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Sullo sgombero del Cinema America Occupato

L’estate del governo Renzi è stata grigia come il più triste degli autunni. A partire dal 16 luglio, quando a Roma veniva sgomberato (e devastato) il cine-teatro Volturno, i blindati della celere hanno provveduto a sottrarre alla collettività importantissimi spazi di cultura e aggregazione, dal Bios Lab di Padova all’Hobo di Bologna, dallo Zam al Lambretta di Milano fino ad arrivare, in queste ultimissime ore romane, al Cinema America di Trastevere dopo aver già provveduto a fare piazza pulita dell’esperienza del Teatro Valle.

L’attacco agli spazi sociali e culturali, devastante nella sua portata, non è arrivato certo “per caso”, né, tanto meno, il suo dispiegamento è stato affidato alla “casualità” o a un semplice servizio tecnico di polizia. Al contrario, questa fitta ondata di sgomberi affonda le sue radici in quanto accaduto, in tema di occupazioni, nel corso del 2013: un anno in cui le rendite di posizione e gli interessi speculativi dei palazzinari hanno davvero tremato nel momento in cui centinaia di occupazioni hanno preso piede in tutta Italia e nel momento in cui, il 19 ottobre, centomila persone sono scese in piazza a Roma, riscoprendo una possibile unità di classe e di intenti dietro la parola d’ordine DALLA VALLE ALLA METROPOLI: UNA SOLA GRANDE OPERA CASA E REDDITO PER TUTTE E TUTTI.

Sentendosi – giustamente – sotto attacco, gli speculatori non sono rimasti a guardare. E dopo aver cambiato come si cambiano le mutande, cioè evitando di ricorrere alle elezioni, i due governi “tecnici” e delle “larghe intese” presieduti dai deboli Monti e Letta, hanno trovato in Renzi l’uomo giusto per imporre quella strategia di lacrime e di sangue necessaria al capitalismo per rilanciare se stesso dopo le bolle speculative prodotte dai soliti noti, ora sempre più ricchi e, di conseguenza, sempre più potenti.

Con tutta la sua insopportabile arroganza, Renzi, dopo aver definitivamente traghettato il Partito Democrativo su precise posizioni di destra, assumeva i pieni poteri il 13 febbraio del 2014, preceduto – e non a caso – dalle perquisizioni notturne che avrebbero portato agli arresti domiciliari (una condizione in cui ancora si trovano) molti esponenti dei movimenti per il diritto all’abitare, tra cui Paolo Di Vetta e Luca Fagiano.

L’opposizione sociale reagiva con manifestazioni capaci di raccogliere migliaia di persone, ma Renzi, al grido di “ce lo chiede l’Europa”, andava avanti, concentrandosi esclusivamente su misure punitive rispetto alla diversa idea di Paese che i movimenti stavano disegnando e, al tempo stesso, conquistando “a spinta”. A colpi di decreti, infatti, veniva deciso:

– L’obbligatorietà dei distacchi di acqua e luce e la revoca della residenza agli abitanti di stabili occupati insieme a un articolato piano di aiuti economici riservati a palazzinari e banche (Decreto Lupi e relativo articolo 5)

– Il divieto di manifestare nel centro di Roma (Circolare di Alfano)

– La normalizzazione della precarietà esistenziale e lavorativa (Decreto Poletti, detto “Jobs Act”)

– L’istituzionalizzazione del lavoro gratuito (Responsabili: il ministero della cultura di Franceschini e le deroghe concesse all’organizzazione dell’Expo di Milano)

– L’affidamento ai privati dei beni culturali (decreto Franceschini sulla cultura)

Abusare dello strumento del decreto legge, fatto di per sé gravissimo se si somma all’ormai dimenticata mancata elezione popolare di Renzi e del suo governo, non è tuttavia sufficiente. L’opposizione sociale resta un agguerrito corpo meticcio composto da centinaia di migliaia di persone, pronte sempre a scendere in piazza al grido di LA GENTE COME NOI NON MOLLA MAI.

Quello che Renzi sta perseguendo, raccogliendo il mandato dei suoi padroni e ricorrendo alle consulenze dei servizi segreti, è una decisa strategia di disarticolazione dei fronti di lotta, abile nello sfruttare gli strumenti strettamente repressivi ma anche nel violentare le garanzie teoricamente offerte dal regime democratico; abile nel varare leggi appositamente pensate per garantire gli speculatori ma anche nel ridisegnare il paese per consentire a queste leggi di avere una rapida e devastante attuazione.

