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Putin: un politico professionale

Da Machina, Intervista a Rita di Leo

A distanza di tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina, ultimo atto di un lungo conflitto tra due paesi e tra due imperi, riprendiamo un’intervista inedita di qualche mese fa alla studiosa Rita di Leo, sulla biografia politica di Vladimir Vladimirovič Putin.

In un momento in cui i negoziati tra Usa e Russia sono in stallo, è piuttosto importante capire la provenienza politica di uno dei principali attori di questa situazione. Per questo abbiamo chiesto a Rita Di Leo, professoressa di Relazioni internazionali e illustre sovietologa, un commento sulla carriera di un uomo così determinante per gli attuali equilibri mondiali.

Putin ha difatti attraversato l’epoca sovietica, la sua dissoluzione e lo smembramento della Russia, è riuscito a scampare all’emarginazione subita da molti suoi ex colleghi dell’apparato ed è soprattutto stato capace di farsi strada nella torbida epoca di Boris Eltsin, cancellando, una volta arrivato al potere, la sua eredità e reimpostando la Russia come potenza capitalista, moderna e autoritaria. Oggi Putin viene definito, in maniera sempre più superficiale, come «politico sovietico», «filo-comunista» o «semplice nazista». La realtà, come sempre, è ben più complessa. Putin, per Rita Di Leo, è un moderno politico professionale, à la Max Weber, tipologia molto rara nella contemporaneità, nell’epoca dei tycoon e degli uomini d’affari. Radicata idea nazionalista, profonda avversità verso il leninismo, ma anche specifica formazione tardo-sovietica: il Presidente russo ha una natura molto diversa dallo showman Zelenskj o dal businessman Trump. Il suo modo di intendere culturalmente lo Stato e la politica, in Europa è stato sconfitto dalla ristrutturazione neoliberista.

Leggere la sua biografia ci aiuta a comprenderne i suoi fini politici, le sfide politiche che lancia all’Occidente e a ragionare sugli anni Zero e su oggi. (A.R.)

***

Hai affrontato spesso il suo passato come una questione determinante per capire le scelte politiche del Putin attuale. Anche nel tuo ultimo libro (L’età dei torbidi. Il ritorno delle trincee tra Stati Uniti, Europa e Russia, DeriveApprodi 2023) fai riferimento al suo legame con personaggi come Yuri Andropov, prima capo del Kgb e poi segretario generale del Pcus.

Putin è ancora oggi un uomo dell’apparato sovietico?

 

Putin ha scelto di far parte del KGB perché il Comitato per la Sicurezza dello Stato non era in crisi di credibilità come il partito. Inoltre, questo gli permetteva di uscire dal paese e vedere il resto del mondo – mi permetto inoltre di ricordare che Bush senior è stato capo della CIA e presidente degli Stati Uniti, proprio come Yuri Andropov, oltre che magister della prima guerra del Golfo, quindi la commistione tra politica e intelligence non è un’esclusiva russa.

Putin, uomo del KGB a Dresda per sette anni con una certa padronanza del tedesco e con una moglie già insegnante di inglese e francese, ha avuto la possibilità di mettere a confronto l’universo sovietico e il corrispettivo non-sovietico.

 Il Putin di oggi si è convinto di avere un’alternativa ad ambedue gli universi, che critica con pari asprezza.

 

Il periodo a cavallo tra anni Ottanta e Novanta vede la decadenza del partito che era stato prima di Lenin e poi di Stalin, la dissoluzione dell’esperimento sovietico, e la fine quindi dell’URSS.

Come è riuscito Putin ad evitare l’emarginazione toccata a tanti altri uomini del passato sovietico?

 

Dopo il 1989 Putin è entrato in politica quasi immediatamente, entrando nel cerchio creato dal giurista Anatoly Sobciak, il quale divenne sindaco di Pietroburgo ed ebbe poi una controversa carriera politica, tipica dell’epoca. Putin gli rimase fedele, imparò molto dal suo mentore, e lo aiutò a districarsi nel primissimo ambiente politico post-sovietico. Il suo distacco dall’esperimento sovietico si consolida nelle traversie del decennio che vive non da protagonista. Nel caos del periodo assistette alla privatizzazione dell’economia e della politica e, in contemporanea, al lievitare di un rapporto non più alla pari con gli Usa. All’epoca economisti, uomini d’affari, semplici studiosi americani ed europei erano presenti sul suolo russo con l’intenzione di «vendere l’ “American way of life”» mentre intessevano relazioni «opache» con il governo di Eltsin.

In occasione delle elezioni del 1996 quando la riconferma del presidente Eltsin risultò a rischio rispetto al candidato avversario, intervenne il FMI con un finanziamento risolutore. Eltsin è stato capace di far sparare sul parlamento dove s’erano raccolti i deputati «democratici», e di scegliere come suo successore Putin, un politico minore, non di Mosca, aspettandosi che egli non avrebbe causato problemi a sé e ai suoi clientes.

 

Putin prima è diventato primo ministro e poi nel 2000 Presidente della Federazione Russa, e ha dato subito prova di essere un leader autonomo dai clientes e dalla nomenklatura economica, nonostante sia arrivato in quella posizione grazie a Eltsin, impostando una propria politica interna.

