InfoAut
Immagine di copertina per il post

Qualcosa di nuovo a Occidente. Appunti sulla transizione americana

||||

di FELICE MOMETTI da Connessioni Precarie

Jake Sullivan è tra i consiglieri politici più ascoltati di Biden. Prima ancora era stato consigliere politico di Hillary Clinton e di Obama. Nel febbraio dello scorso anno ha pubblicato su «Foreign Policy», tra le riviste di punta dell’establishment democratico, un articolo dal titolo L’America ha bisogno di una nuova filosofia economica, con sottotitolo Gli Stati Uniti non possono avere una buona strategia se sbagliano la politica economica. Era il mese della seconda richiesta (fallita) di impeachment nei confronti di Trump. Le primarie democratiche non erano ancora iniziate e Trump aveva tutti i sondaggi dalla sua parte. L’articolo, che venne poco o nulla considerato, sollevava una serie di questioni che allora non era proprio al centro della riflessione teorico-politica dei think-tank del Partito Democratico. Si sosteneva che dopo quarant’anni di neoliberismo era necessaria una svolta profonda per ristrutturare l’intero modo della produzione e riproduzione sociale, che lo Stato federale doveva essere un attore decisivo negli investimenti in infrastrutture, tecnologie innovative ed istruzione, necessari per indirizzare i flussi delle catene globali del valore. Che bisognava produrre grosse quantità di «debito buono e non cattivo» (Draghi userà la stessa formula un anno dopo) e la trumpiana riduzione delle tasse ai ricchi e alle multinazionali non era altro che un’ideologia zombie. Il capitalismo autoritario cinese, per usare la terminologia di Sullivan, sta sfidando la democrazia di mercato americana come modello prevalente, mettendo a dura prova il patto tra i governi e loro popoli. La filosofia economica da adottare avrà un importante ruolo nel determinare il successo o il fallimento degli Stati Uniti nel contesto geopolitico globale.

Detto in sintesi: lo scontro è tra due modelli di capitalismo e la relazione tra valorizzazione capitalistica e riproduzione sociale, a livello nazionale, riguarda direttamente anche le strategie di politica estera, cioè l’influenza egemonica globale.

La pandemia, la George Floyd Rebellion, l’elezione di Biden hanno accelerato processi in gran parte già in atto, tanto da rivalutare le teorie di Sullivan. Con un’aggiunta: per implementare politiche sociali ed economiche di tale portata, che hanno anche una valenza geopolitica, il potere deve essere sempre più concentrato nelle mani del Presidente e dell’esecutivo in modo da bypassare o almeno esercitare una qualche forma di controllo sul Congresso e soprattutto sul Senato. Biden, in questi otto mesi di presidenza, ha emesso 63 ordini esecutivi e 37 memorandum. Un record dalla fine della Seconda guerra mondiale, dai tempi di Truman. Gli ordini esecutivi e i memorandum, che sono utilizzati come un equivalente di un ordine esecutivo, non prevedono alcuna successiva approvazione legislativa e, pur non essendo esplicitamente previsti dalla Costituzione americana, sono diventati degli strumenti senza confini normativi. Possono riguardare questioni politiche, sociali, economiche, istituzionali, di politica estera, e Biden vi ha fatto ricorso in tutti questi campi. Solo i giudici federali e la Corte Suprema hanno il potere di sospenderli o bloccarli. La competizione con il «rivale strategico» è fatta anche di decisioni rapide, di riduzione fino – in alcuni casi – all’azzeramento dei tempi della democrazia liberale. Non si può competere con il potere sconfinato di Xi Jinping e degli altri sei uomini del Comitato permanente dell’Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese, attardandosi più di tanto con le procedure istituzionali di controllo e bilanciamento dei poteri. Il capitalismo di qualsiasi forma e natura, nelle fasi in cui la crisi si combina alla riorganizzazione del suo modo di produzione, non prevede alcun tipo di democrazia. Dalla fine di marzo dello scorso anno – il momento in cui dilaga la prima ondata della pandemia negli Usa – a oggi, gli interventi in campo economico, sociale, logistico, tecnologico dello Stato federale superano gli 11 mila miliardi di dollari, dei quali 6.400 già stanziati. Un valore monetario che corrisponde a quasi il 50% del prodotto interno lordo.

Siamo di fronte al più grande intervento politico-economico della storia degli Stati Uniti.

