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Libertà vigilata

Ci sono cose che si ripetono con allarmante frequenza. Ancora non si era spenta l’eco della censura ministeriale nei confronti del corso di formazione “La scuola non si arruola”, che un episodio rivelatore della stessa cultura si è verificato a Torino.

di Livio Pepino, da Volere la Luna

Il fatto è semplice. L’Anppia, Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, organizza, insieme al Polo del ‘900 (luogo simbolo della Resistenza torinese, fondato dal Comune e dalla Regione Piemonte e a cui fanno capo 26 enti culturali cittadini), una conferenza dello storico Angelo D’Orsi (professore emerito nell’Università torinesedal titolo Russofobia, russofilia, verità. Durante la conferenza è previsto un intervento, in collegamento dal Donbass, del giornalista Vincenzo Lorusso, dell’agenzia di stampa russa International Reporters, autore del libro De Russophobia. La conferenza è fissata il giorno 12 novembre, ma il suo annuncio provoca le vibrate proteste della vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno (del Partito democratico), del leader di Azione Carlo Calenda e dei radicali che intimano al sindaco Stefano Lo Russo di impedire lo svolgimento dell’iniziativa in quanto “filorussa”. Proteste e pressioni inducono gli organizzatori ad annullare la conferenza e di ciò l’on. Picierno ringrazia pubblicamente il sindaco di Torino. L’annullamento è il più classico degli autogol: l’iniziativa si terrà comunque nella stessa data in un circolo Arci, ad essa parteciperanno anche altri oratori (Alessandro Di Battista e Moni Ovadia) e il clamore suscitato determinerà verosimilmente un afflusso di pubblico di gran lunga maggiore di quello preventivato (che in occasioni del genere non supera le poche decine di persone). E, tuttavia, la vicenda è di estrema gravità e non va sottovalutata. Per diverse ragioni.

Anzitutto, non è dato sapere che cosa avrebbe detto nella conferenza il prof. D’Orsi. Forse avrebbe messo in dubbio la narrativa ufficiale delle ragioni e degli sviluppi dell’invasione dell’Ucraina. O forse lo avrebbe fatto il giornalista collegato dall’Ucraina. Probabilmente sarebbe andata così, anche se non è certo. Ma, in ogni caso, sarebbe una ragione sufficiente per un intervento istituzionale (del sindaco in particolare) per impedire l’evento? Difficile sostenerlo. Non per simpatie putiniane, ma in applicazione di uno dei più classici princìpi liberaliche si insegna sin dalle scuole elementari, secondo cui le idee si confrontano, si discutono e, se del caso, si contestano (anche aspramente) ma non si censurano preventivamente. La cosa è del tutto ovvia, anche senza scomodare Voltaire. Ed è superfluo aggiungere che la libertà di parola è a tutela delle minoranze e del pensiero critico ché le maggioranze e il pensiero dominante non ne hanno, per definizione, bisogno…

Le cose non cambiano se dal piano culturale e politico si passa a quello giuridico. L’articolo 21 della Costituzione è di una chiarezza solare: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La libertà di parola e di espressione del pensiero non può, dunque, avere limiti se non quelli del diritto penale e della XII disposizione di attuazione della Carta fondamentale (quella, spesso dimenticata, che vieta “la riorganizzazione sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” e le attività, anche di semplice propaganda, a ciò dirette). Al di fuori di queste situazioni, nel nostro ordinamento e in ogni sistema che voglia definirsi democratico, la libertà di parola non tollera impedimenti o limitazioni ma, al contrario, deve essere favorita e tutelata dalle istituzioni (secondo la previsione generale dell’articolo 3 della Carta fondamentale).

Sono – quelle richiamate – puntualizzazioni ovvie, quasi banali, ma sempre più disattese. Anche nel sistema normativo, le cui torsioni illiberali sono culminate in diverse disposizioni del cosiddetto decreto sicurezza, convertito nella legge n. 80/2025 (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/10/03/sorvegliare-e-punire-i-poveri-e-i-ribelli/ ), e che sta per arricchirsi, grazie al disegno di legge n. 1627/S, d’iniziativa del senatore Gasparri (recante “Disposizioni per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo” ), del delitto di “antisionismo”, teso a reprimere – come sta avvenendo negli Usa e in diversi paesi d’Europa – il movimento contro le politiche israeliane di occupazione, pulizia etnica, genocidio in danno dei palestinesi (https://volerelaluna.it/controcanto/2025/11/03/antisemitismo-le-strumentalizzazioni-che-lo-aggravano/ ).

