Da diversi giorni in Cina non si registravano nuovi casi di Covid-19, se non i cosiddetti casi importati o di ritorno, cioè di persone che rientrano nel paese dall’estero.
Mercoledì 1 aprile, però, la notizia della messa in quarantena della contea di Jia (600mila abitanti), nell’Henan, provincia confinante a sud con l’Hubei – provincia focolaio della pandemia – dove invece le attività stanno gradualmente ripartendo, a eccezione del capoluogo Wuhan, dove l’inizio della riapertura è previsto per l’8 aprile.
In questi giorni la Banca Mondiale, in una nota, ha espresso preoccupazione per un possibile arresto dell’economia cinese – con un rallentamento ipotizzato al 2,3% dal 6,1% del 2019 – e le sue conseguenze possibili su tutto l’est asiatico. Con 11 milioni di persone in diversi paesi – dice la Banca Mondiale – a rischio povertà.
Insieme a Dario, redattore del portale di movimento Infoaut e dottorando in studi macroeconomici sulla Cina, abbiamo avanzato alcune ipotesi sull’impatto della pandemia di nuovo coronavirus in corso sull’economia cinese e globale, a partire da una riflessione su questi numeri.
“Bisogna specificare che, per quanto riguarda gli ultimi decenni, quella è l’area del pianeta che è cresciuta maggiormente, trainando l’economia mondiale. Per questo i dati che parlano di un rallentamento dell’economia in quell’area preoccupano e non lasciano presagire nulla di buono per quanto riguarda l’impatto anche sulle economie occidentali“, commenta Dario, redattore di Infoaut e dottorando in studi macroeconomici sulla Cina. “Le stime sul rallentamento delle economie mondiali – aggiunge Dario – si basano sulla certezza che nell’ultimo trimestre del 2020 tutto possa ripartire, cosa della quale non si può essere certi in questo momento“.
La crisi economica che segue l’emergenza sanitaria ancora in corso, arriva dodici anni dopo la crisi dei mutui subprime (cosiddetta dei “Lemhan brothers”) del 2008. Tutto questo, oltre che misure di contenimento differenti a seconda dei vari stati, innesca una serie di dinamiche tra stati in termini di relazioni internazionali e altre anche a livello economico-finanziario.
“L’impatto di politiche protezioniste che verranno adottate dagli stati per far fronte alla crisi determinerà l’aumento dei costi di alcuni beni anche di prima necessità, in un contesto nel quale purtroppo si abbasserà il potere d’acquisto di molte persone“. Inoltre, aggiunge Dario, “già oggi sperimentiamo una delle conseguenze della delocalizzazione della produzione di beni a basso contenuto tecnologico per esempio nella mancanza dei dispositivi di protezione individuale di cui ci sarebbe bisogno in Italia”.
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