Mentre Trump imperversava su twitter con teorie fantasiose e pericolose sul virus, suggerendo cure miracolose, un accordo tra senatori democratici e repubblicani permetteva di approvare il Cares Act. Un pacchetto di 2.200 miliardi suddivisi tra helicopter money (denaro a pioggia) a tutti i contribuenti, finanziamenti a fondo perduto, crediti di imposta e detrazioni fiscali alle imprese e alle attività commerciali, indennità di disoccupazione, borse di studio e prestiti agli studenti, una moratoria dei pignoramenti e degli sfratti. Con l’uccisione di George Floyd esplode una rivolta che, tra la fine di maggio e i primi di novembre ha mobilitato circa 26 milioni di persone, con 10.300 manifestazioni in 2.700 località degli Stati Uniti. Una sollevazione che, oltre alle dimensioni, ha mostrato alcuni tratti inediti rispetto al passato per composizione sociale e percorsi di soggettivazione. La partecipazione di significativi settori di giovani bianchi e latini, la rapida politicizzazione dei soggetti e delle forme di lotta. Quindi, più che la repressione su vasta scala diventa efficace il recupero della protesta attraverso riforme della polizia (oggi tutte sepolte negli uffici del Congresso), una qualche forma di redistribuzione della ricchezza e la cooptazione di settori di movimento nella galassia delle Ong «democratiche». Il tutto condito con appelli all’antitrumpismo. Infatti in dicembre, con Trump sconfitto alle elezioni e impegnato nella ricerca di complotti mondiali contro di lui e Biden non ancora entrato in carica, con un nuovo accordo tra senatori democratici e repubblicani viene approvato il Consolidated Appropriation Act. Un intervento economico-sociale di 2.300 miliardi di dollari. Lo schema del provvedimento ricalca in gran parte quello del precedente Cares Act con sussidi e distribuzione di denaro ma con maggiori spese militari e investimenti nelle infrastrutture della logistica. La fine ingloriosa della presidenza Trump, da molti mesi scavalcato nel potere decisionale in campo economico dal gruppo di senatori repubblicani che fa capo a Mitch McConnell, coincide con la conclusione della prima fase dei finanziamenti e degli investimenti per mantenere le condizioni della riproduzione della società durante la pandemia e dopo la rivolta dei mesi precedenti.

L’amministrazione Biden, nei primi mesi dopo l’insediamento, si muove per operare un salto qualitativo in campo politico, economico e istituzionale. Innanzitutto, si vuol ridare una credibilità politica e decisionale alla presidenza, minata dai comportamenti di Trump, e contenere il protagonismo e il potere politico dei governatori dei quattro Stati cardine della federazione: California, Texas, Florida e New York. Un protagonismo e un potere accresciuti durante la pandemia e la rivolta forzando le costituzioni dei singoli Stati rispetto alla costituzione federale. Paradossalmente, ma poi nemmeno tanto, è il governatore democratico dello stato di New York Andrew Cuomo, oggi dimissionato in quanto molestatore seriale di donne alle sue dipendenze, che si spinge più lontano nel tentare di modificare nei fatti l’architettura istituzionale dello Stato federale. Nei mesi più duri della prima ondata della pandemia diventa l’alter-ego di Trump e avvia un coordinamento politico, economico, istituzionale – nelle sue intenzioni da rafforzare progressivamente – con il Massachusetts e il Connecticut. Anche in questo caso all’insegna dell’antitrumpismo ma in realtà come una possibile anticipazione di nuovi rapporti di forza istituzionali con lo Stato federale.

Un secondo aspetto importante dell’amministrazione Biden, emerso fin dalle prime settimane, è il suo essere allo stesso tempo governo e governance.

Una struttura ibrida nel suo modo di funzionare e di prendere le decisioni, non potendo affidarsi completamente ad una maggioranza risicata, piuttosto eterogenea, alla Camera dei Rappresentanti e al solo voto di Kamala Harris per prevalere al Senato. All’esecutivo ristretto, se così possiamo definirlo ‒ formato da Biden, dal Segretario di Stato Antony Blinken, da Janet Allen, ex presidente della Federal Reserve, e dal generale Lloyd Austin, uomo del Pentagono ‒, si affiancano allo stesso livello il Consiglio Economico Nazionale con a capo Brian Deese legato a BlackRock – il fondo di investimento finanziario più grande del mondo ‒ e il Consiglio della Sicurezza Nazionale in cui Jake Sullivan ha un ruolo di primo piano. Un governo/governance nato come iniziale necessità, visti i numeri del Congresso, che nel giro di qualche mese è diventato forma e sostanza del potere politico, economico e militare. È in questa struttura di potere che si elabora il Build Back Better Plan. Un intervento da 7 mila miliardi di dollari che ha come priorità l’implementazione di tecnologie avanzate nelle infrastrutture della logistica, lo svolta green dell’industria automobilistica, la drastica riduzione dei combustibili fossili nella produzione di energia, l’ammodernamento tecnologico ed energetico del patrimonio edilizio. Ad oggi è stata approvata dal Congresso la prima tranche da 1.900 miliardi di dollari facendo leva sulla divisione del partito repubblicano al Senato. Una seconda tranche dedicata alle infrastrutture è attualmente in discussione al Senato.

