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Romania, il fronte orientale della crisi

Ancora proteste e scontri contro il governo a Bucarest, dove un migliaio di persone sono scese in piazza contro i provvedimenti di austerity varati dal governo A  Nella capitale i manifestanti hanno fronteggiato la polizia ed eretto barricate dando fuoco a edicole e cassonetti della spazzatura. Quelle di ieri nella capitale romena sono state le più violente manifestazioni dall’inizio della protesta giovedì scorso: solo ieri  oltre 50 manifestanti sono stati feriti  dalla repressione poliziesca e circa 40 fermati. Manifestazioni si sono tenute anche a Cluj, Timisoara e Iasi.

I manifestanti chiedono le dimissioni del primo ministro Emil Boc e del presidente Traian Basescu, ritenuti responsabili del drastico abbassamento del livello di vita a causa delle misure di risparmio e austerità adottate negli ultimi mesi.Tra queste l’aumento delle tasse e il taglio del 25% degli stipendi nel settore pubblico.   Le proteste erano iniziate giovedì quando Raed Arafat, funzionario del ministero della Sanità, si è dimesso perché contrario alle riforme sanitarie proposte del governo. Venerdì il presidente Traian Basescu ha ordinato di abolire la riforma, ma le proteste si sono ugualmente trasformate in manifestazioni anti-governative.

Cesare La Mantia, docente di storia e istituzioni dell’Europa centrale all’Ateneo di Trieste

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Da Radio Onda d’Urto

 

La Romania scende in piazza

Fronte orientale – Privatizzazioni e tagli al welfare, dopo Bucarest scontri a Brasov e Timisoara. Le proteste dopo le dimissioni di Raed Arafat, viceministro della sanità. Polizia scatenata.

 di Gianluca Falco da Il Manifesto

 In strada per difendersi dalle privatizzazioni selvagge o, se volete, per difendere gli ultimi brandelli dello stato sociale. La Romania è in gran fermento. Quattro giorni di proteste che non avranno avuto i grandi numeri della rivoluzione per eccellenza in questa enclave latina nei Balcani – quella dell’89 -, ma che sono state continue e che ancora ieri sera si facevano sentire. A Bucarest come a Brasov, a Timisoara come a Cluj e a Sibiu e cosi via in 10 judeti (le province) del paese. 15.000 persone per sfogare la rabbia contro il governo (coalizione di centro-destra appoggiata anche dalla minoranza magiara) e contro il presidente Basescu, la cui popolarità è in caduta libera. Stesso scenario che negli altri paesi d’Europa. La stagnazione economica che fa il gioco del Fmi, il prestito richiesto, i conseguenti tagli violenti e massicci per garantire la restituzione. Misure di austerity che hanno colpito insegnanti, dipendenti statali, pensionati, perfino quelli della rivoluzione dell’89 che si sono visti dimezzare da un giorno all’altro il contributo che lo stato gli riconosceva. Quelli che insomma già facevano una fatica matta ad arrivare a fine mese. Ma gli slogan dei manifestanti riguardavno anche la dilagante corruzione nel paese.

La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta la scorsa settimana quando il maldestro tentativo di riforma del sistema sanitario che prevedeva, tra le altre cose, la privatizzazione del corpo di soccorso di primo intervento (Smurd), ha portato alle dimissioni di Raed Arafat, medico di origini palestinesi molto stimato in Romania, coordinatore del corpo Smurd, vice ministro della sanità. Ma anche una sorta di pioniere nel soccorso di primo intervento sul modello occidentale. La decisione di Arafat ha scatenato giovedi sera le prime manifestazioni di piazza a Targu Mures, città nel cuore del paese balcanico dove si era specializzato, ed a Sibiu, nonché un vespaio di polemiche sul piano politico. Talmente intense che venerdì sera, il governo era già ritornato sui propri passi ritirando il progetto di legge. Troppo tardi evidentemente. Sabato pomeriggio, infatti, nella capitale si sono ritrovati un centinaio di manifestanti, guidati dai rivoluzionari dell’89, nella piazza davanti l’Università. Poi il numero dei partecipanti è cresciuto con la voce della protesta e sono cominciati anche i primi scontri con la polizia. Verso sera anche gli scontri si sono intensificati al punto che 3 gendarmi sono stati trasportati all’ospedale, uno anche in condizioni gravi, e 9 sono stati i fermi tra i manifestanti. Domenica, poi, la protesta è ricominciata anche nelle altre grandi città (Brasov e Timisoara su tutte) ma assunto toni duri sempre nella capitale, nella quale si è allargato anche il raggio di azione dei manifestanti alcuni dei quali hanno messo a ferro e fuoco una parte di piazza Uniri, circa un km a sud di piazza università. Alla fine della serata, il bilancio era di 53 feriti e una ventina di fermati. Il premier Boc in mattinata si è precipitato ad organizzare una conferenza stampa per spiegare il punto di vista del governo: «Il diritto a manifestare è inalienabile ed è garantito dalla costituzione rumena – ha detto il primo ministro Boc durante l’incontro con i giornalisti -, ma la violenza urbana è inaccettabile ed intollerabile. Il dialogo resta l’unico confronto per tutte le parti sociali. La violenza non fa altro che mettere a repentaglio la stabilità economica della Romania per il semplice fatto che potrebbero crescere i costi per il pagamento del prestito». La borsa ed il Leo, comunque, non hanno dato segni di cedimento in seguito alle violenze. Nella conferenza lo stesso Boc ha invitato il dimissionario Raed Arafat, il vice-ministro la cui scelta aveva scatenato il malcontento popolare, a rientrare nei ranghi: «È il benvenuto. Può rientrare nel ministero oppure partecipare al nuovo progetto di riforma sanitaria».

Dal canto suo, il ministro degli Interni, Traian Igas, ha alzato il livello di guardia: «Ho chiesto ai responsabili delle forze dell’ordine di essere più fermi nella repressione di queste manifestazioni non autorizzate». Le proteste sono comunque continuate anche nel pomeriggio quando alcuni manifestanti si sono ritrovati ancora una volta a piazza Università a Bucarest ma anche nelle altre città della Romania. Come nei giorni precedenti, il numero dei partecipanti è cresciuto con il passare delle ore e non sembrano voler terminare. Le cifre della tre giorni di dissenso parlano di oltre 50 feriti (9 fra le forze dell’ordine di cui uno in gravi condizioni) un arresto, 49 fermi nella sola capitale dove le manifestazioni hanno assunto un carattere più violento. La situazione ieri sera era relativamente tranquilla, ma il portavoce della polizia ha dichiarato di «temere un ritorno alla violenza».

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