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Jin War: costruire possibilità

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Continuano i reportage della delegazione d’Infoaut nel nord della Siria [vedi 12].

 

Un enorme spiazzo di terra brulla, lontana dall’acqua, inaridita da vent’anni di monocultura chimica  portata avanti dal governo dittatoriale di Assad. Proprio qui, nelle terre maltrattate e abbandonate dal regime sta sorgendo Jin War, il villaggio delle donne. Stesso terreno, un altro mondo. Oggi qui, davanti ai nostri occhi, un mattone cotto al sole dopo l’altro, prende forma un luogo che è anche una promessa. Quella della possibilità di essere indipendenti, di poter decidere per sé stesse e vivere insieme. 

Quest’esperimento rappresenta uno dei più importanti strumenti di sintesi pratica del metodo della jineoloji, la scienza delle donne. La discussione su Jin War si apre durante una delle tante perwerde (formazione) organizzate dal movimento. “L’autonomia delle donne è centrale, sì, ma al di là delle parole con che mezzi possiamo conquistarla? Se le prospettive d’indipendenza fuori dal matrimonio sono quasi inesistenti come facciamo?” Da qui si è partite, con l’esigenza di una casa e il progetto di costruire un villaggio. Un progetto ben preciso che però si ridisegna continuamente integrando i bisogni che emergono man mano che le future abitanti li esprimono. Un giardino comune da godere e per riunirsi, spazi per seminari e assemblee, per fare teatro, per scopi medici. Questo agglomerato di case non è il punto ultimo ma un luogo da cui poter ripartire per modificare la società, costruendo la propria indipendenza e la propria forza, una base da cui la lotta si rafforza e continua ad espandersi.

Nel movimento sono più di trent’anni che viene tematizzata e praticata una lotta di liberazione delle donne, portata avanti da organizzazioni autonome che ricoprono ogni aspetto della vita e della società. In questa cornice si inserisce la teoria della rottura, ossia l’organizzazione autonoma che permette una cesura, sia del pensiero, sia del sentire subordinati al dominio patriarcale e ai suoi strumenti economici, feudali o capitalistici che siano. È la rottura che rende possibile riconquistare sè stesse in un modo mai vissuto come individuale ma sempre come bisogno interno alla società.
Questa teoria-pratica non è infatti mai intesa in termini astratti; è a partire dal sacrificio e dai gesti di alcune figure chiave del movimento di liberazione delle donne che sono stati messi a sistema e rinnovati metodi di organizzare la militanza e dell’essere militanti.

Per dirla con un’efficace metafora che abbiamo ascoltato; lanciare una cartaccia in un lago non produce alcun effetto, al contrario scagliare una pietra agita il fondo e increspa la superficie. Queste donne sono state pietre che hanno modificato la visione della lotta nell’ideolojÎ e nell’organizzazione. 

Proprio dall’organizzazione, o meglio dalla sua mancanza, vengono mosse delle critiche ai femminismi occidentali. Per quanto sia stato il primo momento in cui la parte più oppressa della società si sia ribellata, non è seguita una pratica politica in grado di mutare la società in profondità. Una delle principali critiche è che ci si sia fermate alla richiesta di diritti all’interno della società, perdendo così di vista la possibilità di un’alternativa a essa. È mancata poi nel corso degli anni una prospettiva organizzativa reale in cui alle analisi della società seguisse un’organizzazione per trasformarla. La reazione contro l’uomo è stata spesso intesa come raggiungimento del suo stesso status non come rottura di questo status per tutte e tutti. 

La jineoloji ha come obiettivo e presupposto il ricostruire una scienza e una conoscenza di sé stesse in quanto genere, anche rimettendo insieme i pezzi di un sapere frammentato e saccheggiato dal dominio maschile e patriarcale così da armare le donne di strumenti scevri dalla questa logica.

Ma perché questo sapere si ricomponga, perché possano nascere nuova conoscenza e consapevolezza che siano la base per le relazioni di un’altra società, la formazione deve essere considerata come immanente alla persona e alla società stessa. Le donne con la loro cassetta degli attrezzi nuovi e antichi, gli uomini con la necessità di rinunciare ai propri privilegi, d’indagare la propria posizione nei rapporti. Il cambiamento se deve essere profondo e collettivo non può esimersi dal cercare una sintesi tra energie disparate, femminili, maschili. La priorità è l’emancipazione delle donne come elemento imprescindibile per l’obiettivo di una società libera.

È importante infatti sottolineare che le organizzazioni delle donne sono anima e spina dorsale del confederalismo democratico ma allo stesso tempo si muovono in maniera del tutto indipendente da esso. Nel procedere parallelamente fungono da traino e garanzia. Se il sistema confederale deve fare i conti con delle soluzioni politiche che richiedono tempi lunghi l’organizzarsi delle donne non può attendere e Jin War ne è l’esempio vivente. 

 

 

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