Difficile prevedere se il Build Back Better Plan andrà in porto negli stessi termini in cui è stato concepito ‒ le resistenze e le rendite posizione sono molte ‒ perché

non si tratta solo di una ristrutturazione dell’intero sistema della produzione sociale ma anche, implicitamente, di un diverso rapporto tra una governance esecutiva e le assemblee elettive, tra stato federale e singoli Stati. In altri termini la prefigurazione di una nuova Costituzione materiale.

Il messaggio dell’amministrazione Biden è chiaro: la transizione verso un nuovo ordine politico istituzionale dello Stato è iniziata. E il caotico ritiro dall’Afghanistan, considerato non più teatro strategico ormai da una decina di anni, insieme ai recenti discorsi di Biden sulla fine «dell’era delle grandi operazioni militari per ricostruire altri paesi» e all’accordo Aukus con Australia e Regno Unito preludono anche a una diversa collocazione degli Usa sullo scenario globale: dalla crisi della loro influenza egemonica a un’ingerenza performativa solo nei contesti valutati come strategici. Ma come in tutte le transizioni, ancor di più di queste dimensioni, l’esito non è mai scontato. Entrano in gioco i rapporti di forza tra gli Stati, nelle organizzazioni sovranazionali e l’opposizione dei movimenti politici e sociali. Un dato è certo: negli Stati Uniti si stanno ridefinendo i rapporti politici, le forme di governo, gli assetti istituzionali e i processi di valorizzazione del capitalismo contemporaneo.

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

BIDENTRANSIZIONE ECOLOGICAUsa

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Messico: Per la difesa dei propri territori i popoli creano l’Assemblea Maya per l’Autonomia

Città del Messico / Comunità di diversi popoli maya hanno concordato di creare e di organizzarsi nell’Assemblea Maya per l’Autonomia e nel Consiglio Maya per l’Autonomia, per rafforzare le lotte locali a difesa del territorio contro l’attività mineraria, la turistificazione, l’agroindustria e le altre forme di saccheggio nella Penisola dello Yucatán. L’accordo di unirsi nell’Assemblea per […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Levante: il Giappone oggi ad 80 anni dalle bombe nucleari USA su Hiroshima e Nagasaki

Nella puntata odierna andiamo in Giappone, facendo il punto sulla politica domestica del Paese nipponico e sugli scenari internazionali del quadrante asiatico.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“I popoli sostengono la causa palestinese. Potenti e governi voltano le spalle”. Corrispondenza dalla Cisgiordania occupata

Il ministro israeliano della Difesa Katz ha dichiarato oggi, mercoledì 16 aprile 2025, che “Israele non ha alcuna intenzione di permettere l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Armarsi per salvare il capitalismo finanziario! La lezione di Rosa Luxemburg, Kalecki, Baran e Sweezy

Per quanto grande sia una Nazione, se ama la guerra perirà; per quanto pacifico sia il mondo, se dimentica la guerra sarà in pericolo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Dati trapelati rivelano una massiccia campagna israeliana per la rimozione di post pro-Palestina da Facebook e Instagram

Una repressione radicale dei post su Instagram e Facebook critici nei confronti di Israele, o anche solo vagamente a sostegno dei palestinesi, è stata orchestrata direttamente dal governo israeliano

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

NATO incontra Palantir: un’analisi critica del sistema di guerra basato su IA della NATO

È notizia di oggi che il 25 marzo 2025, la NATO ha finalizzato l’acquisizione del Maven Smart System NATO (MSS NATO), una piattaforma di guerra basata su intelligenza artificiale integrata sviluppata in collaborazione con Palantir Technologies. Acclamato come un passo avanti nelle capacità decisionali operative, il MSS NATO rappresenta l’ennesimo esempio dell’integrazione dell’IA nella sfera […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“Fermiamo la macchina bellica. Palestina libera!”: la diretta dalla manifestazione nazionale di Milano