Ed è precisamente su questo ultimo punto che si innesta la grande contraddizione all’interno della quale trovano spazio gli sgomberi subiti in modo particolare dal Teatro Valle e dal Cinema America. Perché il governo Renzi, inseguendo una pulsione autoritaria sempre più evidente (che cosa altro serve per parlare apertamente di fascismo?), sta agendo per rimuovere qualunque ostacolo istituzionale in grado di frapporsi tra le decisioni dell’esecutivo centrale e la loro attuazione. Uno degli esiti più evidenti di questa politica, ottenuto grazie a strumenti come il famigerato Patto di Stabilità, è l’ormai evidente azzeramento di competenze e poteri tradizionalmente affidati agli enti locali, siano essi Municipi o Comuni. Lo stesso fallimento delle cosiddette Giunte Arancioni, con gli eclatanti casi di Napoli, Roma e Milano, seppur prevedibile e in effetti previsto da molti (parla chiaro lo slogan NON CI SONO GOVERNI AMICI urlato in tante manifestazioni), non è semplicemente un fallimento di tipo politico, ma il riflesso oggettivo di un dispositivo deciso a tavolino e calato dall’altro sui territori per procedere direttamente al loro controllo. Esempi eclatanti di questo modo di fare sono i regolamenti attraverso i quali zone come la Val Susa o Niscemi siano state dichiarate “Zone di interesse strategico nazionale” per sottrarre le stesse ai regolamenti locali, ma ormai questa impostazioni è generalizzata e riguarda qualunque città italiana, abbracciando persino ciò che accade a livello di quartiere.

Le esperienze del Teatro Valle o del Cinema America, da questo punto di vista, si caratterizzavano proprio per un atteggiamento di dialogo istituzionale da molti considerato ai limiti (o oltre) la complicità, e per questo severamente e anche giustamente criticato anche da sinistra. Dietro i tavoli, gli accordi e le rassicurazioni, però, c’era da parte degli interlocutori l’idea che fosse possibile tessere alleanze con le istituzioni locali o magari con i responsabili di certi settori politici (e il rapporto fallimentare del Cinema America con il ministro Franceschini ha del clamoroso) per arrivare a concludere trattative in grado di salvaguardare l’uso sociale degli stabili occupati. Un’idea che, quando anche fosse stata coltivata da determinati enti locali o da determinati rappresentanti politici, finiva comunque per cozzare contro gli interessi del capitale privato, metteva in ogni caso in discussione l’assetto delle rendite speculative e di conseguenza, in ultima istanza, ignorata e scavalcata nel più violento dei modi: cioè attraverso lo sgombero.

A livello di opinione comune, gli sgomberi del Valle dell’America hanno prodotto un coro di disapprovazione, una certa indignazione basata sull’apparente buonsenso secondo il quale sarebbe comunque folle azzerare esperienze realmente culturali a fronte di una carenza governativa assoluta in questo campo. Eppure l’indignazione non basta, non è mai bastata e basterà ancora meno in futuro. Ciò che occorre chiedersi dopo lo sgombero di spazi come quelli dell’America e del Valle, anche superando polemiche ormai inutili di fronte a saracinesche murate e presidiate dalla celere, è quale sarà il prossimo obbiettivo degli sgomberi, strumento privilegiato da un governo, come quello di Renzi, deciso evidentemente a fare piazza pulita di ogni opposizione sociale, anche dimostrando – e questo dimostrano gli sgomberi dell’America e del Valle – come nessuna istituzione locale abbia il potere di opporsi alle decisioni del centro autoritario.

Quindi, la domanda che occorre porsi è cosa verrà sgomberato (materialmente e/o simbolicamente) adesso?

E gli “indizi” forniti fino a oggi dalla politica di Renzi parlano chiaro: gli sgomberi degli spazi sociali non sono altro che la prova generale degli sgomberi, ritenuti più dolorosi dal punto di vista dell’immagine, degli spazi abitativi. Un modo per tastare il terreno dell’opposizione, francamente scarsa, prima di “asfaltare”, come direbbe lo stesso Renzi, la vera ala dura del dissenso. Le occupazioni abitative, dunque. Perché d’altro canto cosa deve essere ancora completamente sgomberato tra lavoro, sanità, scuola, beni comuni? Quanto ci vorrà prima che l’acqua sia completamente a pagamento, il lavoro una reale forma di schiavitù, la scuola riservata ai ricchi, gli ospedali a chi ha i soldi in tasca?

Tutto questo è una realtà, dolorosamente sotto gli occhi di tutti. Ma a spaventare non sono né le cariche della polizia, né gli agguati della repressione, bensì l’incertezza nascosta da un interrogativo angosciante: quanto ci vorrà prima di recuperare l’unità di intenti – e di classe – necessaria a sferrare un vero contrattacco a Renzi, Lupi, Poletti, Alfano e agli altri criminali della cricca?

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