
Al mio popolo
Lo scorso 25 settembre è deceduta a Cuba Assata Shakur, importante membro delle Pantere Nere prima, della Black Liberation Army poi. La ricordiamo con un testo già pubblicato in Black Fire. Storia e teoria del proletariato nero negli Stati Uniti (DeriveApprodi, 2020; a cura di Anna Curcio), la trascrizione di un messaggio registrato mentre era in carcere
di Assata Shakur, da Machina
Fratelli neri, sorelle nere, voglio che sappiate che vi amo e spero che da qualche parte nei vostri cuori abbiate amore per me. Mi chiamo Assata Shakur (nome da schiava Joanne Chesimard), e sono una rivoluzionaria. Una rivoluzionaria nera. Con questo voglio dire che ho dichiarato guerra a tutte le forze che hanno violentato le nostre donne, castrato i nostri uomini e tenuto i nostri bambini a pancia vuota. Ho dichiarato guerra ai ricchi che prosperano sulla nostra povertà, ai politici che ci mentono con facce sorridenti, e a tutti i robot senza cervello e senza cuore che proteggono loro e le loro proprietà.
Sono una rivoluzionaria nera e, come tale, sono vittima di tutta l’ira, l’odio e la calunnia di cui l’America è capace.
Come tutti gli altri rivoluzionari neri, l’America sta cercando di linciarmi. Sono una rivoluzionaria nera, e per questo sono stata accusata e di ogni presunto crimine a cui si ritiene abbia partecipato una donna.
Nei crimini presunti in cui si riteneva fossero coinvolti solo uomini, mi hanno accusato di averli pianificati. Hanno appeso delle mie presunte foto negli uffici postali, negli aeroporti, negli alberghi, nelle auto della polizia, nelle metropolitane, nelle banche, in televisione e nei giornali. Hanno offerto più di cinquantamila dollari di ricompensa per la mia cattura e hanno dato l’ordine di sparare a vista, di sparare per uccidere. Sono una rivoluzionaria nera e, per definizione, questo mi rende parte del Black Liberation Army. I maiali hanno usato i loro giornali e le loro Tv per dipingere il Black Liberation Army come feroci criminali, imbestialiti e folli. Ci hanno chiamato gangster e pistoleri e ci hanno paragonato a personaggi come John Dillinger e Ma Barker. Ma deve essere chiaro a chiunque sia in grado di pensare, vedere o sentire che noi siamo le vittime. Le vittime e non i criminali. Dovrebbe essere chiaro anche a noi, ormai, chi sono i veri criminali. Nixon e i suoi partner criminali hanno ucciso centinaia di fratelli e sorelle del Terzo Mondo in Vietnam, Cambogia, Mozambico, Angola e Sudafrica. Come ha dimostrato il Watergate, le massime autorità di polizia di questo Paese sono un gruppo di bugiardi criminali. Il presidente, due procuratori generali, il capo dell’Fbi, il capo della Cia e metà dello staff della Casa Bianca sono stati coinvolti nei crimini del Watergate. Ci chiamano assassini, ma non abbiamo ucciso gli oltre duecentocinquanta uomini, donne e bambini neri disarmati, né ne abbiamo feriti migliaia di altri nei disordini provocati negli anni Sessanta. I governanti di questo Paese hanno sempre considerato le loro proprietà più importanti delle nostre vite. Ci chiamano assassini, ma non siamo responsabili dei ventotto fratelli detenuti e dei nove ostaggi uccisi ad Attica. Ci chiamano assassini, ma non abbiamo ucciso e ferito i trenta studenti neri disarmati dello Stato di Jackson o dello Stato del Sud. Ci chiamano assassini, ma non abbiamo ucciso Martin Luther King, Emmett Till, Medgar Evers, Malcolm X, George Jackson, Nat Turner, James Chaney e innumerevoli altri. Non abbiamo assassinato la sedicenne Rita Lloyd sparandole alla schiena, l’undicenne Rickie Bodden o Clifford Glover che di anni ne aveva dieci. Ci chiamano assassini, ma non siamo noi a controllare un sistema razzista e di oppressione che uccide sistematicamente i neri e le persone del Terzo Mondo. Anche se si suppone che i neri costituiscano circa il 15 percento del totale degli amerikkkan, almeno il 60 percento delle vittime di omicidi sono neri. Per ogni maiale ucciso nel cosiddetto esercizio delle sue funzione, ci sono almeno cinquanta neri uccisi dalla polizia. L’aspettativa di vita dei neri è molto più bassa di quella dei bianchi e fanno del loro meglio per ucciderci prima ancora che nasciamo. Siamo bruciati vivi in una trappola da fuoco. I nostri fratelli e le nostre sorelle vanno in overdose ogni giorno per eroina e metadone. I nostri bambini muoiono per avvelenamento da piombo. Milioni di neri sono morti a causa di cure mediche indecenti. Questo è omicidio. Ma hanno il coraggio di chiamarci assassini. Ci chiamano rapitori, eppure Fratello Clark Squires (che è accusato, insieme a me, di aver ucciso un poliziotto del New Jersey) è stato rapito nell’aprile del 1969 dalla nostra comunità nera e tenuto in ostaggio per un riscatto di un milione di dollari nel caso del complotto del Panther 21 di New York. Fu assolto il 13 maggio 1971, insieme a tutti gli altri, per 156 capi d’accusa di cospirazione da una giuria che impiegò meno di due ore per deliberare. Fratello Squires era innocente. Eppure fu rapito dalla sua comunità e dalla sua famiglia. Gli furono rubati più di due anni della sua vita, ma chiamano noi rapitori. Noi non abbiamo rapito le migliaia di Fratelli e Sorelle tenuti prigionieri nei campi di concentramento americani. Il 90 percento della popolazione carceraria di questo Paese è costituita da neri e persone del Terzo Mondo che non possono permettersi né la cauzione né gli avvocati. Ci chiamano ladri e banditi. Dicono che rubiamo. Ma non siamo stati noi a rubare milioni di neri nel continente africano. Siamo stati derubati della nostra lingua, dei nostri Dei, della nostra cultura, della nostra dignità umana, del nostro lavoro e della nostra vita. Ci chiamano ladri, eppure non siamo stati noi a derubare la nostra lingua, la nostra cultura, la nostra dignità umana, il nostro lavoro e la nostra vita.