 

In politica interna si è imposto con la forza sulla gran forza che l’élite economica aveva acquistato con la privatizzazione degli enormi asset industriali statali. Ha fatto nascere una struttura finanziaria di controllo. Con l’uso della forza si è imposto sull’élite economica, creando divisioni tra coloro che accettavano limiti e regole e coloro che rifiutandole dovevano scegliere se essere incriminati e andare in galera oppure espatriare. Ha dato certezza al pagamento delle pensioni, delle retribuzioni, rimaste per dieci anni in balia di un’economia nelle mani di coloro che la gestivano senza regole. Con l’uso rilegittimato della religione ha rotto con la laicità sovietica, ricavandone vantaggi poiché i preti ortodossi possono essere utili per un controllo capillare del consenso popolare.

   

Come definiresti questo nuovo tipo di leadership mostrata da Vladimir Putin all’inizio del nuovo millennio? Si può dire che abbia reimpostato con la forza un nuovo spazio politico sopra l’economia?

 

Per Putin essere russo significa essere forte e con una antropologia culturale che si deve confrontare alla pari con quella di altri popoli forti. Dal 1999 al 2007 ha cercato di far dimenticare l’acquiescenza di Eltsin e di fare accettare la Russia come stato-nazione da rispettare nella sua peculiare identità da chi si considerava vincitore della guerra fredda, da chi stava esercitando una illimitata egemonia nelle organizzazioni internazionali. I suoi tentativi di rilegittimare un ruolo per la Russia si sono scontrati con politiche che lo negavano, in primo luogo favorendo l’allargamento della Nato e l’ingresso nell’Unione Europea dei paesi dell’ex Patto di Varsavia, un vero e proprio smacco per Putin. Il quale ha retto perché aveva una sua base politica, costituita dal cerchio di Sobciak, dai suoi sostenitori nell’ex KGB e dal consenso del paese, grato sia per la quiete dopo anni di caos interno e sia per le iniziative di politica estera. Quando a Monaco nel 2007 Putin pronunciò il famoso discorso contro il monopolitismo del potere nelle relazioni internazionali, rese orgoglioso il russo, e si inimicò il resto del mondo (o quasi).

Dal 2007 i contrasti da guerra fredda hanno avuto un crescendo con modalità, da ambedue i ritrovati avversari, ripetitive rispetto ad un passato che si era immaginato superato.    

 

Le sue capacità di politico professionale contemporaneo e il suo orientamento ottocentesco di ricostruzione di un grande Stato-nazione, ne fanno una personalità piuttosto contraddittoria. Cosa ne pensi?

 

La contraddizione è emersa – nella sua tragicità – con la decisione di reagire con la guerra a Kiev – all’attacco concentrico degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dell’Inghilterra nei confronti della Russia, ritenuta tornata «URSS». Nei venti anni del XXI secolo, il Cremlino si è sentito accerchiato ai suoi confini da «covert actions» di antichi nemici e di riemersi avversari, ed ha reagito.

Una reazione che al politico professionale conveniva evitare con iniziative da politico esperto dell’universo avversario, e invece ha fatto con Kiev come americani e inglesi fecero con Dresda, quando la rasero al suolo per castigare la Germania a guerra ormai vinta. La sola differenza è che Putin sta bombardando le industrie e le infrastrutture, create dai tre ucraini, segretari generali del PCUS, dagli anni sessanta agli anni ottanta, così  fieri di aver reso la loro terra d’origine, una delle Repubbliche più ricche dell’Urss. Nel sentire collettivo del paese Russia «con l’operazione speciale» si sta reagendo ad un duplice tradimento da parte dell’Ucraina, sia per aver scelto il campo avversario, e sia per voler ignorare che – dalla più grande fabbrica, diga, ponte sino alle più piccole scuole rurali – è stato il Cremlino ha deciderne la costruzione. Distruggere dopo aver costruito appare una reazione quasi provocata dal «tradimento». Se l’opinione pubblica russa ne è convinta, per Putin come politico professionale del secolo XXI, il suo isolamento nelle relazioni internazionali è un nodo da sciogliere.       

***

Rita di Leo è professore emerito di Relazioni Internazionali, Università Sapienza di Roma. Protagonista della stagione dell’operaismo italiano, ha contribuito alla nascita dei «Quaderni rossi» e di «classe operaia». Ha investito il suo lavoro intellettuale da un lato sull’operaismo sovietico e sulle cause del suo fallimento, dall’altro sull’apparente vittoria degli Stati Uniti e del capitalismo occidentale. Tra i suoi numerosi libri segnaliamo Lo strappo atlantico. America contro Europa (2004), L’esperimento profano. Dal capitalismo al socialismo e viceversa (2012), Cento anni dopo. Da Lenin a Zuckerberg (2017), L’età della moneta. I suoi uomini, il suo spazio, il suo tempo (2018). Per DeriveApprodi ha pubblicato: L’età dei torbidi. Il ritorno delle trincee tra Stati Uniti, Europa e Russia (2023).

Andrea Rinaldi si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Bologna con una tesi sul pensiero di Mario Tronti nei «Quaderni rossi» e in «classe operaia». Per DeriveApprodi ha pubblicato Che fare con Lenin? Lezioni sull’attualità della rivoluzione (DeriveApprodi, 2024).

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