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Como, in piazza per ricordare il tentato omicidio poliziesco di Rumesh

 

 

 

Di seguito il comunicato di R_Esistenza Collettiva che lanciava il presidio di ieri 29 marzo:

Como, Via Briantea -⁠⁠ 29 Marzo 2016

Esattamente dieci anni fa in questo luogo un ragazzo di 18 anni, Rumesh, veniva irrimediabilmente ferito. La sua colpa è stata quella di non essersi fermato all’alt intimato da una pattuglia della Polizia Locale, probabilmente spaventato dalle possibili ripercussioni che la violazione del codice della strada gli avrebbe portato, in quanto in possesso del solo foglio rosa. Sopraggiunti nei pressi di questo semaforo, rosso, la pattuglia riesce a bloccare la vettura su cui viaggiavano Rumesh e i suoi amici. Mentre uno dei due poliziotti si occupa dei 4 passeggeri, l’altro blocca Rumesh: entrambi con le pistole puntate. Mentre trascina Rumesh verso il bordo della strada il sopracitato uomo in divisa, Marco Dianati, sostiene di essere inciampato nel marciapiede: ma la cosa che sappiamo per certo è che dalla sua pistola, con il colpo in canna e la sicura non inserita, è partito un proiettile che ha trapassato la testa di Rumesh. La pattuglia che intimò l’alt era in borghese e i due poliziotti a bordo appartenevano al cosiddetto “Nucleo di sicurezza”, premiato dalla Regione Lombardia nel 2005 nella “giornata della gratitudine”. Il Nucleo, voluto dall’allora sindaco Stefano Bruni e dall’assessore alla sicurezza Francesco Scopelliti, venne formato per mettere in pratica la cosiddetta “Tolleranza zero”, ed era incaricato di arginare problematiche definite di “microcriminalità” ed in particolar modo il fenomeno del writing. Ecco, Rumesh NON era un writer. È stato così definito svariate volte, ed è ora il caso di chiarirlo. Questo ha fatto arrabbiare e fa arrabbiare ancora oggi dopo dieci anni. E’ impensabile che un ragazzo di diciotto anni abbia dovuto pagare con la sua salute la follia di una giunta comunale che decise di perseguire ragazzi con la voglia di dipingere muri con l’accusa di “associazione per delinquere”, che legittimava così i metodi di indagine usati: retate, intercettazioni telefoniche, pedinamenti, perquisizioni, appostamenti notturni. Il sindaco Bruni sì dichiarò prontamente dalla parte dell’agente, definendo l’accaduto “un tragico errore”. L’agente che sparò, Marco Dianati, patteggiò nel 2007 una condanna per “lesioni COLPOSE gravissime” di 2 mesi di reclusione, che vennero poi sospesi. La famiglia venne risarcita economicamente, e troviamo squallidi i tanti che hanno avuto il coraggio di indignarsi per questo. Nessun politico pagò per l’accaduto. Un evento che si avvicina tragicamente a molti altri abusi di potere e che rimanda alla mente altre vittime dello Stato, le quali purtroppo non ce l’hanno fatta, come Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e molti altri. Come in quasi tutti questi, ed altri, casi gli esecutori materiali se la cavarono con nulla. Nel 2013 il consigliere comunale Sergio Gaddi ripropose la formazione del Nucleo con queste parole “Il nucleo anti-writers deve tornare in azione con altri uomini ben addestrati per impedire che la città sia ostaggio di quattro ragazzini annoiati”. Questo intento, per fortuna non perseguito, resta comunque un chiaro sintomo di come questa città sia ancora nell’ottica della tanto amata “Tolleranza zero”. Una città che vuole preservare la sua immagine di perfezione, cercando goffamente di camuffare i continui sperperi: i 15 milioni già spesi e gli altri 15 preventivati per essere ancora senza lungolago, quella parte dei 700 mila euro utilizzati per rimuovere i pochi metri quadrati di verde ancora presenti in centro storico in piazza Volta, probabilmente per dare più spazio ai clienti dei bar, per non parlare del deserto della Ticosa e di tutti gli stabili abbandonati a loro stessi a marcire su tutto il territorio. Siamo stanchi di una città piena di telecamere che maschera dietro una finta sicurezza la voglia di controllarci in ogni istante, ad ogni angolo. Siamo stanchi di una città che promuove gruppi di persone che la domenica mattina girano per imbiancare malamente i muri della città, lasciando macchie di colore diverso rispetto ai muri che millantano di pulire. Stanchi della stupidità di queste persone che non si rendono conto che, da quando hanno iniziato il loro operato, sui muri della città troviamo campeggiare unicamente scritte di sfregio e insulti verso di loro che vogliono uccidere l’arte. Nessuno disegna più, nessuno è più disposto a spendere soldi per dei colori per creare qualcosa di artisticamente valido per vederlo poi sparire sotto maldestre mani di pittura della Como Pulita. Bisogna essere in grado di distinguere fra uno scarabocchio e un pezzo artisticamente valido. Siamo stanchi di vedere armi alla cintola. Siamo stanchi di scendere dal treno, camminare per strada e vedere quanta gente non abbia un tetto sopra la testa e quanto le istituzioni non siano in grado di arginare questa situazione. Siamo stanchi di una città dove il razzismo dilaga in silenzio, dove chi arriva disperato da un altro stato viene guardato ancora male, nel 2016, quando si sostiene tanto di vivere in una società evoluta. Siamo stanchi di una città dove noi giovani non abbiamo un luogo di aggregazione gratuito, ma siamo costretti a ritrovarci nei bar ad alimentare un sistema che non ci appartiene. Siamo stanchi di vedere attorno a noi una città disinteressata, che non batte ciglio, che non si ribella.

È ora di dire BASTA.

R_Esistenza Collettiva

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