Ci chiamano ladri eppure non siamo noi che ogni anno freghiamo miliardi di dollari attraverso evasioni fiscali, fissazione illegale dei prezzi, appropriazioni indebite, frodi a danno dei consumatori, tangenti, mazzette e truffe. Ci chiamano banditi, eppure veniamo derubati ogni volta che la maggior parte di noi prende la sua busta paga. Veniamo rapinati ogni volta che entriamo in un negozio del nostro quartiere. E ogni volta che paghiamo l’affitto il padrone di casa ci infila una pistola nelle costole.
Ci chiamano ladri, ma non abbiamo noi derubato e ucciso milioni di indiani saccheggiando la loro patria, per poi chiamarci pionieri. Ci chiamano banditi, ma non siamo noi a derubare l’Africa, l’Asia e l’America Latina delle loro risorse naturali e della loro libertà, mentre la gente che vive lì è malata e muore di fame. I governanti di questo Paese e i loro tirapiedi hanno commesso alcuni dei crimini più brutali e feroci della storia. Sono loro i banditi. Sono loro gli assassini. E dovrebbero essere trattati come tali. Questi maniaci non sono adatti a giudicare me, Clark, o qualsiasi altra persona di colore sotto processo in America. Noi neri dovremo e, inevitabilmente, dobbiamo determinare i nostri destini.
Ogni rivoluzione nella storia è stata compiuta con le azioni, anche se le parole sono necessarie. Dobbiamo creare scudi che ci proteggano e lance che penetrino i nostri nemici. I neri devono imparare a lottare lottando. Dobbiamo imparare dai nostri errori.
Voglio scusarmi con voi, miei fratelli e sorelle neri, per essere passati dall’autostrada del New Jersey. Avrei dovuto saperlo. L’autostrada è un posto di blocco dove i neri vengono fermati, perquisiti, molestati e aggrediti. I rivoluzionari non devono mai avere troppa fretta o prendere decisioni avventate. Chi corre quando il sole dorme inciampa molte volte.
Ogni volta che un combattente per la libertà nera viene assassinato o catturato, i maiali cercano di dare l’impressione di aver fermato il movimento, distrutto le nostre forze e messo a tacere la rivoluzione nera. I maiali cercano anche di dare l’impressione che cinque o dieci guerriglieri siano responsabili di ogni azione rivoluzionaria compiuta in America. Questa è una sciocchezza. È assurdo. I rivoluzionari neri non cadono dalla luna. Siamo creati dalle nostre condizioni. Formati dalla nostra oppressione. Ci fabbricano a frotte nelle strade del ghetto, in posti come Attica, San Quentin, Bedford Hills, Leavenworth, e Sing Sing. Molti veterani neri senza lavoro e madri assistite dai programmi di welfare [welfare mother] si stanno unendo ai nostri ranghi. Fratelli e sorelle di tutti i ceti sociali, stanchi di soffrire passivamente, stanno facendo il Black Liberation Army.
Finché ogni uomo, donna e bambino nero non sarà libero, c’è, e ci sarà sempre, un Esercito di liberazione nero.
La funzione principale del Black Liberation Army in questo momento è di creare buoni esempi, di lottare per la libertà dei neri e prepararsi per il futuro. Dobbiamo difenderci e non lasciare che qualcuno ci manchi di rispetto. Dobbiamo ottenere la nostra liberazione con ogni mezzo necessario.
È nostro dovere combattere per la nostra libertà.
È nostro dovere vincere.
Dobbiamo amarci e sostenerci a vicenda.
Non abbiamo niente da perdere se non le nostre catene.
Assata Shakur (1947-2025) è stata una militante delle Pantere Nere e della Black Liberation Army.
Nel 1973 venne accusata dell’omicidio di Werner Foerster, un agente della polizia del New Jersey, nonostante le prove della balistica suggerissero che non fosse stata lei a sparare i colpi d’arma da fuoco. Nel 1979 la stessa Shakur riuscì a fuggire dal carcere femminile di Clinton (New Jersey) aiutata da tre militanti della BLA, riuscendo a raggiungere Cuba nel 1980. Ha scritto Assata: an autobiography.
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