“Fermiamo la macchina bellica. Palestina libera!”. Decine di migliaia di persone – circa 50mila per le realtà organizzatrici – sabato 12 aprile a Milano per la manifestazione nazionale per la Palestina, sottoposta a 77 anni di occupazione e a un anno e mezzo di genocidio per mano dello Stato israeliano. La piattaforma rivendicativa ribadisce le motivazioni della giornata di lotta: “NO al genocidio […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Come gli europei vanno incontro all’era complessa

Continuiamo la pubblicazione di contributi in vista della terza edizione del Festival Altri Mondi / Altri Modi che si terrà dal 10 al 13 aprile a Torino. Di seguito potete trovare un interessante articolo di Pierluigi Fagan sulla congiuntura europea. Fagan parteciperà al dibattito di sabato 12 aprile alle 16 dal titolo “Scenari della guerra globale“. L’articolo è apparso […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“No alla prima fabbrica di armi per REARM Europe”: comunicato stampa della “Rete Mamme da Nord a Sud”

La Rete Mamme da Nord a Sud lancia un appello all’adesione e alla mobilitazione contro la nuova fabbrica di esplosivi nel Lazio e contro la militarizzazione dell’Europa. Le fabbriche di morte finanziate con fondi pubblici dalla Commissione europea rischiano di diventare presto realtà: apprendiamo con sgomento che la ex Simmel Difesa, oggi Knds (gruppo franco-tedesco, […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Capitalismo finanziario e economia di guerra

Nella giornata che ha visto grandi dichiarazioni del presidente Trump aprire alla guerra commerciale dei dazi abbiamo approfondito come la ristrutturazione della finanza e gli scenari bellici mondiali siano strettamente connessi.

Immagine di copertina per il post
Sfruttamento

Tra venti di guerra e transizione verde, come si trasformano i nostri territori?

Inchiesta sul lavoro dentro il tessuto industriale piemontese.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Transizione energetica a scopo di profitto: la sfida dei territori

Verso il Convegno No alla Servitù Energetica che si terrà a Livorno il 29 e 30 marzo ripubblichiamo un articolo di Fabio Balocco apparso sul Fatto Quotidiano.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Agrivoltaico: industria “green” che specula sulla crisi del settore agricolo

A partire da una chiacchierata con Marco, agricoltore della Val di Cornia e attivista del Comitato Terre di Val di Cornia che fa parte della coalizione TESS – Transizione Senza Speculazione, abbiamo tracciato alcuni punti chiave del ragionamento sul tema dell’agrivoltaico in vista del Convegno nazionale “No alla servitù energetica” contro la speculazione energetica che si terrà a Livorno il 29 e 30 marzo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Rottura e interdipendenza: la partita tecnologica tra Usa e Cina

La competizione strategica tra Cina e Stati Uniti è più complessa e meno lineare di come viene solitamente rappresentata dai media generalisti.

Immagine di copertina per il post
Traduzioni

Leonard Peltier è finalmente libero!

Pubblichiamo la traduzione di questo articolo. “Oggi sono finalmente libero! Mi hanno imprigionato, ma non hanno mai spezzato il mio spirito!” Ciò che sembrava impossibile è diventato realtà il 18 febbraio, quando il prigioniero politico nativo Leonard Peltier è uscito dal penitenziario federale di Coleman da uomo libero. Ha lasciato Coleman non più in uniforme […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Geopolitica e lotta di classe nella crisi di sistema

0. Si apre un tempo di incertezza, che non fa ancora epoca. Per conquistarne l’altezza, occorre rovesciare il punto di vista. E cogliere, nell’incertezza del tempo, il tempo delle opportunità. da Kamo Modena 1. «La fabbrica della guerra». Abbiamo voluto chiamare così un ciclo di incontri dedicati a guardare in faccia, da diverse angolature e […]

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Non guerra in Europa, ma guerra all’Europa

La telefonata tra Trump e Putin ha traumatizzato la pessima classe dirigente europea, gettandola nel panico. Mentre la guerra in Ucraina va verso il congelamento gli imbelli che governano il continente finalmente si stanno rendendo conto che questa non era solamente una guerra in Europa, ma una guerra all’Europa, portata avanti con mezzi non convenzionali […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Hamas ha annunciato il rinvio dello scambio di prigionieri: Perché e perché ora?

Hamas si trova attualmente in una posizione in cui deve fare del suo meglio per negoziare l’ingresso di aiuti sufficienti a Gaza, assicurando al contempo la fine della guerra e la formazione di un’amministrazione post-bellica in modo che il territorio possa essere rilanciato e ricostruito. di Robert Inlakesh, tradotto da The Palestine Chronicle Lunedì, il […]