In questo contesto si inserisce la vicenda torinese, che impone una ulteriore considerazione, anche – come dicono i giuristi – a futura memoria. Un inedito maccartismo sta attraversando l’Occidente e, per quanto direttamente ci riguarda, l’Europa, sempre più protesa verso la guerra, irresponsabilmente evocata dalla presidente Ursula Von der Layen come “scudo per la democrazia” (sic!). In questo clima bellico, i cittadini europei, secondo l’establishment, devono essere protetti dalla propaganda del nemico e, quindi, le voci non allineate alla politica ufficiale devono essere silenziate, in primis, dalle istituzioni. Con buona pace della libertà di parola…

A fianco di chi lo proclama in maniera esplicita si sono levate, in questa occasione, alcune voci tese a rivendicare il diritto della politica e delle sue espressioni istituzionali di valutare insindacabilmente le iniziative da sostenere (oppure no) e altre che hanno accomunato la vicenda torinese con le recenti contestazioni di interventi pubblici di esponenti politici (in particolare della ministra Eugenia Roccella e dell’onorevole Emanuele Fiano). Si tratta di rilievi e paragoni impropri e strumentali. Il diritto delle istituzioni di scegliere, anche in base a opzioni politiche e considerazioni di opportunità, le iniziative da promuovere, patrocinare o ospitare è fuori discussione. Ma tutt’altra cosa è intervenire su enti con esse collegati, o sottoposti al loro controllo o, peggio, legati ai loro finanziamenti per indurli ad annullare iniziative liberamente organizzate o a revocare autorizzazioni concesse. Che è – invece – quanto accaduto nel caso specifico. Per altro verso, l’esercizio della libertà di parola non mette al riparo da critiche e contestazioni, che, invece, fanno parte della dialettica democratica e che, curiosamente, i sostenitori della censura istituzionale vorrebbero mettere al bando. La contestazione, anche organizzata, di opinioni e di posizioni non condivise è, essa stessa, esercizio della libertà di parola, con il solo limite, anche qui, del diritto penale. Tali contestazioni possono essere oggetto di valutazioni diverse, ma non distinguere la censura di chi ha potere dalle critiche provenienti dal basso è solo un segno della regressione (culturale prima ancora che politica) in cui viviamo.

Gli interventi istituzionali per impedire l’iniziativa torinese – merita ripeterlo – costituiscono una violenza istituzionale inaccettabile e sono espressione di una cultura illiberale inquietante e pericolosa. Il fatto che quella cultura e le prassi conseguenti siano bipartisan – superfluo dirlo – non ne attenua la gravità e, anzi, moltiplica la preoccupazione.

Post scriptum 
Il tema qui affrontato non riguarda né l’Ucraina né la Russia, né Putin né la Nato, ma le nostre libertà, le libertà di tutte e tutti, di qualunque opinione politica. Ad evitare interessati fraintendimenti aggiungo, peraltro, una chiosa personale sulle questioni sottese alla vicenda. Ho per Vladimir Putin la più profonda disistima politica, fin da quando era vezzeggiato da quelli che ora lo considerano l’incarnazione del male: per molte ragioni, tra cui primeggia la responsabilità di avere, completando l’opera di Elstin, fatto precipitare la Russia nel peggior capitalismo, cancellando i lasciti positivi dell’Unione Sovietica (in tema di diritti sociali) ed esaltandone quelli negativi (l’autoritarismo e la repressione del dissenso). Penso che l’invasione dell’Ucraina sia stata una clamorosa violazione del diritto internazionale che, come tale, va condannate e stigmatizzata, senza che ciò faccia dimenticare le (enormi) responsabilità dell’Occidente, e dell’Europa in particolare, nella sua genesi e nella prosecuzione della “inutile carneficina” in corso. Ma, soprattutto, penso che di tutto questo si debba parlare e discutere liberamente, sulla base di argomenti e non di scomuniche.

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