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…Sorpresa!

Riceviamo e pubblichiamo…

di TABOR

Sono le tre di mattina, il 15 ottobre, quando a Castel D’Azzano, sud di Verona, decine di carabinieri irrompono in una cascina abitata da due fratelli e una sorella. Una storia di debiti e pignoramenti. Già espropriati delle loro terre, ora è la volta della casa. Ma i tre hanno riempito la casa di gas e – come avevano promesso – fanno saltare tutto. Il boato, le fiamme, il crollo. Risultato, tre carabinieri morti e una trentina feriti. Anche la sorella rimane gravemente ferita. Tutti e tre vengono arrestati. Titoloni: «La più grande strage di carabinieri dai tempi di Nassiriya in Iraq».

Franco Ramponi era nato nel 1960, Dino nel 1962, Maria Luisa nel 1965. Sentite cosa ne dicono i giornali, non importa quali, sono tutti così: «Erano venuti giù dalla montagna ed erano strani. Come i loro genitori». «I campi da coltivare, le mucche da mungere all’alba. Finiva lì il mondo di questi fratelli, ancora più uniti dopo la morte del padre e della madre». «“Una vita grama”, ripetono qui. Chi
vive a Castel D’Azzano addirittura sostiene che nemmeno andassero a fare la spesa, Franco, Dino e Maria Luisa». «Non si erano mai rivolti al Comune per chiedere aiuto, – racconta la sindaca del borgo, – e dopo l’eventuale sgombero avevamo proposto di assisterli in prima ospitalità in un hotel o un B&B. Hanno rifiutato tutto». Questo il tono dei commentatori: «Uno spaccato di vita contadina sopravvissuto alla modernità e che ha portato a questa tragedia». «Un attaccamento alla casa e alla terra che era diventato un’ossessione, una patologia, fino a portarli a questo gesto estremo». Avete sentito bene, difendere la propria casa e la propria terra sarebbe una “patologia” agli occhi del giornalista che, immaginiamo, dal suo appartamentino di Milano scende tutti i giorni a far la spesa.

Mentre quei montanari sradicati e sfollati in pianura “non volevano andare ospiti in un B&B” e “non andavano neanche a fare la spesa”!!! Eccolo l’atavico disprezzo che il cittadino borghese moderno e sofisticato cova per il contadino, peggio ancora se montanaro, il rustico rozzo, ignorante, sporco perché legato alla terra e agli animali. Un disprezzo antropologico per questi “sopravvissuti alla modernità”, che emerge in tutto il suo livore quando la rabbia contadina esplode, ma che rimane sottotraccia fino a quando il burino se ne sta buono e zitto a sgobbare a testa bassa per riempire gli scaffali dei loro maledetti supermercati o negozietti bio.

I dettagli legali all’origine dei pignoramenti sono poco interessanti, le ragioni sono sociali, e chi vive in aree montane e rurali sa bene che non sono niente di eccezionale. Anzi. Famiglie di agricoltori, aziende agricole, piccole imprese artigianali strozzate dai debiti e ridotte, fin che ce la fanno, a lavorare per arricchire le banche, è quasi la norma. Questa è la vera tragedia, oltre al fatto che tre poveracci passeranno – temiamo – il resto dei loro giorni in galera. L’unica cosa eccezionale è il fatto che questi fratelli hanno avuto il coraggio, la lucida follia se volete, di resistere a ogni costo, invece di suicidarsi impiccandosi in garage o lasciandosi morire di psicofarmaci e televisione (come dovrebbero fare tutti i cittadini onesti e rispettosi della legge, vero?). E hanno avuto anche la sfrontatezza – questi cafoni – di tener fede alla parola data: sia al patto di non mollare mai che, a quanto pare, avevano stretto tra di loro; sia alla promessa fatta pubblicamente durante il precedente tentativo di sgombero: «Se tornate facciamo saltare tutto». Bum. Detto fatto. Che sorpresa, neh? Che qualcuno, nella modernità, possa ancora dare valore alla parola data, evidentemente è qualcosa di incredibile per i nostri contemporanei (sicuramente lo è, o meglio lo era, per quegli “espertissimi” carabinieri che sono andati a spiaccicarsi sotto le macerie della cascina). In questo senso è davvero “uno spaccato di vita contadina sopravvissuto alla modernità”, perché nel mondo contadino la parola data era sacra. Mentre oggi non vale più niente, valgono solo distintivi e scartoffie, nella modernità. Quella modernità che per affermarsi, e portarci dove siamo, ha espropriato, sradicato, umiliato e disgregato ogni tessuto comunitario, ogni rete di vicinato, ogni sentimento di umana solidarietà. E che ha lasciato tutti isolati
e disarmati davanti a un potere spietato, implacabile, burocratico, disumano. E che oggi si sorprende e piange lacrime di coccodrillo quando qualcuno sente di non aver più nulla da perdere e non prova pietà per quegli eroici servitori dello Stato che vengono nel buio della notte a sfondargli la porta per portargli via la casa dopo avergli portato via tutto il resto. Guarda un po’!

’Fanculo. Se c’è qualcosa di sorprendente è che non succeda ogni santo giorno.

TABOR, 17 ottobre 2025

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