Direzione Leopolda e oltre
Ancora alcune note sul corteo del 5 novembre a Firenze e sugli scenari a venire:
Prendersi lo spazio per affermare un NO. Sfidare Renzi imponendo durante la sua kermesse l’ingombrante presenza del paese reale e quella delle sue ragioni-contro. E’ stata questa l’idea al centro della costruzione della manifestazione di sabato. “Vogliamo parlare anche noi”. E’ stato questo che ha permesso fin da subito alla proposta di iniziativa di riscuotere interesse ed attenzione, di circolare negli ambienti più diversi, di intercettare evidentemente una voglia di emergere, attivarsi, mettersi in gioco che inizia a vivere anche nei mondi meno probabili (vedi base sinistra). Una voglia vera, disponibile a spendersi intorno ad una proposta di incompatibilità evidente e consapevole. Che aspettava la sua occasione. Non poco.
Quanto accaduto ai cancelli della Leopolda prima, con il tentativo della polizia di impedire una conferenza stampa del comitato Firenze dice NO, e il divieto a manifestare poi, sono entrambi elementi che da subito sono andati a sviluppare ed espandere ciò che già faceva da motore dell’iniziativa: l’inaccettabilità della censura e dell’invisibilità delle ragioni del NO, l’indignazione per la prepotenza di un premier-padrone, la voglia di irrompere e sfidare il perimetro stretto della compatibilità renziana.
Nessuna presa, stavolta, per gli allarmismi e le strategie del terrore. L’intenzione annunciata di infrangere il divieto raccoglie invece entusiasmo, alimenta la determinazione, fa esporre anche i più timidi. Per tantissimi, fuori dalle cerchie “militanti” e “radicali”, giovani e meno giovani, ha rappresentato solo un motivo in più per scendere nella piazza vietata e condividere la necessità di muovere lo stesso i passi in direzione Leopolda, affrontare le cariche e i lacrimogeni, prendersi le strade di Firenze tra le continue provocazioni e attacchi della polizia.
Anche l’opera di criminalizzazione del subito dopo non fa presa. La piazza di Firenze pratica un alto livello di radicalità forte di una legittimità sociale inedita. Migliaia erano in piazza, milioni nel paese applaudono a chi ha sfidato il divieto. E infatti c’è una distanza impressionante stavolta tra la narrazione mainstream della giornata e quella che dal basso circola sui social-network, nei bar, nelle scuole. Da una parte c’è la riproposizione della retorica sui “gruppi di facinorosi”. Dall’altra si assume quanto accaduto a Firenze come una bella fotografia di un paese stufo e desideroso di riscatto, ci si riconosce in una piazza di popolo che ha combattuto una battaglia legittima se non irrinunciabile. Persino esponenti del NO istituzionale sono costretti a esprimersi tanto contro “le violenze” quanto contro “i divieti” per non perdere la poca legittimità che hanno agli occhi di quel “popolo del NO” che non possono rappresentare.
Tutto (o quasi) si è si costruito a partire dalla rigidità sulla libertà a manifestare. Ma è bene fare un appunto: a fare da motore non è stata un’astratta difesa di una voltairiana libertà di espressione, spesso vissuta con una certa distanza. A fare da spinta c’è stata (e può continuare ad esserci, questo è il dato più significativo) l’indisponibilità vissuta da una vasta ed eterogenea composizione sociale a rinunciare a prendere parola, ad essere confinata sui social-network (che si sono configurati come lo strumento centrale di accumulazione), ad accettare. E qua la posta in gioco, quindi, non è tanto quell’agibilità da difendere ma quella di scommettere sull’attivazione e approfondimento di un NO capace di determinare la pratica di massa di un terreno di incompatibilità e dentro questo orizzonte costruire le condizioni di emersione della carica di rifiuto che soggettività e composizioni differenti, mentre rimanevano distanti dai percorsi di lotta sui territori, hanno accumulato negli ultimi anni di frustrante passività sociale.
Non sarebbe successo se non si fosse osato, su tutti i livelli, nel ricercare una sintonizzazione con quel magma sociale che in forme ambigue (e troppo passive) esprime una radicale distanza e nemicità verso il governo Renzi e più in generale verso un intera casta politica e i poteri forti che la sostengono. Non sarebbe stato possibile se, dopo aver compreso le profonde ambivalenze che sui livelli bassi stanno dietro a fenomeni come il M5S e più in generale i populismi (anche quelli di destra), ma anche – a sinistra – dietro l’attivazione in difesa della costituzione, fino alla più cruda disaffezzione ad ogni forma della politica (anche le nostre), non ci si fosse spinti fino ad una certa pratica dell’ambiguità intesa come presupposto strategico per rendere reale questa sintonizzazione. Per partire da lì a andare a definire dei passaggi significativi di riconoscimento, attivazione e contro-soggettivazione capaci di ri-definire le coordinate della contrapposizione sociale nel senso di una polarizzazione tra basso e alto della società. Il referendum costituzionale è il contesto in cui questo diventa immediatamente possibile, scommettendo su un NO capace di aggregare, attivare, polarizzare, ri-politicizzare.
Un metodo orienta un’intuizione: distinguere l’espressione politica esplicita dei fenomeni – la lotta sul quesito referendario, la difesa del ‘simbolo’ della carta costituzionale – dalle spinte soggettive eterogenee che in quei simboli espliciti si esprimono implicitamente – voglia di riscatto, indisponibilità ad accettare ancora – scommettendo sulla possibilità di una loro curvatura verso nuovi processi.
Alla base, verifichiamo una cosa: non esiste un “no sociale” ed un “no elettorale”. E non è interessante creare questa distinzione. Esiste una dimensione sociale del NO al referendum, profondamente spuria e che non si riduce alla sommatoria delle lotte esistenti. E’ questa dimensione quella da inchiestare, curvare, approfondire nel senso della contrapposizione. Ed il voto sarà un momento fondamentale. Altre ipotesi abbassano semplicemente l’asticella dell’ambizione. Il prima, il durante, e il dopo della piazza fiorentina stanno là a confermare quale ampio spazio di possibilità si può aprire dentro questo orrizonte, guardando soprattutto a costruire le condizioni di ingovernabilità del NO nel post referendum. Il presupposto non può che essere l’allargamento dei meccanismi di partecipazione e protagonismo che oggi, quasi naturalmente, sono antagonisti dal momento in cui hanno la capacità di innestarsi sull’insopportabilità diffusa per il presente e sulla sofferenza sociale sviluppandone una politicizzazione che lasci poco spazio a meccanismi di recupero e di rappresentanza dentro l’arco istituzionale. Il compito della manifestazione del 27 novembre sarà questo.
Insomma, qualcosa di importante in questo paese può finalmente accadere. Un processo si è avviato e non è il momento di scalare la marcia.
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