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Como – Dopo Ventimiglia, dopo il Brennero, prosegue il razzismo istituzionale sui migranti

Da circa due settimane il nuovo hotspot della miseria e della durezza della vita per i migranti ai tempi del razzismo istituzionale e dei confini è diventata la città di Como: in particolare, il parchetto a pochi passi dalla stazione centrale San Giovanni ha preso il posto di Ventimiglia e del Brennero come luogo dove si scarica principalmente la politica dell’esclusione e del disprezzo verso chi tenta di cambiare in meglio la sua vita.
Nel parchetto alberato, ma non abbastanza dal poter riparare totalmente dal sole e dal caldo, decine di migranti, in numero variabile a seconda dei giorni e provenienti dai principali teatri di guerra (Libia,Siria) o dall’Africa Centrale (Guinea-Bissau, Eritrea, Etiopia,Somalia), stazionano e fanno base per poi cercare, in ogni modo, di passare il confine con la Svizzera.
Quel confine che è stato chiuso dalle autorità elvetiche negli scorsi giorni, obbligando i migranti a stazionare nell’ultimo territorio raggiunto dell’UE (l’Italia, e Como) e impedendogli quindi di approdare all’obiettivo finale, la Germania. I treni che arrivavano dal resto del paese alla stazione svizzera di Chiasso vengono infatti fermati per poter procedere all’identificazione e al respingimento dei migranti in suolo italiano.
Una situazione davvero difficile, fatta di droni che seguono dall’alto i migranti che ricalcano le antiche rotte dei contrabbandieri per passare il confine a piedi, fatta di controlli preventivi dentro i treni alla caccia di migranti, fatta di persone che provano ad attraversare a piedi tratti autostradali tra Italia e Svizzera, fatta di impossibilità per i migranti fermi nel parchetto a Como di poter solo pensare di avvicinarsi ai binari, fatta di bus che partono giornalmente per portare i migranti in centri d’accoglienza più a sud nel nostro paese.
Como è una città storicamente non abituata a scenari di questi tipo, dall’alto della sua decennale prosperità; per quanto la sua ricchezza di ex-impero produttivo del settore tessile sia venuta meno sin dall’emergere della concorrenza cinese nei primi anni novanta, il settore del turismo è quello che traina l’economia cittadina.
Nei giorni scorsi è stata proprio la piccola borghesia cittadina, rappresentata dalla Confesercenti locale, a scrivere una nuova pagina del libro intitolato “Non sono razzista ma..”, dando palesemente una finta solidarietà umana ai migranti e contemporaneamente ricordando che la vicenda getta una brutta luce sulla città turistica, con danni gravi se non si metterà immediatamente fine all’emergenza.
Quel mix di pietismo e razzismo sotterraneo tipicamente parte dell’identità della città, rilanciato anche da come i giornali locali stanno trattado la notizia, giornali che non raccontano delle condizioni in cui vivono e lavorano quotidanamente a Como i tanti e le tante extra-UE presenti in città.Per qualche giorno ci si può anche indignare, ma non sia mai che dove ha casa George Clooney possa manifestarsi con continuità la durezza della povertà e della miseria!
Negli scorsi giorni una delle associazioni impegnate nell’assistenza ai migranti ha dato l’allarme su un tentativo di intimidazione verso alcuni suoi volontari compiuto da alcuni giovani armati di spranghe e amanti del saluto romano; altri fatti di questo tipo non sono stati segnalati, ma questo di cui abbiamo appena parlato testimonia il metodo provocatorio degli xenofobi vari nella città lariana.
Ma esiste anche una città solidale. Ieri sera, 27 luglio, alcuni cantautori locali e tanti uomini e donne hanno inscenato una manifestazione musicale di appoggio ai migranti proprio nel parchetto della stazione, annunciando l’intenzione di mettere in scena domenica prossima un presidio a Chiasso per sottolineare il ruolo infame della Svizzera nel creare questa situazione.
Tanti cittadini hanno mostrato solidarietà portando cibo, vestiti e altri materiali ai migranti, che però sono sempre più scoraggiati dalla crescente difficoltà di riuscire nella loro impresa, che si scontra contro l’ennesima vergogna istituzionale provocata dal disprezzo e dall’odio per le vittime delle loro guerre.

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