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Madrid, Torquemada e la sinistra basca

Sabato 30 aprile scade il termine per la validazione delle liste elettorali nella campagna elettorale spagnola, voto amministrativo. Il nuovo partito della sinistra indipendentista, Sortu, nonostante si sia piegato alla Ley de partidos voluta e scritta da socialisti e destra spagnoli nel 2002, è stato escluso dalla competizione. Non sono bastati né il nuovo statuto che scrive nero su binaco il rifiuto della violenza, né le prese di posizione pubbliche contrarie a Eta delle ultime settimane. Ma al governo di Zapatero tutto questo non basta. Ora nel mirino della politica e magistratura spagnola c’è Bildu, coalizione formata da due partiti che da sempre hanno espresso una dura critica contro Eta. Eppure l’accusa è sempre la stessa: sono parte della strategia dell’oirganizzazione armata.

Il commento di Giovanni Giacopuzzi, talkingpeace.org

Come definire uno stato in cui cittadini con la fedina penale immacolata che si candidano in una lista elettorale convertano la stessa in “contaminata” e quindi illegale? Quale termine si può dare ad un sistema giuridico e politico nel quale un ministro sostiene che per legalizzare una formazione politica, che ottempera alla lettera quanto stabilito dalla legge, bisogna che i suoi rappresentanti “convincano” il Governo che quanto sostenuto nei propri statuti sia vero? Stiamo parlando della Spagna la cui classe politica sta dando mostra di una discutibile idea dello stato di diritto e di miopia politica.

La questione è la sinistra indipendentista basca, un’area sociale prima che movimento politico, profondamente radicata nella società basca, la cui stessa esistenza mette in discussione il modello statuale spagnolo e soprattutto la sua genesi, l’essere una metamorfosi istituzionale di un sistema dittatoriale in una monarchia parlamentare. Componenti maggioritarie della sinistra indipendentista hanno, dalla morte di Franco, considerato plausibile una strategia “politico militare” per forzare lo Stato a riconoscere il diritto alla società basca, nel suo insieme, a decidere su modello istituzionale, politico e sociale. Strumenti di azione che da alcuni anni erano messi in discussione al suo interno e che negli ultimi due anni hanno visto un serie di iniziative che hanno sancito un strategia di azione politica attraverso un processo democratico, in cui tutte le forze politiche sociali e sindacali del paese basco potessero agire su un piano di parità di diritti e doveri, di rispetto di tutti i diritti umani, e dove fosse escluso qualsiasi metodo di coercizione violenta per il raggiungimento degli obiettivi politici. Per confermare questa scelta definitiva la sinistra indipendentista aveva accetto le forche caudine della legge sui partiti del 2002 i cui tratti liberticidi erano stati evidenziati da organismi internazionali, legge che aveva portato alla illegalizzazione delle forze politiche, Batasuna, Accion Nacionalista Vasca, e liste elettorali rappresentanti di gran parte di questa area politica. Lo hanno fatto con la convinzione delle proprie ragioni politiche e della necessita di far convergere in un progetto politico comune altre forze progressiste e indipendentiste basche.

Insomma, la sinistra indipendentista ha accettato quanto lo Stato ed i governi spagnoli succedutisi dalla morte di Franco avevano chiesto: entrare nelle istituzioni spagnole e ripudiare la legittimazione dell’uso della violenza a fini politici. Tutto bene quindi. E invece no. Dal 2009, quando questa svolta strategica si è materializzata Stato e governo spagnolo hanno messo in atto una strategia repressiva che ha utilizzato a piene mani un giurisprudenza spagnola sulla materia, antiterrorismo, che fa ricorso a metodi inquisitoriali e applicazione del codice penale del nemico. Quindi è logico che quattro dirigenti della sinistra indipendentista come Arnaldo Otegi, Sonia Jacinto, Arkaitz Rodriguez e Miren Zabaleta si trovino attualmente in carcere per aver promosso questa svolta strategica di abbandono della strategia politico militare; e che la forza politica Sortu e la coalizione elettorale Bildu siano oggetto di azioni giudiziarie miranti alla loro illegalizzazione. Se per il partito Sortu a nulla sono valsi statuti e regolamento di adesione per gli iscritti in cui si deve ripudiare la violenza, perché considerata da una risicata maggioranza del Tribunale Supremo come una iniziativa della sinistra indipendentista , per Bildu si è andati ancora più in là, essendo questa coalizione elettorale formata da partiti come Eusko Alkartasuna e Alternatiba (una scissione di Izquierda Unida basca), che da sempre hanno condannato ETA. Il Governo spagnolo ha dato mandato all’ Avocatura dello Stato e alla Procura generale di impugnare dinnanzi al Tribunal Supremo le 257 liste elettorali di Bildu, perché “sono un piano di ETA per entrare ne istituzioni”. Il patto antiterrorismo lo impone, una miope visione politica anche.

Lo stesso presidente della Comunita Autonoma basca il socialista Patxi Lopez, eletto nel 2008 “grazie” alla proscrizione della sinistra indipendentista, ha chiesto di lasciar lavorare i giudici, ma ha aggiunto anche che la “immensa maggioranza dei cittadini baschi pensano che né EA, né Alternatiba siano contaminati, né fanno la strategia di ETA”. Insomma nel paese in cui simulare un attentato se fatto da una scorta si viene condannati a 1000 euro di multa mentre un sabotaggio con il silicone ad un bancomat comporta dieci anni di carcere per terrorismo, non stupisce che un cittadino venga definito “contaminante” per le sue idee. Per questo credere che questa forsennata politica di esclusione non miri tanto a combattere “il terrorismo”, ma a indebolire una proposta politica che ha come obiettivo una democrazia meno di facciata e più partecipata non è pretestuoso.

Se Torquemada vedesse tutto questo…

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