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Le pensioni ai “garantiti” le pagano giovani e migranti

L’evolversi della scontro tra potenze internazionali sulla questione libica. La spada di Damocle della questione demografica sull’UE. Lo sfruttamento connesso all’”emergenza migranti”. Le critiche del direttore dell’Inps Tito Boeri alle politiche sulle pensioni del governo. Diversi temi, all’apparenza non coincidenti, possono permetterci di tirare le fila di tanti ambiti cruciali nell’attualità politica e indicare direzioni possibili di mobilitazione e creazione di discorso.

Le politiche governative, come detto ieri da Boeri, mostrano una questione pensionistica decisamente agita in termini di classe. Nell’ultima Legge di Stabilità ulteriori trasferimenti sono accordati a chi ha già abbastanza sotto quel punto di vista (i cosiddetti “garantiti”, con un lavoro stabile e una situazione patrimoniale solida), mentre sempre meno sono le possibilità per i giovani di avere una pensione una volta che – fatto non scontato – avranno trovato lavoro.

Quegli stessi giovani, che dovrebbero assicurare con le loro trattenute la sussistenza dei più anziani, sono invece impelagati tra voucher e stage, lavori di tre mesi e anni di disoccupazione, trovando ridicolo anche solo pensare alla parola “contributi”. Si crea un sistema squilibrato che per Boeri innescherà un meccanismo di ulteriore riduzione del Welfare per le generazioni che verranno.

Le politiche sui migranti invece sembrano sempre più andare nella direzione di un doppio binario. Da un lato, l’incarceramento e il controllo nei vari CIE, CARA, CAS, SPRAR, che rimangono al di là dei gradi  e di funzione tutti strumenti di internamento e di confinamento per chi decide di migrare. Dall’altro, l’attivismo retorico e sempre più pratico verso la messa al lavoro di chi è in attesa di asilo e quindi “deve darci qualcosa in cambio”.

In realtà i migranti danno già tanto in cambio. Per esempio, assicurano l’attenuazione e anzi l’inversione del crollo demografico, con un’Unione Europea che invecchia sempre più e rischia di veder sgretolare sotto i suoi occhi il suo modello welfaristico, a partire proprio dalle pensioni.

Qui si collega la dimensione geopolitica, che vede in Libia e in Siria non solo uno scontro tra Stati e alleanze di Stati per ottenere governi ed eserciti favorevoli agli investimenti delle proprie industrie nazionali in ambito finanziario, telecomunicativo, industriale, militare. Ma anche la possibilità di poter controllare i flussi di persone che da quei paesi migrano a causa di guerre e povertà verso i nostri lidi, stringendo accordi con i cacicchi locali.

Governando i flussi, l’idea è di riuscire a importare solamente le braccia che ci servono per mantenere stabile il piano demografico. Fare entrare nel sistema dell’accoglienza solo i migranti utili  è funzionale alla riproduzione dei privilegi delle fasce più abbienti, a garantire il consenso a politiche neo-colonialiste e assassine che vedono l’UE costruire nuovi CIE e hotspot, finanziare il pattugliamento delle coste, dare armi e soldi ai governi della sponda sud del Mediterraneo per presidiare le frontiere.

Tutto ciò consente inoltre, con il lavoro gratuito a cui i migranti devono sottostare pena l’espulsione/il rifiuto dell’asilo, di far risparmiare alle casse dello Stato quanto potrebbe andare a finanziare le prestazioni lavorative o redditi di inclusione delle fasce più impoverite del paese. Quei soldi risparmiati grazie al lavoro migrante vanno così a finanziare ulteriori trasferimenti del welfare verso i garantiti, con l’auspicio che questi vadano nelle urne a dare il proprio assenso alla loro conveniente stabilità.

E’ come al solito, una questione di priorità e risorse: come i fondi vanno a salvare MPS o a costruire la Tav ( e non , ad esempio a mettere in sicurezza scuole ed edifici in zone sismiche), così il lavoro gratuito imposto ai migranti nega reddito ai giovani e trasferisce il “risparmio” direttamente nelle tasche dei più agiati.

Sono dunque i migranti che sfruttati e obbligati a lavorare assicurano sulla loro pelle il mantenimento di politiche fiscali ineque, vero cardine della società differenziale in cui ci si vorrebbe dividere: garantiti e non garantiti. Lo sfruttamento migrante può cosi fondersi e venire nascosto e legittimato con un razzismo istituzionale sempre più radicato proprio in quelle fasce medio-alte che applaudono la proposta Minniti sui CIE, a quanto riportano alcuni sondaggi.

Dall’altra parte, leghisti e pentastellati sembrano sempre più indirizzarsi, sul tema migrazioni, a sostenere la parte della finta alternativa reazionaria, che alla bontà dei piddini che permettono al migrante di “dare un contributo” lavorando gratis contrappongono un “tutti a casa, espulsioni!” tanto impraticabile nella realtà (il sistema-paese crollerebbe), quanto funzionale a fare da stampella alle politiche PD di cui sopra. Se non se ne possono andare, insomma, quantomeno vengano sfruttati.

Entrambe le opzioni si rivolgono ad un idealtipico ceto medio in una società dove però ormai è strutturale la tensione alla polarizzazione sempre più evidente. La divisione in due (tra garantiti e non) rende ormai necessario ragionare sulle possibilità di legare nelle lotte due percorsi.

Le lotte, presenti e future, dei migranti contro il business dell’accoglienza che scambia la promessa di un pezzo di carta forse domani con un lavoro gratuito sicuramente oggi; la rabbia del precariato giovanile che tradito dalle promesse di futuro, deve necessariamente leggere politicamente un utilizzo dei migranti giocato contro di sè dai livelli alti dello stato e dell’Unione Europea.

Un’alleanza che ha possibilità di incidere solo se giocata all’interno delle periferie, dove si costruisce quotidianamente una situazione surreale, dove spesso chi non ha neanch’esso diritto a casa, quattordicesime, trasporti e sanità adeguate vede giovani e migranti come i responsabili di tutto ciò. Un proletariato che aldilà delle carte di identità è accomunato a giovani e migranti dalla stessa condizione di non-garantito nella società di oggi.

Contrastare culturalmente la guerra tra poveri, fare intravedere piani comuni, segnalare il nemico collettivo. Verso e oltre le lotte contro il permanere del renzismo e le passerelle dell’Unione Europea, per una strategia di radicamento nei territori dei movimenti che nel razzismo non possono che vedere l’arroganza del furto quotidiano di un capitalismo sempre più rapace e affamato.

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