
Il TAV arriva nel cuore di Vicenza, ma la resistenza salva (per ora) il Bosco di Ca’ Alte
Articolo di cronaca in aggiornamento. Alle prime luci dell’alba (di ieri ndr), un centinaio di poliziotti in assetto antisommossa hanno circondato il Bosco di Ca’ Alte. Barricate, corpi incatenati, un attivista sospeso su un albero, idranti e ruspe in azione: nel cuore di Vicenza, il cantiere del TAV avanza, ma grazie alla resistenza di oggi la polizia si è fermata sull’argine e nessun albero è stato abbattuto.
C’è un confine, a Vicenza, dove si scontrano due visioni del futuro: da una parte l’Alta Velocità, simbolo di modernità, infrastrutture e grandi opere. Dall’altra, un bosco urbano di 14.000 metri quadri, pieno di alberi, silenzi e biodiversità. Oggi, quel confine si chiama Ca’ Alte. E sta per essere cancellato.
Nel cuore del quartiere Ferrovieri, il progetto TAV – Treno Alta Velocità/Alta Capacità ha raggiunto la sua fase più concreta e impattante: il lotto 2, che collega l’ingresso ovest della città alla stazione, prevede la cantierizzazione di un’ampia porzione del tessuto urbano. Saranno coinvolti interi quartieri – San Lazzaro e Ferrovieri in primis – e a farne le spese, insieme a edifici abitativi e aree pubbliche, saranno anche due grandi polmoni verdi della città: il Bosco Lanerossi e il Bosco di Ca’ Alte.
Quest’ultimo, per decenni, ha rappresentato uno spazio di equilibrio tra la città e la natura, tra cemento e ossigeno. Ma la sua sorte sembrerebbe segnata: sarà abbattuto per fare spazio a un cavalcavia carrabile che collegherà il quartiere Ferrovieri con viale Milano e la zona dell’autostazione SVT, scavalcando i binari. Una delle opere collaterali più invasive previste dal progetto.
Non tutti, però, hanno accettato passivamente questa trasformazione. Circa un anno fa, un gruppo di cittadine e cittadini ha dato vita a un movimento spontaneo: l’Assemblea del Bosco, oggi parte della rete più ampia dei Boschi che Resistono. Il loro obiettivo? Difendere il bosco per il suo valore ecosistemico, climatico e sociale, ma anche per il suo impatto sulla salute collettiva.
Per mesi hanno organizzato incontri, dibattiti, eventi pubblici e presìdi. Hanno vissuto nel bosco, costruito barricate, piattaforme, momenti di cultura e condivisione. Uno spazio liberato, dove si è sperimentato un altro modo di stare insieme, di prendersi cura del territorio. Ma ora tutto questo è a rischio.

La cronaca dello sgombero (in aggiornamento)
Alle prime luci dell’alba, IRICAV2 – il consorzio guidato da WeBuild incaricato della realizzazione dell’opera – ha dato ufficialmente il via alle operazioni di sgombero dell’area. Fin da subito, un imponente dispiegamento di forze dell’ordine ha circondato la zona: oltre venti mezzi e un centinaio di agenti hanno bloccato tutti gli accessi principali, presidiando via Maganza, via Ca’ Alte e viale Fusinato. L’area è stata rapidamente isolata, mentre la tensione cominciava a salire.
Nel frattempo, le attiviste e gli attivisti si sono organizzati per resistere. Alcuni si sono incatenati ai cancelli di accesso, altri si sono arrampicati sulle piattaforme sopraelevate o si sono posizionati sulle barricate costruite nei mesi precedenti. In via Maganza, all’altezza del civico 41, si è formato l’unico punto ancora accessibile all’esterno: lì è sorto un presidio spontaneo di solidarietà, animato da abitanti del quartiere, studenti, genitori, persone comuni accorse per portare supporto e testimoniare quanto stava accadendo.
Attorno alle 9:30 del mattino, le forze dell’ordine hanno iniziato a rimuovere le attiviste e gli attivisti che, fin dalle prime ore dell’alba — circa dalle 6:00 — presidiavano seduti e incatenati davanti ai cancelli di accesso all’area. Una volta completata la rimozione dei corpi a terra, è stato aperto un varco nel cancello principale che conduce al bosco, consentendo ai vigili del fuoco di iniziare le operazioni per sgomberare le piattaforme sopraelevate, dove altri attivisti si erano posizionati in segno di protesta.
Verso mezzogiorno, gli occupanti della prima delle strutture rialzate sono stati fatti scendere, uno a uno, con l’impiego di un camion dotato di braccio meccanico. In seguito, con l’ausilio di una ruspa, le forze dell’ordine sono riuscite a sfondare definitivamente il cancello di ingresso, penetrando con decisione nell’area boschiva.
Nel primo pomeriggio, attorno alle 14:00, le ultime piattaforme sopraelevate sono state abbattute sempre grazie all’intervento della ruspa. In parallelo, una trentina tra attiviste e attivisti è stata trasferita in questura. L’azione delle forze dell’ordine è proseguita con l’ingresso nell’area interna del presidio, dove le persone rimaste sono state respinte con l’utilizzo di un idrante.
Una presenza resiste ancora in solitaria: un attivista si trova a circa 15 metri di altezza, aggrappato a un vecchio cedro destinato all’abbattimento nella prima fase dei lavori di cantierizzazione.
Nonostante la potenza dell’operazione e l’imponente dispiegamento di forze, la resistenza non si è piegata. Dentro e fuori dal bosco, le voci di chi difende Ca’ Alte hanno continuato a farsi sentire, forti, ostinate, presenti. E grazie alla determinazione di chi, in varie forme, si è opposto per molte ore all’avanzata delle ruspe, la polizia si è arrestata sull’argine: per oggi, nessun albero è caduto.
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