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La mano della finanza sul voto portoghese

Il 5 giugno il Portogallo andrà al voto, ad un voto anticipato in seguito alle dimissioni del 23 marzo scorso del premier Socrates, caduto a causa della sfiducia subita dal suo governo di minoranza. Sfiducia che aveva come oggetto quello che è il tema dominante di queste elezioni, quelle misure di austerity e riduzione del deficit pubblico che stanno mettendo in difficoltà in Europa anche il governo socialista in Grecia e che in Spagna sono all’origine delle proteste degli “Indignados” contro Zapatero.

La massiccia presenza di FMI e BCE sul voto è evidente. Non si parla d’altro sui giornali e nei dibatitti politici in televisione, con i principali partiti, quello socialista (PSP) quello conservatore (PSD) e il CDS (centro-destra), favorevoli mentre sul fronte opposto vi sono la coalizione tra partito comunista e verdi (CDU) e i post-trotzkysti del Bloco de Esquerda.

Gli echi che arrivano dalla Grecia, con il rischio di uscita dall’area euro causa l’impossibilità di ripagare il pesante debito sovrano si sentono anche nel paese lusitano, tra i cui più colpiti dalla recessione dovuta alla crisi globale. Il prestito richiesto alla cosiddetta troika è di 78 miliardi di euro in 3 anni, un vero e proprio salasso che cadrà sulle spalle dei ceti medio-bassi portoghesi sotto forma di abbassamento delle pensioni, dell’innalzamento delle bollette di acqua ed elettricità, in un crollo dei salari e degli ammortizzatori sociali.

Il prestito comporterebbe di fatto una serie di tagli alla spesa e di privatizzazioni selvagge le quali però, come già dimostrato dal caso greco e avallato da diversi esperti internazionali, non fanno altro che aggravare la recessione e far sprofondare sempre di più la cittadinanza nella povertà, oltre di fatto a consegnare la sovranità statale nelle mani dei poteri economico-finanziari globali.

In questo quadro purtroppo deboli sembrano essere le risposte dei movimenti. L’opposizione ai progetti della troika è fornita più che altro dai partiti di “sinistra radicale” istituzionale, mentre i movimenti sono vittima, quando provano ad alzare la testa, di una forte repressione, come avvenuto il primo maggio a Setubal, quando al termine di una manifestazione nella giornata dei lavoratori un corteo autorganizzato è stato disperso con proiettili di gomma.

Il 23 marzo scorso, giorno delle dimissioni di Socrates, una serie di scioperi ha mandato in tilt la normalità delle città più grandi, a partire dalla capitale Lisbona, mentre l’eco dell’importante sciopero generale del novembre scorso sembra svanito nel pensiero unico pro-prestito spinto dai media mainstream.

Più interessante il movimento “Geracao a rasca” (generazione spazzatura) che il 12 marzo aveva costruito un importante momento di lotta autorganizzata, portando soprattutto grazie all’utilizzo dei social networks centinaia di migliaia di persone in piazza e scavalcando i partiti della sinistra istituzionale.

Gli spazi per movimenti apartitici sembravano però poi chiudersi, fino a quando l’esplosione del movimento degli “indignados”spagnoli ha ridato nuova forza. portando alla messa in pratica il 23 maggio scorso, nella centralissima piazza del Rossio a Lisbona di un presidio permanente (Acampada Lisboa) contro la troika in cui rifiutare il pagamento del debito sul modello islandese era il sentito comune. L’esperienza continua tra alti e bassi sulla scia di tutte le “imitazioni” (grecia esclusa) delle modalità di protesta che hanno caratterizzato le ultime vicende spagnole.

Intanto domenica scorsa 500 persone sono scese in piazza sempre a Lisbona contro l’abbraccio mortale del prestito della troika. Purtroppo non basterà a togliere dal Portogallo le forti mani delle banche euro-americane…

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