è così. In Spagna c’era semmai un eccesso di produzione, bilanciato con le opportune esportazioni. Altri alle incertezze del meteo e alle relative oscillazioni produttive, ma nessuno considera un altro aspetto ancor più decisivo: il meccanismo dei prezzi dell’energia all’ingrosso. Questi prezzi si formano nell’aberrante Borsa elettrica, una delle conseguenze dei processi di liberalizzazione dei mercati elettrici, fino a trent’anni fa rigidamente controllati dagli Stati.

Come tutte le Borse che si rispettino, anche quella elettrica è il luogo della speculazione. Nel corso della giornata questo meccanismo attribuisce così prezzi diversissimi allo stesso chilowattora. La conseguenza è evidente. Poiché, con le privatizzazioni, non c’è più un’azienda pubblica tenuta alla mission della sicurezza energetica (in Italia l’Enel fino al 1999, in Spagna Endesa fino al 1998), le aziende produttrici, tutte private e per lo più quotate alla Borsa valori, cercano di accaparrarsi il massimo della produzione nelle ore in cui il prezzo è alto, azzerandola (o comunque limitandola il più possibile) nelle ore in cui il prezzo è basso.

Non stiamo parlando di bruscolini. In questo momento (ore 15 del 1° maggio) i prezzi previsti dalla Borsa per domani 2 maggio sono i seguenti: ore 3:00 45 euro al Megawattora, ore 8:00 130 euro, ore 14:00 14 euro, ore 21:00 146 euro. Avete capito bene! Lo stesso prodotto, ottenuto con la stessa quantità di acqua, vento, sole, gas, carbone o uranio ha un’oscillazione di prezzo da 1 a 10. I dati qui riportati sono della Borsa italiana, ma in Spagna avviene esattamente la stessa cosa, e come si vede le ore della tarda mattinata sono ormai quelle con i prezzi più bassi. Ai signori dell’energia, chi glielo fa fare di bruciare, ad esempio, lo stesso metro cubo di gas alle 14, quando alle 21 incassano dieci volte di più?

Già, vi chiederete, chi glielo fa fare? Glielo fa fare il gestore del servizio elettrico (in Italia il GSE, in Spagna la già citata REE). O meglio, glielo dovrebbe far fare. E certamente glielo farà fare nella misura minima, altrimenti andremmo tutti al buio di continuo, ma glielo fa fare in misura adeguata a far fronte a eventuali, ma sempre possibili imprevisti? Chi scrive pensa proprio di no. Ed era giunto alle stesse conclusioni nel 2003, quando – sarà stato un caso – il black out avvenne solo 4 anni dopo la liberalizzazione del sistema elettrico italiano, decretata dal governo D’Alema (ministro competente Bersani). Ed avvenne alle 3 di notte, che in quegli anni era l’orario con il prezzo più basso. Tutte casualità?

Abbiamo già detto che qui il problema si chiama “riserva calda”. Come si intuisce dal nome la “riserva calda” è costituita da generatori che possono sostituire la potenza mancante, laddove la mancanza non è necessariamente carenza strutturale, ma mancanza momentanea dovuta all’attivazione dei dispositivi di protezione di cui abbiamo già parlato. La “riserva calda” si distingue da quella “fredda”, perché non si tratta di macchine pronte ad avviarsi nei tempi necessari (riserva fredda), bensì di generatori che già lavorano in rete, ma a potenze relativamente basse, tenendosi così un margine per reagire immediatamente alle eventuali necessità. Lasciando da parte i tecnicismi, l’importante è sapere che con la “riserva calda” il sistema elettrico acquisisce un’immediata ed efficace capacità di autoregolazione. E alla luce delle informazioni disponibili, il 28 aprile quella capacità sulla rete spagnola non c’era.

A questo punto il perché di questa situazione dovrebbe esservi chiaro. I signori dell’energia preferiscono tenere i loro generatori a riposo quando il prezzo del Kwh è spinto in basso dalle rinnovabili. Certo, in teoria il gestore del servizio elettrico (la REE) avrebbe dovuto imporre le giuste quote della “riserva calda”, e in una qualche misura lo avrà fatto, ma non nella misura sufficiente. Del resto, le pressioni dei produttori sono pesanti, e – per quanto rischioso – il giochino in genere funziona. Poi arriva il giorno che manda tutto all’aria e si comincia a parlare di “vibrazioni atmosferiche indotte”… Di sicuro la fantasia non gli manca. Esattamente come la faccia tosta.

D’altronde, nel mercato dell’energia i trucchi sui prezzi sono di vario tipo, ma visti gli utili delle compagnie energetiche abbiamo la certezza che funzionino. A questi “giochi” partecipano talvolta anche gli Stati. Ad esempio, la Francia si è per ora opposta al potenziamento trans-pirenaico dei collegamenti elettrici con la penisola iberica. E questo perché? Per non dover far competere sempre più il proprio costoso nucleare con le rinnovabili di Spagna e Portogallo. Tutti liberisti, ma meglio se a casa degli altri…

Brevi conclusioni

Fin qui abbiamo cercato di dare una spiegazione razionale di quanto successo. I lettori giudicheranno la validità di questo tentativo. Naturalmente, ove arrivassero, nuove informazioni potrebbero completare il quadro, ma siamo convinti che la sostanza sia quella sin qui esposta.

A questo punto non ci resta che trarre alcune conclusioni generali, anche andando oltre lo specifico di questo articolo. I fatti spagnoli confermano la necessità di un sistema energetico sotto il totale controllo pubblico, con la nazionalizzazione integrale del settore e l’imposizione di rigidi vincoli di sicurezza. Le Borse dell’energia (non solo quella elettrica, ma pure quella del gas) vanno semplicemente chiuse. Lo Stato deve fissare annualmente i prezzi dei prodotti energetici, con una politica di prezzi bassi a favore delle fasce più deboli della popolazione. Il passaggio alle rinnovabili deve proseguire, ma sempre con la massima attenzione ai vincoli sociali e ambientali.

Ma ci sono pure altri aspetti non meno importanti. La nostra società sta impazzendo, e l’elettro-dipendenza fa il paio con la dilagante info-dipendenza. In Spagna, abbiamo sentito di persone disperate non per un rischio imminente, ma per l’impossibilità di fare una telefonata… E non parliamo poi delle code ai bancomat, giusto lì a ricordarci l’assurdità dell’abolizione del contante. Che dire? I black out vanno evitati, e per farlo bisogna uscire dai meccanismi del neoliberismo, ma oltre a questo sarebbe bene darsi tutti una regolata.

PS – Chiudiamo con una “piccola” curiosità. Abbiamo parlato delle responsabilità delle aziende produttrici. Ma qualche organo di informazione italiano ci ha forse detto qual è il primo produttore di energia elettrica in Spagna? Non ci risulta, e la cosa è curiosa assai, dato che il primo produttore spagnolo si chiama Enel, che opera nel Paese iberico attraverso due società: Endesa (di cui detiene il 70%) ed Enel Green Power. E con questo è tutto.

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