
Alcune considerazioni dei compagni/e del SI Cobas F.P. sul referendum del 8 e 9 giugno
Raccogliamo volentieri l’invito del SI Cobas a dare diffusione al loro punto di vista sul referendum dell’8-9 giugno. Condividiamo con loro la postura di individuare in questa tornata referendaria un momento per dare voce e forza alle lotte sui posti di lavoro.
Siamo consapevoli che questo referendum rischia di produrre ulteriore sfiducia e disillusione, trasformandosi in un boomerang per le possibilità di lotta ed in un favore al governo Meloni. Con pragmatismo abbiamo espresso le nostre considerazioni critiche sul referendum, ma cogliamo tutti i profili problematici dell’appuntamento, a partire da un’assenza di reale discussione su questi temi all’interno dei posti di lavoro, fino al tentativo di convogliare quegli accenni di conflittualità che stanno emergendo nel contesto operaio verso le urne piuttosto che in un percorso verso lo sciopero generale.
Al netto di questo pensiamo che un’eventuale (ed ad oggi purtroppo probabile) sconfitta dei quesiti trascenda la compagine del sindacalismo istituzionale e si riversi sulle vite di tutti e tutte. In certi casi non è tanto una questione di vincere o perdere, ma è importante anche COME si perde. Questa, ci sembra una di quelle volte.
Di seguito il comunicato del SI Cobas.
L’indizione dei referendum del 8 e 9 giugno su alcune norme del jobs act e sui requisiti per l’accesso alla cittadinanza ci impongono di prendere posizione rispetto a questa scadenza.
Riteniamo innanzitutto doveroso ribadire la nostra ferma opposizione alle norme sul jobs act, (la reintroduzione delle garanzie fornite dall’art. 18 ecc.) che con la lotta siamo riusciti a difendere nei luoghi di lavoro dove siamo presenti, e che è importante per invertire il processo di arretramento dei diritti dei lavoratori/trici. Quindi riteniamo pericoloso il ricorso allo strumento del referendum su queste materie perché non è corretto che decisioni che riguardano il mondo del lavoro vengano demandate a tutta la cittadinanza e non solo ai lavoratori/trici.
Il tutto poi avviene in un periodo in cui, fatti salvi alcuni settori come la logistica, non vi sono lotte nei posti di lavoro e, come sappiamo, i diritti si conquistano con le lotte e non con le raccolte di firme soprattutto se queste avvengono da parte di un sindacato, come la CGIL, che da anni ha accettato la logica della concertazione firmando contratti al ribasso che hanno impoverito e indebolito l’intera classe lavoratrice.
Lo strumento referendario rischia di essere disatteso se non è sostenuto da una forte mobilitazione reale da parte di lavoratori e lavoratrici. Lo strumento referendario ha poi mostrato già in questi anni tutti i suoi limiti in quanto, anche quando i quesiti hanno riguardato temi di interesse generale (vedi il referendum sull’acqua pubblica o quello sul nucleare) e sono stati molto partecipati, le decisioni assunte dalla cittadinanza sono state poi disattese nel corso degli anni successivi dimostrando che solo una mobilitazione forte e costante può incidere sulle scelge politiche dei vari governi.
Di contro una mancata partecipazione ai referendum o una sconfitta, può avere l’effetto di un boomerang dando mano libera a un governo che, forte del consenso popolare o dell’indifferenza di molti, sta smantellando gli ultimi diritti rimasti nel mondo del lavoro.
Per tutti questi motivi riteniamo che l’opposizione al jobs act, per cui ci siamo battuti in questi anni (tanto che nella logistica alcune norme dello stesso sono state superate dai contratti firmati dal SI.COBAS) può essere vincente solo se parte dalle lotte nei posti di lavoro.
Per evitare quindi che i referendum, sia che perdano sia che vincano, si trasformino in un ulteriore elemento depressivo della volontà di lotta della classe lavoratrice, sfruttiamo la discussione sui contenuti del referendum per sollecitare una mobilitazione più concreta e incisiva da parte dei lavoratori al fine di tornare a una fase di riconquista di condizioni di vita e di lavoro migliori da parte della nostra classe.
Per quanto riguarda il discorso della riduzione dei tempi per l’acquisizione della cittadinanza da parte degli stranieri/e, pur ravvisando il rischio di un effetto boomerang in caso di mancato raggiungimento del quorum o di vittoria del NO, il quesito ha il merito di sollevare il problema delle condizioni di ricatto in cui sono costretti a vivere e a lavorare tanti immigrati/e, spesso costretti ad accettare condizioni di lavoro al ribasso sotto il ricatto di perdere il permesso di soggiorno.
Oggi interi settori del mondo del lavoro si reggono sulle spalle dei lavoratori/trici stranieri/e, difendere i loro diritti significa difendere i diritti di tutti nel mondo del lavoro.
Anche qui, come nel caso delle norme sul jobs act, è solo una forte campagna di sensibilizzazione e il sostegno alle lotte dei lavoratori/trici immigrati/e che può smascherare la narrazione del migrante che delinque o toglie il lavoro agli italiani e far riappropriare tutti i lavoratori/trici, italiani e stranieri, dei loro diritti. Sulla questione, ribadendo e riconoscendo che la nostra è una società divisa in classi.
S.I COBAS F.P
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