È  questo il ruolo assegnato da Monti, l’ala sinistra Camusso Vendola da  tagliare assieme a quella destra di Maroni e forse Berlusconi. I  malumori delle correnti del PD sul rinnovo della foto  di Vasto , con il  segretario della CGIL al posto di Di Pietro, insomma il teatrino non  sarà una distorsione, ma un inevitabile effetto della scelta  compiuta.(…)
La segreteria CGIL ha convocato la conferenza,  anticipandone la data rispetto a quella prevista, proprio per avere la  presenza esclusiva dei leaders del centrosinistra. Un ruolo centrale  nella conferenza è riservato a Giuliano Amato, sì proprio il pensionato  di platino riserva della presidenza della repubblica,  autore nel 92 di  un disastroso accordo sindacale che Trentin definì come un agguato prima  di firmarlo e dimettersi.
La conferenza nasce  dunque così, come il lancio nel mondo del lavoro della campagna  elettorale di Bersani e Vendola  e di quella presidenziale di Amato.
Il  Piano del Lavoro, che richiama nel titolo quello rivendicato negli anni  50  dalla CGIL di Di Vittorio, con quel piano c’entra ben poco.
La  proposta è  costruita  tenendo ben conto del programma elettorale di  Italia Bene Comune e delle sue compatibilità. I patti europei, che sono  alla base delle disastrose politiche di austerità e che  il PD conferma,  vengono accettati. La proposta per il lavoro si basa su misure fiscali e  interventi pubblici nell’abito delle compatibilità date. Siamo dunque  di fronte a una sorta di grande emendamento alle politiche di rigore del  governo Monti e della Unione Europea, che comunque vengono accettate  nei loro principi di fondo.
Non può che essere  così se si vuol far parte di uno schieramento politico: se ne accettano i  capisaldi e si lavora nel territorio da essi delimitato per allargare  lo spazio per i propri interessi. La segreteria della CGIL non chiede la  cancellazione per nessuna delle controriforme del lavoro e delle  pensioni di questi anni, solo qualche correzione e misure aggiuntive che  però partono dalla accettazione di quanto sanzionato.
Anche  la CISL fa la stessa cosa con Monti e la sua agenda, che in alcuni suoi  punti è indigesta persino  per gli stomaci di ferro dei dirigenti di  quella organizzazione : si sostiene lo schieramento elettorale e si  prova a condizionarlo dall’interno.
La domanda  ingenua da porsi è dunque: come mai i gruppi dirigenti dei due  principali sindacati italiani salgono in politica proprio nel momento di  massima caduta del consenso dei cittadini verso di essa? Perché non  contano più sulla forza e il valore dell’agire sociale, perché non  spendono il proprio residuo consenso, non alto ma superiore a quello dei  partiti, nel far pesare per via indipendente il lavoro massacrato dalla  crisi?
Perché le sconfitte del lavoro di fronte alla crisi hanno prodotto nei gruppi dirigenti sindacali la paura di perdere tutto.
Il  disastroso accordo del 92 che abbiamo ricordato segnò per il sindacato  confederale l’avvio della stagione della concertazione. Durante essa il  confronto di vertice tra governo e parti sociali amministrò le politiche  liberiste sul lavoro e sullo stato sociale. Il risultato fu che i  lavoratori peggioravano progressivamente le loro condizioni, ma il  sindacato che amministrava questa ritirata acquisiva funzioni e potere.
Con  la crisi economica questo sistema è  saltato e il sindacato confederale   ha visto arretrare progressivamente la propria posizione di potere,  assieme al nuovo peggioramento delle condizioni dei propri  rappresentati.
La Cisl ha pensato di reagire  con l’aziendalismo. Ma nel chiuso della sua stanzetta anche Bonanni non  può fare a meno  di riconoscere che in Fiat la sua organizzazione conta  meno dell’ultimo caporeparto.
La CGIL ha  cercato disperatamente di riconquistare un tavolo vero di concertazione e  su questo si è mobilitata. Ma non ci è riuscita e l’ultimo dei governi  tecnici, a differenza dei predecessori Dini e Ciampi, si è dato merito  di aver soppresso la concertazione.
Alla base  del neo collateralismo  dei gruppi dirigenti della CGIL e della CISL sta  dunque la sconfitta nelle proprie strategie. E con essa la paura di  perdere tutto, di diventare completamente marginali.
Certo  si potrebbe partire da questa situazione per rinnovare completamente  l’azione sindacale, riorganizzassi attorno alla sofferenza delle persone  in carne de ossa, riconquistare e comunicare voglia di conflitto,  cambiare strategia e pratica dopo più di venti anni di accettazione del  liberismo e delle compatibilità. Ma questo non è nella natura di gruppi  dirigenti e di una struttura di apparati che è stata così educata  secondo un modello sindacale istituzionale e concertativo, da non saper  che fare in un diverso contesto.
Nell’attuale  collateralismo di CGIL e CISL c’è dunque uno spirito rassegnato e  triste, rappresentato da un concetto più volte chiaramente espresso: con  l’azione sindacale non ce la facciamo più, abbiamo bisogno di partiti e  governi amici.
Chi non si rassegna al  declino  sindacale deve dunque seguire una via completamente diversa da quella  indicata da questa triste conferenza. Per quel che ci riguarda  cominciamo il primo a febbraio a Milano ad organizzare l’opposizione  CGIL, convinti che l’indipendenza del sindacato dai padroni dai governi e  dai partiti sia oggi necessaria e vitale come non mai.
Giorgio Cremaschi