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Yemen Horr, Saleh Barra!


Oltre a rivendicare il diritto di processare il tiranno e ad esprimere sorpresa e distanza dagli altri termini della mediazione, i rivoluzionari hanno proclamato nella stessa giornata lo sciopero generale (che ad Aden ha visto la chiusura del 90% di scuole, università e negozi, con altri picchi di partecipazione a Taiz ed Hodeida); in cinque province sono stati avviati presidi ad oltranza fino alla cacciata del dittatore, e nelle strade i manifestanti più giovani urlano forte: “no ai partiti, no alle affiliazioni partitiche!” brandendo cartelli con scritte come: “stati confinanti: nessuna mediazione, nessun dialogo!”.

E’ da vedere ora come si muoveranno gli Stati Uniti – a lungo sostenitori di Saleh, in particolare negli anni della presidenza bushiana – e se il movimento – che con più di 140 morti dall’inizio dei moti ha pagato un prezzo di sangue altissimo alla repressione – riuscirà a mantenere salda la barra delle sue rivendicazioni, in un paese ridotto alla miseria e politicamente frammentato.

Tuttavia quella yemenita resta una vittoria che restituisce slancio alla primavera araba, mettendo una seria ipoteca sulla sorte di una dittatura più che trentennale e dimostrando la possibilità del cambiamento anche nel cuore della penisola arabica, territorio da sempre sotto tutela nelle rotte energetiche dello scenario geopolitico globale.

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